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sabato 12 novembre 2011

povero cartesio

Dopo le aspre critiche di Newton lette nella sua biografia romanzata finita qualche giorno fa, ora mi imbatto in quelle di uno dei personaggi del romanzo L'archivio di Dalkey, di quel Flann O'Brien autore, tra l'altro, di Una pinta d'inchiostro irlandese  di cui ho già parlato qui. L'oggetto di queste comuni accuse è il povero filosofo e scienziato Cartesio.
Se l'ambiguo sir Isaac attacca lo pseudo-filosofo – così è definito Cartesio – per le sue ipotesi gratuite e per di più pagane sull'universo, il teologo e fisico De Selby creato da O'Brien definisce il francese un fifone per aver chiuso il suo manoscritto di fisica in un cassetto quando era venuto a sapere della condanna di Galilei da parte dell'Inquisizione, e un esempio di fede cieca che corrompe l'intelletto, tanto che, invece del celebre motto cogito ergo sum, avrebbe potuto dire ineptias scripsi, ergo sum
Infine, secondo De Selby, anche la morte di Cartesio è stata ridicola: «per assicurarsi una crosta di pane, accettò di recarsi tre volte a settimana dalla regina Cristina di Svezia, alle cinque del mattino, per darle lezioni di filosofia. Le cinque del mattino a quelle latitudini! Naturalmente non resse». E morì di polmonite. 

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