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domenica 27 novembre 2011

l'indagatore dell'incubo

More about Dylan Dog«Se, come noi, avete passato l'adolescenza a intossicarvi regolarmente con le avventure dell'Indagatore dell'Incubo» – Dylan Dog – e se, diversamente dal suo assistente Groucho, non ritenete proprio che la filosofia sia quella «scienza con la quale o senza la quale tutto resta tale e quale», allora il saggio di Roberto Manzocco, Dylan Dog. Esistenza, orrorre filosofia, è sicuramente una buona e interessante lettura, capace di far emergere la sensibilità poetica e filosofica, di stampo esistenzialista, con cui la serie Bonelli tratta della condizione umana e delle sue situazioni più "estreme" – l'angoscia, l'amore, la morte, la ricerca della verità, l'assurdità della vita – «fino a guardare nietzscheanamente nell'abisso, con la speranza che quest'ultimo, in un momento di distrazione, non si accorga di noi». 
Tanti sono gli ingredienti che fanno di Dylan Dog un fumetto tanto apprezzato da pubblico e critica. L'autore, nel primo capitolo del suo saggio, tenta un'analisi proprio della materia di cui sono fatti gli incubi della serie.
Innanzitutto ciò che Umberto Eco definisce la "sgangherabilità", ossia l'essere composto da una serie di elementi, di punti fissi, che «possono essere isolati e riproposti all'infinito, ricombinati in modo diverso e con l'aggiunta di sempre nuove variabili». Come Nero Wolfe ha le sue orchidee e Colombo il suo impermeabile sgualcito, il suo cane, sua moglie, come serie televisive come Star Trek hanno i loro "pezzi" ricomponibili a piacere, così è anche per la serialità fumettistica dell'Indagatore dell'Incubo.
Poi c'è il citazionismo, ovvero il disseminare di omaggi a film, opere letterarie, musica, i racconti dei vari albi: l'immaginario collettivo, gli elementi "mitologici" sedimentati nella cultura popolare, sono non solo citati ma adoperati, prelevati, trasfigurati, cioè rielaborati e reinterpretati.
Altri elementi sono l'oltrepassamento del "quarto muro" e l'auto-referenzialità. Come nelle opere teatrali di Bertold Brecht, in cui gli attori si rivolgono direttamente al pubblico producendo un effetto straniante e stridente, di alienazione, come nei comics di She-Hulk o Deadpool, coscienti di essere personaggi dei fumetti e quindi capaci di interagire direttamente con i lettori e di sfondare gli spazi bianchi tra le vignette, in Dylan Dog questo elemento metafinzionale è rappresentato soprattutto da Groucho, le cui battutte sono rivolte ai lettori. Nel numero 25 della serie, Morgana, accade invece che Dylan Dog si ritrova a leggere il proprio fumetto, il cui disegnatore ha, tra l'altro, le medesime fattezze di Angelo Stano (illustratore della serie).
Rilevante anche il fatto che la serie affronti tematiche sociali, assumendo posizioni anti-borghesi: dopo «un ciclo di storie più spiccatamente horror, con mostri, depressione esistenzialista, sangue e crudeltà» e un altro «di tipo onirico, che mescola surrealismo e universi paralleli, il tutto allo scopo di fuggire dalla banalità quotidiana», arriva per la serie «un processo di normalizzazione o di autocensura» cui corrisponde «lo slittamento verso il sociale e l'edulcorazione dell'horror». È però da sottolineare «la possibilità che Dylan, grazie a buonismo, animalismo, coscienza sociale e quant'altro, si sia guadagnato un posto nella inquietante "Grande Chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa" teorizzata da Jovanotti». In questo processo, come sostiene anche Claudio Paglieri, il problema di Dylan Dog è quello di «non essere più "contro". La sua rabbia si è annacquata: non fa venire mal di fegato ai bourgeois con le sue accuse, non fa più nascere voglie di censura ai politici né scandalizza i genitori con i nudi e lo splatter. È stato assorbito, è entrato a far parte della maggioranza» (Mi chiamo Dog. Dylan Dog).
L'ultimo e definitivo ingrediente è la capacità di lasciar filtrare nella coscienza dei lettori «la consapevolezza del morire e gli interrogativi ad essa legati», l'offrire «la possibilità di parlare di qualcosa che la contemporaneità ha fatto di tutto per rimuovere, di parlare dell'esistenza umana in tutti i suoi aspetti strutturali, di gettare una nuova luce, insolita e inquietante, sulla vita quotidiana, di vedere da un'angolatura spaesante lo scorrere e il ripetersi dei nostri giorni».
Quest'ultimo elemento è, probabilmente, il più propriamente filosofico. La condizione umana così com'è descritta in Dylan Dog sembra effettivamente rispecchiare l'inappellabile definizione che ne dà il filosofo Albert Caraco, citato nell'introduzione da Manzocco: «nudi fuori e vuoti dentro, con l'abisso sotto i piedi, il caos sopra la testa» (Breviario del caos). E gli strumenti filosofici con cui l'autore conduce la sua analisi sono fondamentalmente quelli presi a prestito dall'esistenzialismo di Karl Jaspers e del cosiddetto primo Heidegger. Dal primo il concetto di "situazione limite", che comprende strutture fondamentali della nostra esistenza quali la nascita, la morte, il dolore, l'amore: «nei confronti del nostro esserci hanno un carattere di definitività. Sfuggono alla nostra comprensione, così come sfugge al nostro esserci ciò che sta al di là di esse. Sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo» (Filosofia). Dal secondo, invece, quello di "tonalità emotiva", condizione emotiva generale e profonda – di disperazione, noia o stupore – che ci spinge a interrogarci sul senso ultimo di tutte le cose: «"perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?" È la prima di tutte le domande. Capita a ciascuno di noi di essere sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda. In certi momenti di profonda disperazione, quando ogni consistenza delle cose sembra venir meno e ogni significato oscurarsi, la domanda risorge» (Introduzione alla metafisica).

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