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giovedì 10 novembre 2011

la parrucca di newton

La biografia romanzata che Jean-Pierre Luminet dedica a sir Isaac "scienziato, alchimista o psicopatico?", recita la copertina – non riesce a convincere fino in fondo, quasi incapace di produrre nel lettore quella volontaria sospensione di incredulità che sola può permettere la godibile fruizione di un testo letterario. E ciò è piuttosto paradossale, trattandosi di una biografia, eppure questa è stata la mia sensazione durante tutta la lettura.
La figura di Newton che è tratteggiata dall'autore è quella piuttosto ambigua di un uomo costantemente in bilico tra il puro e disinteressato ricercatore della Verità migliore amica dell'uomo, più di quanto lo possano essere Platone e Aristotele – e l'avido e irriconoscente ricercatore di gloria, onori e benefici; tra l'unto dal Signore intento a compiere una missione divina che lo fa diretto erede dei profeti del Vecchio Testamento giganti sulle cui spalle lui si erge per vedere più lontano di chiunque – e lo scienziato che si sente come un bambino capriccioso, egoista e fantasioso, che «gioca in riva al mare, felice di trovare di tanto in tanto un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella del consueto»; tra il geniale scopritore che la Luna "cade" verso la Terra come una mela dall'albero al suolo e il tiranno della Royal Society, «vecchio leone che instaur[a] nel campo della filosofia naturale un regime di terrore» e che organizza «la sparizione del solo ritratto esistente di Hooke [–  suo rivale in campo scientifico, appena morto, e il cui nome aveva dato alla sua cagnetta ] e di tutti i dispositivi scientifici da lui costruiti». Insomma, un «mostro così pieno di sé, vanitoso, subdolo, bugiardo, instabile, ipocrita e tuttavia circondato da quell'aura da cui eman[a] una luce che è propria solo dei santi... o dei demoni».

«Durante i tre anni trascorsi al Trinity College, Newton non aveva avuto altri maestri oltre a se stesso. Si era imposto un programma di studi che il più esigente dei professori non avrebbe mai osato proporre al suo miglior discepolo. Era arrivato a fare l'inventario delle conoscene e delle scoperte accumulte dall'uomo a partire dalla Creazione, di cui aveva confermato la data, 4004 a.C., ricalcolando una serie di eventi. E soprattutto aveva compilato l'elenco di tutto ciò che non era stato scoperto, di quello che lui, Isaac Newton, doveva ancora scoprire. O, meglio, dimostrare. Di qui il suo odio per Descartes. Non potendo provare la meccanica di questo o quel mistero dell'universo, l'erudito francese lo spiegava avanzando l'ipotesi che gli sembrava più plausibile, finendo poi per considerarla un dato di fatto, una legge naturale. Quello pseudo-filosofo parte dal presupposto che tutti i fenomeni naturali possano essere spiegati attraverso il movimento e la materia. Ipotesi, ipotesi gratuite e soprattutto pagane! Perché la meccanica cartesiana non ha bisogno di Dio per funzionare. Da tutto ciò emana un forte odore di libero pensiero, di ateismo! Newton invece sente di essere stato investito da una missione divina, quella di scoprire, attraverso la filosofia della natura, l'armonia universale stabilita dal Signore, di rivelare "come vadia il cielo" per essere in grado di salirci quando verrà la sua ora».

Newton è presentato come una figura piuttosto ambigua anche nella serie a fumetti della Marvel SHIELD. Gli architetti del domani, scritta da Hickman parallelamente alla sua gestione de I Fantastici Quattro e con le vicende di questi intrecciata.

 

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