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lunedì 14 novembre 2011

pompe funebri

Il romanzo di Jean Genet Pompe funebri è ambientato nella Parigi ai tempi della liberazione dai tedeschi, alcuni dei suoi personaggi, perciò, partecipano direttamente a attivamente a questo evento storico, prendono parte alla rivolta armata e alla guerriglia tra le strade e sui tetti. Ma più che mettere questi personaggi in divisa, Genet li veste di paramenti, ne cura l'eleganza sottolineando così l'epocalità della situazione: «tre caricatori di mitragliatrice pieni di proiettili gli si avvolgevano intorno al busto sopra la camicia, giravano intorno alla cintura, risalivano sulle spalle, si incrociavano una volta sul petto e una volta sulla schiena, e gli facevadoisneauno una tunica di rame da cui spuntavano le braccia, nude fin sopra il gomito, quasi fino alla spalla dove la manica della camicia azzurra faceva un rotolo spesso che rendeva il braccio più elegante». 
Sembrerebbe che l'unica giustificazione sia estetica, non etica o politica. La testimonianza di Genet ricorda quella fornita dalle foto di Doisneau della stessa epoca.
A livello di trama, anche in questo caso, Genet si dà alla pura, totale, assoluta, libera divagazione, ricamando e tessendo la sua poesia intorno al tema della morte della persona amata, dell'impossibilità di abbandonarla e dell'inevitabilita di tradirla.


Mi restava di lui qualche piattola che forse gli aveva rifilato una puttana. Ero certo che quegli insetti avevano vissuto sul suo corpo, se non tutti almeno uno, le cui uova invadevano i miei peli con una colonia che si insediava, si moltiplicava ancora e moriva tra le pieghe della pelle dei miei coglioni. Badavo a che rimanessero in quel posto e nei dintorni. Mi piaceva pensare che conservassero una memoria oscura dello stesso punto del corpo di Jean, di cui avevano succhiato il sangue. Eremiti minuscoli e segreti, erano incaricati di tener vivo in quelle foreste il ricordo di un giovane morto. Rappresentavano davvero i resti viventi del mio amico. Per quanto possibile, mi prendevo cura di loro, evitando di lavarmi, persino di grattarmi. A volte mi capitava di strapparne una che afferravo tra l'unghia e la pelle: l'esaminavo un istante da vicino con curiosità e affetto, poi la posavo di nuovo sulla mia peluria riccioluta. Forse i suoi fratelli vivevano ancora tra i peli di Jean?

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