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venerdì 6 maggio 2011

mitografia di apollineo e dionisiaco

Asterios Polyp di David Mazzucchelli al primo sguardo induce la tentazione di leggere un graphic novel quale esempio di scrittura mitografica. In un testo pubblicato nel 1967, Della Grammatologia, Derrida scrive che per liberare la vita, l’esperienza, il pensiero dall’oppressione della nostra sclerotica civiltà occidentale, è necessaria un’altra scrittura. Una scrittura diversa che chiama “mitografia”, prendendo a prestito il termine da un antropologo, Leroi-Gourhan, che così definisce l’insieme di scritture praticate prima della nostra. Per Derrida è necessario scrivere secondo un’altra organizzazione dello spazio, praticare forme di scrittura pluri-dimensionali, non più secondo lo sviluppo della linea, per liberare l’esperienza dall’autismo del pensiero. Questa scrittura deve essere in grado di rendere conto di quella pluralità di dimensioni della vita che il pensiero, convinto di essere nato per partenogenesi spontanea (modo di riproduzione in cui lo sviluppo dell’uovo avviene senza che questo sia stato fecondato), non può far altro che reprimere.
L’io narrante dell’opera di Mazzucchelli è morto. Si chiama Ignazio. È il fratello gemello di Asterios Polyp, morto alla nascita. Dunque per Asterios, il nostro eroe, non solo niente partenogenesi ma nemmeno identità nuda e pura, niente autismo ma doppio, differenza fin dall’inizio. Solo affrontando il passato che non è mai stato presente (il fratello morto, il doppio, il sogno, la differenza all’origine, l’altro nella sua pluralità irriducibile), Asterios potrà riannodare i fili del suo passato veramente vissuto e sperare, non conquistare, una vita viva.
Asterios Polyp è un architetto americano di chiara fama, e applica alla vita il rigido sistema di opposizioni che applica alla teoria dell’architettura. La prima opposizione che appare esplicitamente in una tavola che descrive Asterios a lezione, è quella tra dionisiaco e apollineo. Tra lo spirito della musica e della danza, dell’ebbrezza e delle pulsioni animali e quello della forma, della chiarezza, della ragione, lo spirito della forma plastica. È stato Nietzsche il primo – ne La nascita della tragedia – ad osservare che la sclerotizzazione della nostra civiltà comincia proprio con la decisione platonica – la decisione della filosofia – di opporsi allo spirito dionisiaco, per sublimare o cancellare quell’alterità irriducibile rispetto al puro pensiero – la natura, l’animalità, le pulsioni – senza la quale però di fatto non c’è vita. Nemmeno per il pensiero, che se vuole essere ha da essere impuro per necessità. Le tavole, in rapida sequenza, ci ricordano che Hana, la donna, moglie di Asterios, è corpo, natura, animale quanto anima, sentimenti, pensieri: Hanna alle prese con i cotton-fioc, con il tagliaunghie, con la rasatura delle ascelle, con il filo interdentale, con la zip del vestito stretto; Hana che mangia, Hana sul gabinetto, Hana che si schiaccia un brufolo, che si soffia il naso, che russa, che dipinge. Asterios, al contrario, vive nel suo mondo astratto e artificiale, votato al razionalismo puro, fondato su tutta una serie di opposizioni che lo portano al fallimento del suo matrimonio ed in definitiva della sua stessa vita. Jacques Derrida, che segue Nietzsche, dimostra che la nostra cultura, fin dalla sua matrice platonica, si costituisce in un sistema di opposizioni solidali fra di loro e gerarchicamente organizzato: da un lato, quello gerarchicamente dominante, l’ideale, l’intelligibile, la ragione, la coscienza chiara a se stessa, l’uomo, la legge, il giorno… dall’altro lato, quello dell’altro, sempre dominato e represso, la natura, la sensibilità, le passioni, il corpo, l’inconscio, la donna, il caso, la notte…
Il mondo, quello vero, vivo, naturale, è molto più ricco e complesso dello schematismo oppositivo che la nostra cultura antropocentrica gli ha imposto. È pieno di differenze, varianti, relazioni. Nell’ultima parte della storia, le sequenze di sogno diventano più frequenti e più lunghe. Sogno: Asterios imbraccia una lira ed è un novello Orfeo alla ricerca di Euridice-Hana. Sogno: Ignazio racconta ad Asterios tutta la sua vita che poi è la vita reale di Asterios, quella che sta vivendo allo stato di veglia. Asterios vuole impedire a Ignazio di continuare il suo racconto, prima con le buone poi con le cattive, e lo colpisce con una chiave inglese. La vita di Asterios allo stato di veglia è la vita non vissuta di Ignazio, la vita di sogno di Ignazio. Il sogno di una vita ideale, di un’identità compiuta in se stessa si infrange nel sogno perturbante, sintomo di una rimozione non riuscita, quella dell’altro da sé. Asterios, senza una ragione precisa, senza saperlo, si decide a seguire la traccia di questo passato per ridare senso all’avvenire. 

(da Francesco Vitale, Asterios Polyp (Mitografie della decostruzione), in Pop filosofia)

giovedì 5 maggio 2011

il triste tropico del dottor manhattan (2di2)

È del tutto evidente, a questo punto, che in Watchmen l’alternativa tra il cinismo amorale del Comico e la ragione calcolante di Ozymandias è più apparente che reale. Anche per Ozymandias gli uomini non sono in grado di governarsi: sono la malattia, non il sintomo. L’umanità deve essere assoggettata ad una “luminosa trasformazione”. E anche tra Ozymandias e Rorschach, al di là delle differenze espressive, ciò che è comune è l’essenziale. Il motto kantiano fiat lex, pereat mundus potrebbe essere il loro: la coerenza della ragione è tutto, i mezzi e i costi sono irrilevanti o sopportabili. La similitudine tra i due spiega molto bene l’affinità tra il Despota totalitario che cerca di costringere e immobilizzare la totalità di ciò che è significabile e conoscibile all’interno della propria verità, e il tecnocrate che pretende di dettare, con il proprio sapere tecnico-funzionale, il ritmo della società e del senso che al suo interno si produce. Nel caso di Rorschach l’annuncio della fine del mondo come punizione per i peccati dell’Umanità, nel caso di Ozymandias la nuova Utopia dell’umanità salvata dall’inferno dalla nuova guida. In ambedue i casi la cifra del significante è la dimensione religiosa: si tratta di sapere solo se questo dio sia vendicativo o misericordioso.
Per rimuovere la sofferenza, l’ingiustizia, la miseria, scriveva il giovane Marx, non basta studiare il mondo: bisogna cambiarlo. Nella prassi. A loro modo, gli eroi mascherati di Watchmen hanno cercato l’anello che non tiene in questa catena: il rigore senza mediazione del “kantiano” Rorschach, il decisionismo cinico del Comico, l’illuminismo imperialistico di Ozymandias. Ma, ribatte l’etnologo Lévi-Strauss, «a che serve agire se il pensiero che guida l’azione conduce alla scoperta dell’assenza di senso?» (Tristi tropici). Ma la sofferenza di un singolo essere umano – Laurie Juspeczyk/Silk Spectre II –, l’improbabile catena combinazione di eventi che determina la sua sofferenza, il “miracolo termodinamico”, è ciò che conferisce senso alla sua esistenza, e con la sua a quella di chiunque al mondo: è questa scoperta del senso che si genera a dispetto della sua improbabilità a spingere Manhattan a lasciare Marte e ritornare sulla Terra per cercare di fermare Ozymandias. Il senso è creazione, è un prodotto, un effetto scaturito dalla combinazione di elementi che di per sé non sono significanti. Il non-senso, il casuale, l’imprevedibile non è la negazione del senso, ma ciò che lo precede, ciò che lo produce. C’è sempre un eccesso, una sovrapproduzione di senso, come sanno lo sguardo di Manhattan e la scienza di Lévi-Strauss: proprio per questo, ciò che chiamiamo “senso” è una scelta che dev’essere fatta, un gesto. Il senso non viene prima, dev’essere prodotto proprio perché non viene, ma c’è. Viene dopo, non va riconosciuto come Verità, ma creato. Creare un mondo nel quale sia possibile pensare questo senso – nel quale nessuno sarà guardato da un Guardiano – è un compito politico, dunque culturale.

(da Girolamo De Michele, Watchmen (Il triste tropico del Dottor Manhattan), in Pop filosofia)

mercoledì 4 maggio 2011

il triste tropico del dottor manhattan (1di2)

In Watchmen il Dottor Manhattan è in grado di vedere il tempo come una struttura sincronica non divisa in passato, presente e futuro e la realtà come un insieme di strutture prive di un senso intrinseco, il cui significato è il nudo fatto della loro esistenza. Il cosmo esiste, è un fatto. Il senso non è un fatto: non esiste. Il problema etico sembra assente dalla visione del Dottor Manhattan, come sembra scomparire davanti agli occhi di Lévi-Strauss, al termine del suo viaggio raccontato in Tristi tropici. Il Dottor Manhattan, dotato di una scienza universale capace di cogliere ogni significato esistente, è un etnografo cosmico, in grado di cogliere, con un semplice sguardo, somiglianze e differenze tra due profondità diversissime. In definitiva, accade al Dottor Manhattan che «il distacco impostogli dallo scrupolo morale e dal rigore scientifico, gli impedisce di criticare la sua propria società, dato che non vuole giudicarne nessuna al fine di conoscerle tutte» (Tristi tropici). La polarità tra la ragione assolutizzante (illuministica) e la visione buddhista è la matrice del confronto tra Ozymandias e Dottor Manhattan negli ultimi due capitoli di Watchmen. Scegliere l’ascesi significa ammettere l’amara conclusione cui Lévi-Strauss giunge: «Qualsiasi sforzo per comprendere distrugge l’oggetto al quale eravamo dedicati».
Watchmen ruota attorno al paradosso che in forma politica viene scritto con gli spray durante la rivolta del 1977 sui muri di New York: Who Watches the Watchmen? Chi guarderà i guardiani? L’enunciato induce un senso di paura nei confronti della strada – cioè della dimensione pubblica –, suggerisce implicitamente di rifugiarsi in casa, nel privato, di smettere di essere cittadini. La sua prima formulazione è nelle Satire di Giovenale: «Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes?» (Serra la porta, tieni tutti chiusi all’interno, ma chi sorveglierà i sorveglianti?). la visione del mondo di Giovenale ha una profonda relazione con lo spirito di alcuni Watchmen – in particolare Rorschach: degradazione morale, nessuna speranza di redenzione, misoginia, omofobia: «Questa città ha paura di me. ho visto la sua vera faccia. Le strade non sono che un prolungamento delle fogne e le fogne sono piene di sangue e quando alla fine tutti i tombini salteranno i parassiti affogheranno. L’antico sudiciume del loro sesso e dei loro delitti salirà ribollendo fino alla loro cintola, e allora le puttane e i politicanti leveranno lo sguardo e grideranno “Salvateci!”». Giovenale irride l’idea che dalla corruzione e dal degrado morale si possa essere salvati da un intervento divino: per lui neanche un dio ci può salvare. E su questo tema si dividono i Watchmen, moderni dèi. Per Rorschach il degrado umano e morale è irrimediabile. Per il Comico la risposta è diversa, ma altrettanto cupa. I nuovi dèi hanno la capacità di “salvare” l’umanità, perché hanno operato la decisione – o hanno accettato la decisione – su chi è l’amico e chi è il nemico, su cos’è il Bene e cos’è il Male: gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti da loro stessi, e questo legittima i Custodi dell’ordine, rende superfluo il paradosso della custodia dei Custodi. I decisionisti e i reazionari amano sciogliere i paradossi con la spada: Schmitt definisce la democrazia come «discussione che non mette in discussione se stessa» e propone la superiorità dell’azione sovrana sui mali della discussione. Edward Blake, il Comico, esprime l’assenza di ragione – il vuoto della decisione – che legittima la decisione arbitraria del Politico che immette ordine nel nulla: «Una volta che hai capito che tutto è una barzelletta, essere il Comico è la sola cosa che abbia un senso». Perché gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti? Perché preferiscono essere servi, piuttosto che essere liberi. La radice prima di ogni potere è nel desiderio di asservimento dei sudditi, nel loro assoggettamento volontario a un’autorità che promette di volta in volta la vita, la pace sociale, l’ordine, il progresso. Gli esseri umani si credono impotenti, il popolo si percepisce incapace di autogoverno, e chiede di essere governato dal grande Altro del Potere. Il Potere si fonda sulla dialettica tra paura e rassicurazione, sullo scambio tra libertà e sicurezza.

(da Girolamo De Michele, Watchmen (Il triste tropico del Dottor Manhattan), in Pop filosofia)

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