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venerdì 4 ottobre 2013

la filosofia della guerra al terrorismo

Con Stato di legittima difesa, Simone Regazzoni prova a pensare la politica di Obama e la guerra al terrorismo al di là di ogni sterile panico libertario e di ogni critica alla guerra mossa da astratte posizioni pacifiste, riconoscendo al Presidente statunitense la capacità di "agire politicamente misurandosi con il reale del momento storico presente", di "rispondere a ciò che accade" anche a costo di dover "rompere con un certo orizzonte di sapere, di norme e di valori" decostruendo l'abituale discorso progressista e reinventando la democrazia. Questa reinvenzione passa attraverso l'elaborazione di un nuovo paradigma politico, giuridico e militare che l'autore chiama, appunto, stato di legittima difesa e che la cui articolazione comprende la dichiarazione di uno stato di emergenza, il rafforzamento del potere esecutivo, l'uso della forza letale (nella forma privilegiata dell'omicidio mirato, eventualmente anche preventivo) contro un nemico assoluto (Carl Schmitt) che deve essere annientato in una guerra apparentemente permanente.
A meno di non giudicare il terrorismo una strategia di lotta legittima, argomenta Regazzoni, non è possibile attribuire al terrorista la qualifica di combattente per la libertà (freedom fighter); gli spetta, piuttosto, quella di nemico combattente (enemy combatant) o combattente illegittimo (unlawful combatant) o ancora nemico combattente non privilegiato (unprivileged enemy belligerant), designando in ogni caso il suo statuto come al di là del civile e del militare. È necessario, invece, abbandonare una certa cultura delle scusanti e delle giustificazioni tipica degli anni Sessanti e Settanta e riconoscere il terrorista quale "minaccia assoluta" e "male assoluto", quale "nemico trascendentale della democrazia", perché "incorpora in sé lo spettro del weapons of mass destruction", dell'arma terrificante che viene dall'avvenire, lo spettro del peggio a venire (Jacques Derrida), perché "minaccia la democrazia in quanto spazio di apertura all'Altro". Per annientare un tale nemico assoluto occorre "una guerra legittima di difesa ossessionata dallo spettro della distruzione totale a venire" (ossessione e forse una certa paranoia che non sono mali ma spinte immunitarie della democrazia); guerra che possiede la qualità ideale di essere perpetua, di non poter essere vinta e perciò di non dover essere mai terminata (Peter Sloterdijk), così da decostruire l'opposizione tra guerra e pace.
La forza letale-vitale di legittima difesa che tale guerra dispiega dispone di non convenzionali ma necessarie e appropriate strategie quali la prevenzione contro minacce imminenti e future (pre-emption e prevention), l'attacco anticipato (strike first, anticipatory attack), la pianificazione su larga scala e lungo periodo delle operazioni di omicidio mirato (targeted killing, kill list).
Ora che la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt appare come nuovamente invertita (Slavoj Žižek), Obama per Regazzoni è quindi "il nome di questa forza letale-vitale di legittima difesa della democrazia, di questa forza della democrazia che dà il meglio di sé facendo appello al proprio rimosso" (cioè l'uso della forza letale, una forza crudele e disumana ma al contempo giusta), di questa forza che non è "un fenomeno transitorio legato a una situazione di emergenza ma l'invenzione di un nuovo paradigma della democrazia".
Il rimosso che ritorna con Obama è anche quello della giustizia come vendetta, riparazione di un torto, momento catartico: torna quello "spettro che ossessiona il potere americano" che è la pulsione eroica che minaccerebbe la democrazia. Questa riattualizzazione "di una certa forma di violenza - al contempo assolutamente crudele e giusta - incarnata nella figura del giustiziere", porta Regazzoni a trattare nell'ultimo capitolo del suo saggio la trilogia che Christopher Nolan ha dedicato a Batman, il Cavaliere Oscuro (Dark Knight), saga cinematografica assillata proprio dallo spettro del peggio a venire, dell'imminenza "di un avvenire peggiore di tutto quello che è già accaduto". 
Le pellicole di Nolan rappresentano il montaggio e messa in scena della risposta attraverso una forza di legittima difesa a tale infestante spettro (dell'annientamento di Gotham attraverso armi di distruzione di massa), incorporato nel trauma dell'omicidio dei genitori del piccolo Bruce Wayne, e al contempo dei "rischi autoimmunitari di questo dispositivo eccezionale di difesa che rischia sempre di sopprimere ciò che vorrebbe salvare". Il corpo del Cavaliere Oscuro si presta quale trasfigurazione cinematografica di questo lavoro sul dark side della politica, di questa "pulsione eroica incriptata al cuore della democrazia" che non va esorcizzata come fascista (pur rimanendo "il fascismo una delle sue pericolose declinazioni possibili") ma pensata "in termini politici come forza, al di là della legge, di difesa della democrazia nel contesto di un nuovo tipo di guerra", come supplemento di forza insieme fuorilegge e al servizio della legge, che la sospende e conserva a un tempo, che la minaccia e protegge, come "una giustizia - al di là della legge - che coincide con la salvezza, con la salvezza della democrazia".
Il saggio di Regazzoni ha l'audacia di pensare tutto ciò, di non limitarsi a criticare la guerra. Regazzoni ha l'indubbio merito di non essere un pensatore pusillanime, di non cercare nel politicamente corretto l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a farsi carico di pensare un fenomeno come la guerra al terrorismo nella sua dimensione perturbante.



sabato 14 settembre 2013

eldritch

Mostruoso, orribile, ripugnante (hideous). Inquietante, misterioso, soprannaturale (eerie). Perturbante, sconcertante, incredibile (uncanny). Ma è l'aggettivo eldritch, riferibile a ciò che viene da una realtà altra, da un altro luogo, alieno, strano e straniero, che per Philip K. Dick riunisce tutto ciò che Sigmund Freud ha indicato come contenuto nella parola unheimlich, con la sua dimensione di panico davanti a ciò che è falsamente familiare, di impeto e spavento che fanno urlare: "come si urla per risvegliarsi, ma l'orrore è che sei già sveglio, che non c'è scampo" (Emmanuel Carrère). 
Da qui il nome Palmer Eldritch (Le tre stigmate di Palmer Eldritch), in cui Dick riunisce i temi del totalitarismo - che tanto lo aveva colpito leggendo Hanna Arendt, con la sua idea di allontanare la gente dalla realtà facendola vivere in un mondo fittizio, dando consistenza alla creazione di un mondo parallelo riscrivendo la storia e imponendo versioni aporife - e della realtà più vera dietro quella fenomenica e apparente - idea comune di tutte quelle forme culturali che vanno dal mito della caverna di Platone al sogno del cinese Chuang-zu (è il filosofo a sognare di essere una farfalla o è la farfalla a sognare di essere un filosofo?), dall'ipotesi iperbolica e radicale del genio maligno di Cartesio alla sua versione più moderna dei cervelli manipolati da uno scienziato elaborata da Hilary Putnam.


giovedì 19 aprile 2012

catastrofe morale

È facile compiere un atto nobile per la patria, fino a sacrificare la propria vita per essa; molto più difficile è commettere un crimine per la patria... Nella Banalità del male Hannah Arendt ci ha fornito una descrizione precisa di questo dilemma. La maggior parte dei carnefici nazisti non erano semplicemente malvagi, erano ben coscienti che le loro azioni avrebbero causato umiliazione, sofferenza e morte alle loro vittime. La via d'uscita da questa situazione era che, «invece di pensare: che cose orribili faccio al mio prossimo!, gli assassini pensavano: che cose orribili devo vedere nell'adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle!».
Come sapeva Arendt, lungi dal riscattarli, il fatto stesso che essi siano in grado di conservare una tale normalità mentre commettono questi atti è la prova definitiva della loro catastrofe morale.
La serie tv 24 fa vedere la confusione etica della posizione di Bauer, privo di alcuna pace interiore: Jack confessa di avere dei dubbi, non sa se ha fatto la cosa giusta, e tutto quello che può fare è rassegnarsi a vivere con l'ossessione delle sue azioni passate fino alla fine dei suoi giorni. Qui non viene offerta alcuna soluzione semplice del tipo "Ho agito per il bene comune", non c'è alcun modo di "sentirsi a posto" moralmente.

(da Slavoj Žižek, Benvenuti in tempi interessanti)

 

sabato 14 maggio 2011

gli uomini ciechi e l'elefante

La filosofa Martha Nussbaum rileva la “fragilità del bene”, l’intrinseca debolezza della cosiddetta “vita buona”, sempre assediata dall’incertezza della sorte e dalla prepotenza di fattori extrarazionali. Se l’autrice americana riflette sulla costitutiva caducità del bene, il film Elephant di Gus Van Sant argomenta in margine a quella che un’altra grande filosofa, Hannah Arendt, chiama la “banalità del male”, alla sua inesplicabilità. Illusorio è pensare che possa realizzarsi compiutamente la “vita buona” – troppo numerosi e condizionanti sono gli impedimenti che ad essa oppongono la fortuna e le passioni. Ma non meno infondato è credere di poter individuare l’origine del male, di poterlo distinguere infallibilmente da altri moventi, ritenere che esso sia riconoscibile con sicurezza, e dunque che si possa isolarlo e infine estrometterlo dalla vita sociale. Gus Van Sant comunica l’”altra faccia” dell’analisi condotta da Martha Nussbaum: la descrizione di una condizione umana costitutivamente fragile, perché sempre ineluttabilmente esposta all’emergere di qualcosa che può dissolvere qualunque ideale di “vita buona”. Senza “ragioni” e senza “motivi”. Il male come semplice controfaccia del bene. 
I due giovani protagonisti del film sono ritratti nel loro essere perfettamente “normali”, accomunati negli abiti e nelle consuetudini di vita a quei coetanei dei quali essi diventeranno i carnefici, privi di ogni inclinazione omicida e di ogni fanatismo ideologico, pressoché indistinguibili dagli altri giovani. 
Pare che Van Sant abbia tratto il titolo del film da un apologo buddhista: alcuni ciechi cercano di immaginare quale sia la forma di un elefante, descrivendo solo la parte che ognuno di loro può toccare. Nel confrontarci col male, con questo pachiderma enorme, ciascuno di noi si comporta come uno di quei ciechi, crede di poterlo raffigurare soltanto perché ne ha conosciuto una singola parte o un aspetto circoscritto.

(da Umberto Curi, Un filosofo al cinema)

La stessa leggenda indiana dei sei uomini ciechi e dell'elefante è ripresa anche in una poesia del XIX secolo di John Godfrey Saxe
It was six men of Indostan
To learning much inclined,
Who went to see the Elephant
(Though all of them were blind),
That each by observation
Might satisfy his mind.
[...]
And so these men of Indostan
Disputed loud and long,
Each in his own opinion
Exceeding stiff and strong,
Though each was partly in the right,
And all were in the wrong!

MORAL.

So oft in theologic wars,
The disputants, I ween,
Rail on in utter ignorance
Of what each other mean,
And prate about an Elephant

Not one of them has seen!
E anche in un albo di Hulk – negli USA Red Hulk 16 (dicembre 2009), in Italia Devil & Hulk 163 (luglio 2010) – viene raccontata e illustrata questa favola: «Un re chiese a sei ciechi di esaminare un animale di cui non sapevano niente, un elefante. Non erano stupidi, erano uomini brillanti. Ciascuno di loro toccò una parte della bestia. Quando ebbero finito, furono chiamati dal re per spiegare cosa fosse un elefante. Non c'era accordo. La discussione fu così accesa che iniziarono a lottare tra loro. Si sarebbero ammazzati se il re non fosse intervenuto. Il re aveva dimostrato la sua teoria. Chiunque vede le cose in un solo modo, non conoscerà mai tutta la verità».


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