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giovedì 17 luglio 2014

noi che abbiamo l'animo libero

Nel saggio a quattro mani Noi che abbiamo l'animo libero Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello fanno incontrare due grandi personaggi del teatro di Shakespeare: il primo, biologo e genetista, racconta un Amleto capace di prendere decisioni "non nel mezzogiorno della certezza, ma nel crepuscolo della probabilità" (John Locke), di giocare d'azzardo di fronte all'invisibile ma senza scommettere in modo del tutto arbitrario o irrazionale, di agire coraggiosamente nelle nebbie del domani, lui che sostiene che "chi ci fece con tanto discernimento, capaci di guardare in avanti e indietro, non ci diede tali abilità e una ragione quasi divina perché ammuffissero in noi per il disuso"; il secondo, filosofo, descrive invece una Cleopatra smisurata nel piacere, posseduta da un eroico/erotico furore che corrisponde all'immenso dell'universo nuovo di Copernico e Bruno. Dopo i due singoli saggi, gli autori completano l'opera incontrandosi e facendo incontrare i personaggi shakespeariani in un dialogo in cui la pazzia di Amleto e la dismisura d'amore di Cleopatra sono entrambe espressioni del nuovo cielo - di una diversa immagine dell'universo - e della nuova terra - di una differente concezione dell'esistenza umana -, del cosmo infinito in tutte le direzioni in cui Shakespeare ci mostra come si vive, nelle diverse sfumature della fosca malinconia amletica e dell'entusiasmo di Cleopatra. In entrambi i casi, comunque, "noi che abbiamo l'animo libero" troviamo ragioni per non arrendersi di fronte a questo infinito.

mercoledì 29 febbraio 2012

sull'identità personale

Nell’episodiodi South Park Spookyfish – Lo speciale di Halloween, i ragazzi scoprono un secondo Cartman che se ne va in giro per South Park. I due Cartman sono identici, i ragazzi non riescono a distinguerli dall’aspetto, ma notano subito una differenza nel loro carattere. Nell’episodio Un elefante fa l’amore con una maiala, Stan viene clonato, ma i due Stan non sono assolutamente uguali fisicamente. Infine, ricordate l’episodio Una scala per il paradiso, in cui Cartman, dopo aver bevuto le ceneri di Kenny, viene posseduto da lui. Questa volta abbiamo solo un corpo – il corpo di Cartman – ma al suo interno c’è l’anima di Kenny.
Ci sono due vaste categorie di criteri per l’identità personale. Secondo i criteri fisici, l’identità è composta da elementi fisici come il corpo, il cervello e altre forme fisiche. D’altro lato, secondo i criteri psicologici, l’identità è composta da alcune parti psicologiche, come la coscienza e la memoria, che esistono nel tempo.
Con la testa fra le nuvole [lavaggio del cervello di alcuni abitanti], Divertirsi con le armi [rimozione di una stella ninja dalla testa di Butters], Super Adventure Club [lavaggio del cervello a Chef]. In questi esempi, il cervello sembra essere l’ingrediente fondamentale dell’identità personale. Le persone cambiano nel tempo a causa di cambiamenti nel loro cervello. Tu sei tu nel tempo, se, e solo se, hai lo stesso cervello.
D’altro lato, nell’episodio Il più grande buffone dell’universo, i ragazzi vedono i trailer dei prossimi film in uscita di Rob Schneider. Il trailer del primo film è il seguito delle varie identità assunte da Schneider nei suoi film precedenti: «Rob Schneider è stato un animale. Poi è stato una donna. E ora Rob Schneider è… una pinzatrice».  Rimane però sempre la stessa persona, anche se la sua forma fisica cambia. Questo presuppone criteri psicologici per l’identità personale. La propria identità come persona deriva quindi dalla continuità psicologica.
Nell’episodio Ai confini della realtà i ragazzi si identificano con uno dei possibili criteri psicologici dell’identità personale, il criterio del ricordo. Se qualcuno soffre di amnesia o di uno scambio di memoria a causa del quale i suoi vecchi ricordi sono cancellati o sostituiti da nuovi, allora anche la sua identità sarà diversa. Per Locke sono i ricordi che ci permettono di avere la stessa coscienza nel tempo.
Torniamo all’episodio Spookyfish – Lo speciale di Halloween. Il metodo usato dai ragazzi per distinguere i due Cartman segue il criterio della continuità psicologica dell’identità personale, dove la personalità è fondata sulla continuità delle relazioni psicologiche nel tempo. Il criterio della continuità psicologica nasce, tra le altre fonti, dall’approccio scettico di David Hume. Nel suo Trattato sulla natura umana, Hume sosteneva che tutti noi siamo «fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento». Per Hume non c’è nessun sé che rimane lo stesso nel tempo. Non potremo mai trovarci nella posizione di poter catturare una “persona” che è la stessa in un momento e in quello successivo. Tutt’al più, ognuno di noi è una collezione di pensieri, sentimenti e atteggiamenti mutevoli. La teoria di Hume porta a sostenere che la personalità sia un tutt’uno fittizio che cattura l’interezza dei nostri tratti psicologici, delle nostre azioni, dei nostri modelli comportamentali e delle nostre riflessioni nel tempo.

(da Shai Biderman, Il futuro sé di Stan e il malvagio Cartman. Identità personale in South Park, in South Park e la filosofia)


sabato 2 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (2di2)

La narrazione di Watchmen (1986-87) di Alan Moore analizza le ramificazioni psicologiche, etiche e politiche del vigilantismo. Una delle maniere in cui Watchmen ci obbliga a ripensare i supereroi è ritraendone diversi come psicologicamente problematici. Rorschach, per esempio, è rimasto traumatizzato da un’infanzia abusata. Egli è assolutamente crudele nella sua volontà di usare la violenza per combattere il crimine, eppure il suo impegno per la giustizia sembra reale e senza compromessi. È stato l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto sotto gli occhi di trentotto testimoni che sono rimasti a guardare senza fare nulla mentre veniva pugnalata a morte in un luogo pubblico, a stimolare Rorschach all’azione, farlo vergognare dell’umanità e ispirarlo a indossare una grottesca maschera con macchie d’inchiostro, «una faccia che potesse sopportare di guardare allo specchio». Diversamente da Superman e Spider-Man, né Rorschach né Batman possiedono superpoteri. Eppure scelgono di votare le proprie vite a combattere il crimine. Sono psicopatici guidati dalla vendetta, oppure ognuno di noi che prende le distanze da loro dovrebbe essere considerato come quegli ordinari mostri che sono stati i vicini di Kitty Genovese, la cui complicità nell’orrore consiste in un’assoluta inazione? O potrebbero entrambe queste ipotesi essere vere? L’epigrafe al capitolo VI di Watchmen è un aforisma di Friedrich Nietzsche: «Chiunque combatta i mostri deve stare attento che nel farlo non diventi egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te» (Al di là del bene e del male). Hanno Rorschach o Batman fallito nel seguire questo avviso? O è il resto di noi ad essere troppo conservatore, troppo spaventato, o troppo debole per prendere il nobile rischio di affrontare i mostri? L’atteggiamento fondamentale dei supereroi sembra essere che, al contrario di quanto sostenuto da Locke, è diritto di tutti, se non dovere, combattere il crimine, e fare tutto il possibile per ricercare la giustizia per noi stessi e la nostra comunità. Spider-Man notoriamente riconosce che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», ma Rorschach ci mostra che il “potere” di combattere il crimine è più che altro una questione di volontà, di scelta, che sembra comportare una grande responsabilità per noi tutti.
Un altro personaggio di Moore è Ozymandias, un individuo chiaramente megalomane che prende niente meno che Alessandro Magno come modello personale. Egli organizza una finta intrusione aliena a New York comprendente un’esplosione che sa ucciderà milioni di persone. La sua spiegazione è che l’improvvisa apparizione di una minaccia aliena che mette a rischio la vita umana spingerà tutte le altrimenti bellicose nazioni verso una pacifica collaborazione contro il nuovo nemico comune. Il piano ordito da Ozymandias ha successo. La questione che viene posta non è semplicemente se Ozymandias sia impazzito o divenuto malvagio, o entrambe le cose. Bisogna chiedersi se qualcuno nella sua posizione potrebbe mai aver diritto a fare qualcosa di analogo. Bisogna inoltre confrontarsi con la questione se chi si dissocia da una tale azione potrebbe a sua volta essere in qualche modo biasimato per essere troppo debole da fare ciò che sarebbe necessario per salvare il pianeta. Questo uomo, questo supereroe intelligente e popolare, è diventato un mostro, o è solo un saggio incompreso? È lo sconnesso e trasandato Rorschach – che a questo piano ha tentato di opporsi – un testardo, a causa della sua ossessiva fissazione su ciò che considera essere giusto, o ha ragione nel rifiutare l’etica utilitaristica usata per razionalizzare l’omicidio di milioni di persone? Moore e Miller ci obbligano a rivedere il nostro sguardo sui supereroi, e in ultima analisi anche quello su noi stessi e il nostro ruolo nel mondo.
È la prospettiva olimpica, con cui una persona si posiziona sopra gli altri come giudice di come e se dovrebbero vivere, buona e ragionevole per progettare un’azione nel mondo? Un uomo, che potrebbe essere dai suoi poteri, intelligenza e posizione, inclinarlo ad essere grandiosamente interessato al “mondo”, potrebbe essere ritenuto affidabile nel fare la cosa giusta per gli individui nel mondo? Uno dei principali pericoli affrontati da ogni supereroe consiste proprio in questo: la limitazione di ogni prospettiva in un mondo immensamente complesso, la potenziale inesattezza di ogni credenza anche attentamente formata, e la legge delle conseguenze involontarie, potrebbero facilmente destinare i tentativi di un vigilante alla perpetrazione di tremendi disastri piuttosto che all’ottenimento di una giustizia cosmica, e questo mina l’intero concetto di supereroe. Siamo preparati a fare tutto il possibile, in modo ordinario, per rendere il mondo tale da non aver bisogno della salvezza straordinaria di un qualche supereroe che agisca al di là dei limiti di ciò che riteniamo essere moralmente accettabile? Alan Moore lancia la responsabilità del senso e della giustizia su di noi, mostrandoci cosa potrebbe succedere se abdicassimo questa responsabilità, lasciandola a pochi, o a chiunque volesse usurpare a tutti gli altri il diritto di decidere come essere protetti e tenuti in salvo.
La revisione dei supereroi nelle opere di Moore e Miller ci obbliga a ripensare la nostra etica, il nostro ruolo nel mondo, la nostra visione della legge e dell’ordine sociale. Moore e Miller ci chiedono di guardare nell’abisso e usarlo come specchio per guardare dentro di noi più chiaramente.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


venerdì 1 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (1di2)

Le due graphic novel Il Ritorno del Cavaliere Oscuro e Watchmen invitano a ripensare la concezione del supereroe: la questione della giustizia e della vendetta, l’esplorazione dell’etica del vigilantismo, l’ambivalente o persino ostile reazione verso i supereroi da parte della gente e dei governi.
Indipendenti combattenti-del-crimine in costume sono, per definizione, dei vigilantes – prendono la legge nelle proprie mani. Il filosofo inglese John Locke, nel suo Secondo trattato sul governo, sostiene che un importante elemento che definisce la condizione della società civile sia che ognuno rinunci al suo diritto di vendetta privata, delegandolo a un governo legittimamente formato allo scopo di un giudizio e di una sentenza obbiettivi. La storia di Frank Miller su Batman, Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (1986), esamina esplicitamente la questione morale relativa al vigilantismo supereroi stico, re-immaginando la mente di Batman molto più profondamente traumatizzata dall’omicidio dei genitori. Batman riconosce la natura da vigilantes dei combattenti-del-crimine mascherati: «Certo che siamo criminali, siamo sempre stati criminali. Dobbiamo essere criminali». Batman infrange la legge: qualcuno lo vede come un reazionario pericoloso e potenzialmente fascista, qualcuno come il vero campione della giustizia.
Il Superman di Miller, invece, diventa un agente governativo che comprende il risentimento che almeno parzialmente alimenta il movimento contro i supereroi: «Il resto di noi ha riconosciuto il pericolo dell’infinita invidia di quelli non benedetti… Non dobbiamo ricordare loro che i giganti camminano sulla Terra». L’interpretazione di Batman suona così: «Tu hai sempre detto di sì a chiunque con un distintivo o una bandiera… Tu ci hai svenduti, Clark. Tu hai dato loro il potere che avrebbe dovuto essere nostro. Proprio come i tuoi genitori ti avevano insegnato. I miei genitori mi hanno insegnato una lezione differente. Giacendo su quella strada, morendo senza una ragione, mi hanno mostrato che il mondo ha un senso solo quando lo forzi». Per Batman, la presenza di un distintivo o di una bandiera non è né necessaria né sufficiente per la giustizia.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


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