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domenica 30 marzo 2014

anarchici

Purtroppo mi è sembrato di poco spessore filosofico, pur partendo da un interessante idea e offrendo qualche spunto, l'analisi di Flavia Monceri sugli Anarchici nei film Matrix e Cloud Atlas. L'autrice traccia un cambiamento nella figura dell'anarchico che da eletto, super-eroe avanguardista, dotato di un'aura di eccezionalità, come Neo passa - attraverso la mediazione filmica offerta dall'anonimo V di V per Vendetta - agli individui comuni di Cloud Atlas, esponenti di una nuova forma di (post-)anarchia che intende fare i conti con la vita quotidiana di persone che al massimo possono diventare rivoluzionari per caso, anarchici contro un principio di potere e dominazione non del regime politico sul suddito ma dell'uomo sull'uomo, potere che si esplica attraverso la violenza in tutte le sue possibili forme e che nel film è espresso nella ricorrente formula "il debole l'abbatte, il forte che lo inghiotte" ("the weak is meat and the strong do eat"). "In Cloud Atlas le cose cambiano: all'idea che esista un unico luogo del Potere si sostituisce quella di una sua interazione dinamica con tutti gli altri poteri che sono dappertutto, anche nel singolo individuo".
Il presupposto epistemologico di questo passaggio politico è la consapevolezza dell'interdipendenza e la connessione del tutto, chiaramente ed esplicitamente espressa in Cloud Atlas dal proclama di Sonmi-451: "Essere vuol dire essere percepiti. Pertanto, conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e delle nostre azioni, che continuano a suddividersi nell'arco di tutto il tempo. La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro".
"Non esistono gesti, azioni, pratiche, parole e silenzi che non cambino la realtà, perché nessuna di queste cose può rimanere senza conseguenze che si estendono al di là di ogni possibile controllo nel mondo nel quale accadono. Un mondo che non è governato da nessun principi, un mondo sostanzialmente an-archico".

giovedì 5 aprile 2012

pillole amare

Virtualmente tutti i filosofi esistenzialisti parlano in maniera diffusa del tipo di scelta operata da Neo fra onestà e ignoranza, verità e illusione, una scelta fra l’autenticità e l’inautenticità. I personaggi di Matrix e La nausea, romanzo esistenziale di Sartre, illustrano bene i pro e i contro dei due stati.
Come i classici della letteratura esistenzialista, anche Matrix illustra sia le spiacevoli conseguenze dell’autenticità sia il fascino dell’inautenticità. Il personaggio Neo è emblematico dell’agonia che accompagna il movimento verso l’autenticità e la realizzazione di questa. Neo è come il prigioniero che esce dalla caverna di Platone. Cypher, invece, illustra l’attrazione dell’inautenticità optando per l’ignoranza: «Vede, io so che questa bistecca non esiste… so che quando la infilerò in bocca, Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni, sa che cosa ho capito? Che l’ignoranza è un bene».
Nel romanzo La nausea, Sartre dimostra come l’autenticità sembri insopportabile e l’inautenticità stessa si presenti come un rifugio. Il protagonista, Roquentin, diviene con riluttanza consapevole della vera natura della realtà. Per esempio, nello stringere la mano di un amico, la lascia andare terrorizzato perché gli dà la sensazione di “un grosso verme bianco”. Analogamente, è paralizzato dalla paura quando afferra la maniglia di una porta che sembra a sua volta afferrarlo. Quando guarda nello specchio per riprendersi, non trova alcun sollievo, alcun conforto, perché “non capisce nulla del suo volto”. Vede invece solo qualcosa “al confine col mondo vegetale, al livello dei polipi, una carne scipita che si chiude e palpita con abbandono". Inoltre, quando guarda la sua mano e al suo posto vede un crostaceo, l’impressione è talmente insopportabile che si pugnala alla mano. In tram un semplice sedile assume l’aspetto della pancia gonfia di un animale morto. Anche se pare che Roquentin stia perdendo contatto con la realtà, alla fine diviene evidente che, in effetti, sta diventando consapevole della sua vera natura. Ciò che le esperienze di Roquentin rivelano è che “la diversità delle cose e la loro individualità non sono che apparenza, una vernice” e che gli uomini esistono – e sono confinati – in un mondo essenzialmente privo di ordine e significato. Ai piedi del castagno “questo Mondo, il Mondo nudo e crudo si mostra d’un tratto”.
Sia Matrix sia La nausea dimostrano che l’autenticità è difficile non solo perché la verità che rivela è dura per lo stomaco, ma anche perché l’inautenticità è la norma della maggior parte della gente. Gli esistenzialisti imputano il prevalere dell’inautenticità tanto alla resistenza psicologica quanto all’indottrinamento sociale. Tuttavia, poiché l’inautenticità rappresenta una fuga davanti a se stessi e noi non possiamo sfuggire a ciò che siamo, una vita inautentica è caratterizzata da un certo disperato fervore e da uno sforzo perpetuo. Oltre a non riuscire a sradicare l’ansietà e a essere costretti a una sorta di “vita in fuga”, vivere in modo in autentico comporta anche la conseguenza negativa di limitare la libertà di un individuo. Anziché abbracciare l’opportunità di creare se stessi, gli individui inautentici preferiscono adottare identità predeterminate, calarsi in ruoli che gli sono stati imposti anziché ritagliarseli da se stessi. Quando accetta la vera natura dell’esistenza, Roquentin smette di correre e comincia a vivere, si impegna nell’arduo e poco attraente compito di esistere giorno per giorno ingiustificabile e senza scuse.

(Jennifer L. McMahon, Ingoiare una pillola amara: l’autenticità esistenziale in Matrix e nella Nausea, in Pillole rosse. Matrix e la filosofia)


martedì 3 aprile 2012

l'eletto

La storia della filosofia ci fornisce due opposte interpretazioni dell’idea di salvezza. Nella versione platonica, dove la fonte dell’illusione è esterna agli esseri umani che ne sono ingannati, colui che deve vincere l’illusione giunge anch’egli dall’esterno. Un uomo eccezionale, un “re filosofo”, è necessario per guidare l’umanità.
La seconda alternativa, difesa da Kant, è quella della filosofia dell’Illuminismo moderno. La sola società che ha valore è quella in cui liberi cittadini governano se stessi. Gli schiavi possono essere veramente liberi solo se si liberano da sé. Se la libertà dalle catene gli è data senza che essi vi partecipino con i loro stessi sforzi, ricadranno velocemente in uno stato di servitù. Kant sostiene che nessuno può salvarci, eccetto noi stessi. Quest’auto-liberazione dell’umanità è il destino che ciascuno di noi deve scoprire autonomamente.
Per evitare la disperazione, l’individuo deve avere fede nella possibilità di realizzare l’ideale morale come matrice di un mondo pienamente dispiegato. Kant distingue tre aspetti di questa fede, li chiama postulati, e sono: libertà, Dio e immortalità.  Tali credenze sono essenzialmente quelle dei liberatori, dei salvatori dell’umanità. Attraverso i postulati impariamo a eseguire la nostra missione terrena, impariamo cosa vuol dire essere l’Eletto, il quale può creare il mondo del sommo bene, può giungere alla terra promessa di Zion, regno celeste sulla terra.
Per vedere la nuova Matrix della mente unita, compartecipata, è necessario credere non solo che esista la libertà, ma che le persone libere abbiano il potere di creare il sommo bene, che, sintonizzandosi nella realtà della nostra unione morale, abbiano il potere di realizzare fini più elevati, di creare un mondo radicalmente differente.  Nella sala d’attesa dell’Oracolo, un “potenziale eletto” dice a Neo: «Non credere di piegare il cucchiaio. È impossibile. Cerca invece di giungere alla verità che il cucchiaio non esiste. Allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi, ma sei tu stesso». Noi non possiamo cambiare la realtà esterna se crediamo che sia separata da noi. Se però riconosciamo che essa è una sola cosa con noi allora basterà soltanto piegare noi stessi e il cucchiaio si piegherà. Il “sé” in un questo caso non è l’ego separato, isolato, ma il Sé più elevato in unità con il Tutto. Avremo un potere divino solo se rinunceremo all’illusione della separatezza. Neo deve imparare che non è l’Eletto, l’Unico, bensì che è Uno insieme a ogni esistenza. Ne segue che Dio dovrebbe essere visto come un’estensione di noi stessi quando trascendiamo i limiti della separatezza fisica.
La vitalità del corpo fisico dipende dalla credenza mentale nel potere ultimo della morte. È questa la regola che governa Matrix. Il potere di ogni individuo, la sua realtà, dipendono dalle sue credenze, e queste sono in ultima analisi regolate dalla paura della morte. Per compiere il proprio destino come essere morale è necessario che l’individuo abbandoni la credenza nella morte e la paura davanti a essa, perché entro i limiti di una sola vita è impossibile per l’individuo compiere il proprio supremo dovere: determinare la venuta del sommo bene. Lo scopo morale di determinare il sommo bene è qualcosa che riguarda il nostro mondo, non un altro mondo. In tal modo, l’immortalità postulata dalla moralità dev’essere un’immortalità “inframondana”.

(James Lawler, L’eletto? Noi siamo (l’)Uno! Kant spiega come manipolare Matrix, in Pillole rosse. Matrix e la filosofia)

 

giovedì 19 maggio 2011

matrice scettica

«Come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. Una prigione per la tua mente».

Nelle sue classiche Meditazioni metafisiche, Cartesio presenta un influente argomento scettico, concepito non per dimostrare che lo scetticismo è vero, ma per costruire una base solida per la scienza. Quando si sogna, può sembrare di star seduti su una poltrona, di leggere questo libro, mentre in realtà si sta dormendo profondamente nel proprio letto. Non siamo in grado di distinguere tra le esperienze della veglia e le esperienze che ci sembra di vivere in sogno finché non ci svegliamo, una nozione che Morpheus in Matrix esprime quando chiede: «Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero, Neo? E se da un sogno così non ti potessi più svegliare, come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?».
Tuttavia la prima meditazione di Cartesio si conclude con la presa in considerazione del seguente esperimento di pensiero ancora più radicale. Supponiamo – dice – che un «demone maligno sommamente potente e astuto abbia impiegato tutte le sue energie per ingannarmi». Una tale creatura, sostiene Cartesio, potrebbe facilmente condurci a conclusioni erronee sulla somma di due e tre o sul numero dei lati di un quadrato. Questo demone maligno potrebbe ancor più facilmente indurci a pensare che ci sia un mondo fisico esterno a noi, mentre di fatto «il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne non sono altro che inganni dei sogni, con cui il demone ha teso insidie alla [nostra] credulità».
In un contributo contemporaneo al dibattito sullo scetticismo, Peter Unger – egli stesso difensore della posizione scettica – prospetta la possibilità che noi tutti siamo ingannati non da un demone malvagio, ma da uno scienziato malvagio, un super-neurologo che utilizza un computer per generare impulsi elettrici. Un tale scenario, sostiene Unger, implica quanto segue: «Nessuno può mai sapere [con assoluta certezza] che non esiste nessuno scienziato malvagio che, mediante elettrodi, lo stia ingannando nel fargli credere falsamente all’esistenza delle rocce», e quindi nessuno può mai sapere che esistono rocce.
Hilary Putnam va ancora oltre questo scenario fantascientifico scettico. Nella versione putnamiana dell’argomento, uno scienziato malvagio non ci inganna solo riguardo alle rocce, ma su tutto ciò che crediamo di percepire attraverso i sensi. Putnam comincia col chiederci di immaginare che i nostri cervelli siano stati chirurgicamente separati dal resto del corpo e messi in una vasca piena di sostanze chimiche cerebro-nutritive. Un potente computer invia poi degli impulsi elettrici ai nostri cervelli dando origine, per esempio, all’illusione di essere seduti su poltrone a leggere libri, di giocare a tennis e così via.

(Gerald J. Erion e Barry Smith, Scetticismo, moralità e Matrix, in Pillole rosse. Matrix e la filosofia)

giovedì 3 marzo 2011

le missioni di neo e socrate

Questioni e missioni
Neo è in missione per salvare la razza umana inintenzionalmente schiava dell’intelligenza artificiale. Anche Socrate è in missione, una missione per conto di (un) dio – Apollo –, rivelata al suo amico Cherofonte dall’oracolo di Delfi. La missione che Socrate deve scegliere di accettare era di “risvegliare” la gente della sua città, Atene.
Trinity dice a Neo: «È la domanda a guidarci». La loro domanda: «Che cos’è Matrix?». Anche Socrate, come Neo, ha «un chiodo fisso nel cervello» e una domanda guida: «Qual è la vita migliore?». Per entrambi, il domandare è foriero di guai. Socrate si ritrova sotto processo, accusato di empietà e di corruzione della gioventù; Neo è accusato dagli Agenti di aver «commesso ogni crimine informatico concepibile e attualmente perseguibile».
Allo stesso modo di Neo, l’avventura eccezionale di Socrate è scaturita dalle parole di un oracolo.
Che cosa ha detto l’Oracolo?
L’Oracolo ha predetto a Morpheus che troverà l’Eletto, l’unico in grado di interrompere il dominio di Matrix e di liberare l’umanità con la verità. Quindi Morpheus scollega Neo e, dopo riabilitazione fisica e kung fu fighting, lo conduce dall’Oracolo per la conferma. Neo oppone resistenza a questa grande possibilità, e rifiuta l’idea che la sua vita sia in certa misura predestinata. Anche Socrate, analogamente, oppose resistenza al proprio destino. Socrate ci dice di essersi proposto allora di confutare le parole profetiche dell’Oracolo.
L’Oracolo nel corso del loro incontro elargisce dei consigli schietti. Indicando una scritta sulla porta della propria cucina, chiede a Neo se sa cosa significhi. È latino, gli dice, significa: “Conosci te stesso”. Questo motto è di fatto la chiave per comprendere il senso della profezia dell’Oracolo. La stessa frase era scritta in greco nel tempio di Apollo a Delfi.
La conoscenza di se stessi è la chiave, e senza di essa non possiamo avere accesso a nessun’altra conoscenza veramente tale.

(da William Irwin, Computer, caverne e oracoli: Neo e Socrate, in Pillole rosse. Matrix e la filosofia)

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