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sabato 25 febbraio 2012

alla rivoluzione ballando

Una rivoluzione senza un ballo è una rivoluzione che non vale la pena di fare.

Dice il protagonista del film V per vendetta, citando l'anarchica russa Emma Goldman, "Se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione!".

lunedì 20 febbraio 2012

meraviglie?

Si provi a immaginare quale effetto farebbe se creature diverse e straordinarie camminassero veramente tra di noi: gli uomini si sentirebbero infinitamente inferiori, come vermi, in confronto a questi esseri, che li terrorizzerebbero anche quando compiessero atti spettacolari per difenderli. La paura sarebbe il sentimento prodotto e generato dalla presenza di queste “meraviglie”. Un’opera come, appunto, Marvels – di Kurt Busiek e Alex Ross, del 1994 –, che presenta la prospettiva di un reporter che fotografa supereroi – idea in parte ripresa con Marvel. Eye of the Camera, sempre di Busiek, del 2008 –, ce ne dà l’idea. Come dimostrano anche i supereroi di Watchmen (di Alan Moore e Dave Gibbons, del 1986-1987) – che agiscono al di là della legittima autorità dello Stato – e Superman: Red Son (di Mark Millar e Dave Johnson, del 2003) – che mostra come i supereroi in contesti non democratici (nel caso specifico, un Superman atterrato nell'Unione Sovietica anziché che negli Stati Uniti) possano svolgere azioni teoricamente atte a realizzare un’utopia ma che inevitabilmente, invece, conducono a risultati distopici –, sembrerebbe chiaro che la presenza di supereroi e mutanti renderebbe gli uomini più insicuri. 
Segnalazione ancora per un ultimo – anche per data di pubblicazione – esempio di questa visione delle “meraviglie” (marvels) come fonte di insicurezza, paura, terrore. Un esempio che, in più, ha per protagonisti proprio i mutanti: Before the Devil KnowsWe’re Dead, protagonista la squadra dell'incredibile X-Force di Wolverine, Psylocke & co.





sabato 11 febbraio 2012

c'è un übermensch tra i watchmen?

L’oltreuomo annunciato da Nietzsche non è amorale come il Comico, che si delizia dei suoi impulsi distruttivi e antisociali, non è il culmine del nichilismo ma il suo superamento. Il Comico ha creato se stesso sull’immagine di un mondo brutale e senza significato, ma la sua posa da commediante lo rende definitivamente incapace di affermare alcunché. Benché il Comico abbia affrontato il nichilismo, è incapace di andare oltre, di creare, traendo invece piacere dalla distruzione.
Rorschach ha guardato nell’abisso del nichilismo, ma è uscito da questo confronto auto-impoverito e ossessionato, incapace di affrontare la morte di Dio e ancorandosi ai suoi valori conservatori e reazionari, negando e non affermando.
Il Dr. Manhattan ha letteralmente creato se stesso ed è andato oltre la credenza in valori oggettivi, ma il suo fatalismo prosciuga la sua vita da ogni motivazione. Egli non sceglie veramente mai nulla, non è né creativo né affermativo.
Ozymandias coscientemente pianifica di creare se stesso, acquisendo conoscenze e abilità e allenandosi, dando prova di aver ordinato il suo corpo e la sua mente secondo un piano artistico. Ma le sue azioni in definitiva si conformano all’utilitarismo.
Nessun vero oltreuomo, dunque, tra i Watchmen.



giovedì 2 febbraio 2012

è lecito raddrizzare questo mondo alla deriva?

Il personaggio di Watchmen Rorschach sembra esemplificare la teoria retributiva della punizione, secondo la quale il male deve essere punito non perché così facendo il mondo sia un luogo migliore, ma semplicemente perché è male e merita una punizione. Ma perché il male deve essere punito? Chi determina cosa è male? Chi determina qual è la punizione appropriata o adatta? E nella nostra ricerca di dispensare la meritata giustizia, non rischiamo di diventare noi stessi i mostri contro cui combattiamo? È solo vendetta o c’è qualcosa di nobile nel ripagare un criminale per il suo crimine?
Secondo il retribuzionismo la giustificazione per punire una persona è data semplicemente dal fatto che il ritorno di sofferenza per l’azione cattiva è in sé moralmente buono. È chiaramente una teoria non consequenzialista, non giustificata cioè dai risultati (riabilitazione, sicurezza o altri desiderabili risultati). Kant ha affermato che la punizione “deve sempre essere inflitta [al criminale] solo perché egli ha commesso un crimine” (La metafisica dei costumi), non per il bene stesso del criminale, non per il bene della società. Il criminale non deve essere trattato come semplice mezzo, non si possono usare le persone per gli scopi della società, “un essere umano non può mai essere trattato solo come un mezzo per gli scopi di un altro”. La punizione deve rispettare i criminali come agenti morali, cioè chi sbaglia deve essere riconosciuto responsabile delle proprie azioni, devono essergli riconosciute la dignità e il rispetto perché è autonomo. “La legge della punizione è un imperativo categorico, e guai a chi cercasse di fare in modo di liberare il criminale dalla punizione o di ridurne l’ammontare per possibili benefici che ciò potrebbe comportare, perché la giustizia cessa di essere giustizia se può essere comprata anche per qualsiasi prezzo” (Fondamenti della metafisica dei costumi).
La punizione ripara il tessuto sociale rotto dall’azione criminale, “è la cancellazione del crimine e la restaurazione della giustizia” (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto). È necessario punire perché valutiamo noi stessi e la società, perché rispettiamo l’intima dignità in ognuno di noi e desideriamo riaffermare questi valori su cui le nostre vite e la nostra società sono fondati. C’è molto più che vendetta.
Se Rorschach lasciasse proseguire Veidt con il suo piano, la giustizia sarebbe comprata, non servita. Rorschach rifiuta ogni compromesso, rifiuta di svendere la giustizia. “È meglio sacrificare la vita che rinunciare alla moralità. Non è necessario vivere, ma è necessario, finché viviamo, farlo onorevolmente” (Kant, Lezioni di etica).
La punizione è più che un rispondere al dolore col dolore, riguarda la restaurazione dell’ordine e l’affermazione di valori fondamentali. Ma chi determina una adeguata punizione? Rorschach è brutale e probabilmente noi non vogliamo spingerci così in là come lui. Egli è troppo sicuro e orgoglioso, è giudice, giuria ed esecutore insieme. Il problema col retribuzionismo non è l’idea ma la sua applicazione.



martedì 31 gennaio 2012

un test di rorschach

More about Watchmen and PhilosophyTra i tanti volumi pubblicati nella collana Philosophy and Pop Culture, uno dei più interessanti è Watchmen and Philosophy. A Rorschach Test. Una serie di articoli indaga il graphic novel di Alan Moore del 1985, Watchmen appunto, cercando di vagliarne le indubbie profondità filosofiche. 
Una prima parte degli interventi si prefigge, ad esempio, di valutare le politiche del potere che il motivo conduttore dell'opera – "chi controlla i controllori?" o "chi custodisce i custodi?" (who watches the watchmen) – implica e porta con sé: è lecito assumersi la responsabilità di provare a raddrizzare un mondo alla deriva? 
Altri articoli affrontano questioni etiche, quali il rapporto tra mezzi e fini dal punto di vista delle contrapposte prospettive consequenzialiste (rappresentate in Watchmen da Ozymandias) e deontologiche (di cui sembra farsi portavoce Rorschach), il valore delle aristoteliche virtù mediane (le virtù "con la pancetta" di Nite Owl, un tipo ordinario in un mondo straordinario che prova a fare del bene senza rovinare se stesso nel processo), l'interrogativo su se e quando dire la verità possa essere sbagliato.
Una terza parte del saggio tenta un approccio a questioni metafisiche quali la natura dell'identità personale, del tempo, della libertà umana. Infine, l'ultima sezione è relativa al valore letterario di un'opera a fumetti come Watchmen, cui non si può opporre la domanda critica e snobistica "perché non ti vai a leggere un bel libro?".

sabato 5 novembre 2011

ricorda per sempre il 5 novembre

Ricorda per sempre il cinque Novembre,
e la Congiura contro lo Stato.
Ricorda e sta' attento che quel tradimento
mai e poi mai sia dimenticato.


giovedì 5 maggio 2011

il triste tropico del dottor manhattan (2di2)

È del tutto evidente, a questo punto, che in Watchmen l’alternativa tra il cinismo amorale del Comico e la ragione calcolante di Ozymandias è più apparente che reale. Anche per Ozymandias gli uomini non sono in grado di governarsi: sono la malattia, non il sintomo. L’umanità deve essere assoggettata ad una “luminosa trasformazione”. E anche tra Ozymandias e Rorschach, al di là delle differenze espressive, ciò che è comune è l’essenziale. Il motto kantiano fiat lex, pereat mundus potrebbe essere il loro: la coerenza della ragione è tutto, i mezzi e i costi sono irrilevanti o sopportabili. La similitudine tra i due spiega molto bene l’affinità tra il Despota totalitario che cerca di costringere e immobilizzare la totalità di ciò che è significabile e conoscibile all’interno della propria verità, e il tecnocrate che pretende di dettare, con il proprio sapere tecnico-funzionale, il ritmo della società e del senso che al suo interno si produce. Nel caso di Rorschach l’annuncio della fine del mondo come punizione per i peccati dell’Umanità, nel caso di Ozymandias la nuova Utopia dell’umanità salvata dall’inferno dalla nuova guida. In ambedue i casi la cifra del significante è la dimensione religiosa: si tratta di sapere solo se questo dio sia vendicativo o misericordioso.
Per rimuovere la sofferenza, l’ingiustizia, la miseria, scriveva il giovane Marx, non basta studiare il mondo: bisogna cambiarlo. Nella prassi. A loro modo, gli eroi mascherati di Watchmen hanno cercato l’anello che non tiene in questa catena: il rigore senza mediazione del “kantiano” Rorschach, il decisionismo cinico del Comico, l’illuminismo imperialistico di Ozymandias. Ma, ribatte l’etnologo Lévi-Strauss, «a che serve agire se il pensiero che guida l’azione conduce alla scoperta dell’assenza di senso?» (Tristi tropici). Ma la sofferenza di un singolo essere umano – Laurie Juspeczyk/Silk Spectre II –, l’improbabile catena combinazione di eventi che determina la sua sofferenza, il “miracolo termodinamico”, è ciò che conferisce senso alla sua esistenza, e con la sua a quella di chiunque al mondo: è questa scoperta del senso che si genera a dispetto della sua improbabilità a spingere Manhattan a lasciare Marte e ritornare sulla Terra per cercare di fermare Ozymandias. Il senso è creazione, è un prodotto, un effetto scaturito dalla combinazione di elementi che di per sé non sono significanti. Il non-senso, il casuale, l’imprevedibile non è la negazione del senso, ma ciò che lo precede, ciò che lo produce. C’è sempre un eccesso, una sovrapproduzione di senso, come sanno lo sguardo di Manhattan e la scienza di Lévi-Strauss: proprio per questo, ciò che chiamiamo “senso” è una scelta che dev’essere fatta, un gesto. Il senso non viene prima, dev’essere prodotto proprio perché non viene, ma c’è. Viene dopo, non va riconosciuto come Verità, ma creato. Creare un mondo nel quale sia possibile pensare questo senso – nel quale nessuno sarà guardato da un Guardiano – è un compito politico, dunque culturale.

(da Girolamo De Michele, Watchmen (Il triste tropico del Dottor Manhattan), in Pop filosofia)

mercoledì 4 maggio 2011

il triste tropico del dottor manhattan (1di2)

In Watchmen il Dottor Manhattan è in grado di vedere il tempo come una struttura sincronica non divisa in passato, presente e futuro e la realtà come un insieme di strutture prive di un senso intrinseco, il cui significato è il nudo fatto della loro esistenza. Il cosmo esiste, è un fatto. Il senso non è un fatto: non esiste. Il problema etico sembra assente dalla visione del Dottor Manhattan, come sembra scomparire davanti agli occhi di Lévi-Strauss, al termine del suo viaggio raccontato in Tristi tropici. Il Dottor Manhattan, dotato di una scienza universale capace di cogliere ogni significato esistente, è un etnografo cosmico, in grado di cogliere, con un semplice sguardo, somiglianze e differenze tra due profondità diversissime. In definitiva, accade al Dottor Manhattan che «il distacco impostogli dallo scrupolo morale e dal rigore scientifico, gli impedisce di criticare la sua propria società, dato che non vuole giudicarne nessuna al fine di conoscerle tutte» (Tristi tropici). La polarità tra la ragione assolutizzante (illuministica) e la visione buddhista è la matrice del confronto tra Ozymandias e Dottor Manhattan negli ultimi due capitoli di Watchmen. Scegliere l’ascesi significa ammettere l’amara conclusione cui Lévi-Strauss giunge: «Qualsiasi sforzo per comprendere distrugge l’oggetto al quale eravamo dedicati».
Watchmen ruota attorno al paradosso che in forma politica viene scritto con gli spray durante la rivolta del 1977 sui muri di New York: Who Watches the Watchmen? Chi guarderà i guardiani? L’enunciato induce un senso di paura nei confronti della strada – cioè della dimensione pubblica –, suggerisce implicitamente di rifugiarsi in casa, nel privato, di smettere di essere cittadini. La sua prima formulazione è nelle Satire di Giovenale: «Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes?» (Serra la porta, tieni tutti chiusi all’interno, ma chi sorveglierà i sorveglianti?). la visione del mondo di Giovenale ha una profonda relazione con lo spirito di alcuni Watchmen – in particolare Rorschach: degradazione morale, nessuna speranza di redenzione, misoginia, omofobia: «Questa città ha paura di me. ho visto la sua vera faccia. Le strade non sono che un prolungamento delle fogne e le fogne sono piene di sangue e quando alla fine tutti i tombini salteranno i parassiti affogheranno. L’antico sudiciume del loro sesso e dei loro delitti salirà ribollendo fino alla loro cintola, e allora le puttane e i politicanti leveranno lo sguardo e grideranno “Salvateci!”». Giovenale irride l’idea che dalla corruzione e dal degrado morale si possa essere salvati da un intervento divino: per lui neanche un dio ci può salvare. E su questo tema si dividono i Watchmen, moderni dèi. Per Rorschach il degrado umano e morale è irrimediabile. Per il Comico la risposta è diversa, ma altrettanto cupa. I nuovi dèi hanno la capacità di “salvare” l’umanità, perché hanno operato la decisione – o hanno accettato la decisione – su chi è l’amico e chi è il nemico, su cos’è il Bene e cos’è il Male: gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti da loro stessi, e questo legittima i Custodi dell’ordine, rende superfluo il paradosso della custodia dei Custodi. I decisionisti e i reazionari amano sciogliere i paradossi con la spada: Schmitt definisce la democrazia come «discussione che non mette in discussione se stessa» e propone la superiorità dell’azione sovrana sui mali della discussione. Edward Blake, il Comico, esprime l’assenza di ragione – il vuoto della decisione – che legittima la decisione arbitraria del Politico che immette ordine nel nulla: «Una volta che hai capito che tutto è una barzelletta, essere il Comico è la sola cosa che abbia un senso». Perché gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti? Perché preferiscono essere servi, piuttosto che essere liberi. La radice prima di ogni potere è nel desiderio di asservimento dei sudditi, nel loro assoggettamento volontario a un’autorità che promette di volta in volta la vita, la pace sociale, l’ordine, il progresso. Gli esseri umani si credono impotenti, il popolo si percepisce incapace di autogoverno, e chiede di essere governato dal grande Altro del Potere. Il Potere si fonda sulla dialettica tra paura e rassicurazione, sullo scambio tra libertà e sicurezza.

(da Girolamo De Michele, Watchmen (Il triste tropico del Dottor Manhattan), in Pop filosofia)

martedì 12 aprile 2011

barbara gordon e la perfettibilità morale

La storia di Barbara Gordon illustra i temi chiave della perfettibilità morale, teoria filosofica rintracciabile ovunque ci siano vicende relative al progresso morale di individui. Il tema centrale della perfettibilità morale è che il sé può migliorare e che una vita veramente morale è quella in cui il sé tenta continuamente di progredire. Altre tematiche riguardano il ruolo che i modelli e gli amici giocano nella propria ricerca di un progresso morale, e i continui pericoli di un inappropriato conformismo nella propria avventura morale, nello sviluppo di un sé morale ben distinto.
In Batgirl: Anno uno, abbiamo un accesso diretto ai pensieri di Barbara Gordon: «Voglio entrare in azione. Qualcosa che mi faccia uscire da dove sono, da dove non voglio essere». Questo momento nella vita di Barbara è accostabile a un passaggio del saggio Sulla libertà del filosofo John Stuart Mill: «In questi tempi, dalle classi più alte alle più basse della società, ognuno vive come sotto l’occhio di un ostile e terribile censore. Non ci si chiede cosa preferisco? Cosa si adatta al mio carattere e alle mie attitudini? Cosa permetterebbe al meglio che c’è in me di avere spazio e possibilità per crescere e prosperare?». La via di uscita da questa condizione meno che desiderabile è porre attenzione ai propri desideri. Barbara Gordon chiaramente fa esperienza di una pressione a conformarsi a ciò che suo padre vuole e che la società in generale si aspetta da una giovane donna della sua età, e trova questa condizione indesiderabile: «Devo trovare un altro cammino. Indovinare il mio proprio futuro, uno unicamente mio. Non una pagina del libro di un altro. Posso diventare qualcosa di più, qualcosa di più alto. Uscita dal guscio in cui ero, emergerò migliore. Mi alzerò con nuove ali. Come una falena, o un pipistrello».
Barbara ha bisogno, come tutti, di un modello, un paradigma, un mentore che la aiuti a rappresentarsi chi è, o meglio chi vorrebbe essere. Il ruolo di un modello nella ricerca per una vita morale ha una lunga storia che può essere fatta risalire almeno a Socrate e ai suoi seguaci. Questi erano essenzialmente giovani che percepivano nella vita di Socrate un orientamento verso il bene verso cui anche loro erano trascinati. Ma ci sono dei pericoli nel basarsi su un simile rapporto. Fondamentale è che il modello non deve essere emulato. Friedrich Nietzsche nel suo saggio su Schopenhauer come educatore afferma: «È difficile creare in qualcuno una condizione di intrepida autoconoscenza perché è impossibile insegnare l’amore; perché è solo l’amore che può concedere all’animo non solo una visione chiara, discriminante e auto-sprezzante di sé, ma anche il desiderio di guardare oltre se stesso e ricercare con tutte le proprie forze un più alto sé ancora celato». Ricercare un sé più alto ma ancora celato è esattamente ciò che Barbara Gordon sta facendo. La parola iniziale di Batgirl: Anno uno è “maschere”. La maschera rivela l’identità. La maschera metaforica che indossa all’inizio è precisamente quella che nasconde il suo più alto sé. È ciò che potremmo chiamare la maschera da “Barbara Gordon”, il guscio che circonda la bibliotecaria e nipote del tenente James Gordon. È solo quando indossa la maschera da Batgirl che inizia il suo viaggio verso un più alto sé, il sé futuro, quello che non conosce ancora. È in Batman che Barbara cerca un riconoscimento, gli chiede di accettare il suo desiderio per un sé migliore. Ha bisogno che il suo desiderio venga riconosciuto, ha bisogno di sapere che esso ha un senso per gli altri come sorta di conferma che ne abbia per lei. Allo stesso tempo, mentre è chiaro che Batman è il suo modello, è altrettanto chiaro che il cammino individuale di Barbara non può essere semplicemente una copia di quello di Batman. il percorso di ognuno deve essere radicato nelle esperienze e nei desideri individuali, e il ruolo di Batman come modello è quello di rimandare indietro a Barbara l’immagine della legittimità e della specificità del suo proprio desiderio per un sé migliore.
Sarebbe un malinteso, però, ritenere che esista un unico giusto sé, un unico sé più alto e migliore che è l’obiettivo finale della ricerca, che la ricerca possa finire, il gioco terminare. Perché tanta gente dovrebbe lottare con forme inappropriate e in autentiche di conformismo se la genuina individualità fosse così chiara e semplice da raggiungere? Barbara – anche una volta divenuta Batgirl – riconosce che il sé che spera di raggiungere, che è in cammino per raggiungere, è provvisorio. L’ultima frase di Batgirl: Anno uno esprime la fragilità del presente e ironicamente presagisce il futuro: «Nonostante il mio grande e immutato rispetto per gli oracoli, ho deciso di rinunciare a predizioni e portenti. C’è ciò che potrebbe essere e c’è la vita che conduco in questo momento». In Oracle: Anno uno, Barbara inizia il lungo processo di recupero dalle ferite inferte dal Joker – sulla graphic novel di Alan Moore The Killing Joke – al suo corpo e alla sua mente e di trasformazione in Oracolo, e questo passa necessariamente attraverso un allontanamento da Dick Grayson, precedentemente assistente di Batman come Robin che ha ora assunto la nuova identità di Nightwing. Barbara decide che non può più vederlo, avendo compreso che Dick è diventato semplicemente un altro Batman. Barbara ha diagnosticato la possibilità latente in una versione deformata della perfettibilità morale, quella in cui la ricerca per un sé più alto si trasformi nel divenire niente più che una semplice copia del sé più alto di un’altra persona. Vedere Nightwing non smette di ricordarle ciò che era prima, le presenta qualcosa come un modello retrogrado che la spinge indietro verso il cammino passato. Così Barbara riconosce il modo in cui il passato stesso può intrappolarci in una sorta di conformismo, o ciò che John Stuart Mill chiamava un costume, uno schema  abituale.
A volte non è il riconoscimento e la guida di un modello ciò di cui abbiamo bisogno, ma qualcuno che semplicemente ascolti i nostri tentativi di capire noi stessi, di arrivare a una qualche misura di autocoscienza. Un amico è precisamente quella persona che in ogni momento sa accompagnarti nel tuo viaggio ascoltandoti con orecchie limpide, incoraggiandoti e supportandoti quando è ciò che ti serve. L’amicizia stimola a migliorare, spinge nella direzione della crescita, verso un sé non raggiunto ma raggiungibile.

(da James B. South, Barbara Gordon and moral perfectionism, in Superheroes and philosophy)

 

sabato 2 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (2di2)

La narrazione di Watchmen (1986-87) di Alan Moore analizza le ramificazioni psicologiche, etiche e politiche del vigilantismo. Una delle maniere in cui Watchmen ci obbliga a ripensare i supereroi è ritraendone diversi come psicologicamente problematici. Rorschach, per esempio, è rimasto traumatizzato da un’infanzia abusata. Egli è assolutamente crudele nella sua volontà di usare la violenza per combattere il crimine, eppure il suo impegno per la giustizia sembra reale e senza compromessi. È stato l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto sotto gli occhi di trentotto testimoni che sono rimasti a guardare senza fare nulla mentre veniva pugnalata a morte in un luogo pubblico, a stimolare Rorschach all’azione, farlo vergognare dell’umanità e ispirarlo a indossare una grottesca maschera con macchie d’inchiostro, «una faccia che potesse sopportare di guardare allo specchio». Diversamente da Superman e Spider-Man, né Rorschach né Batman possiedono superpoteri. Eppure scelgono di votare le proprie vite a combattere il crimine. Sono psicopatici guidati dalla vendetta, oppure ognuno di noi che prende le distanze da loro dovrebbe essere considerato come quegli ordinari mostri che sono stati i vicini di Kitty Genovese, la cui complicità nell’orrore consiste in un’assoluta inazione? O potrebbero entrambe queste ipotesi essere vere? L’epigrafe al capitolo VI di Watchmen è un aforisma di Friedrich Nietzsche: «Chiunque combatta i mostri deve stare attento che nel farlo non diventi egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te» (Al di là del bene e del male). Hanno Rorschach o Batman fallito nel seguire questo avviso? O è il resto di noi ad essere troppo conservatore, troppo spaventato, o troppo debole per prendere il nobile rischio di affrontare i mostri? L’atteggiamento fondamentale dei supereroi sembra essere che, al contrario di quanto sostenuto da Locke, è diritto di tutti, se non dovere, combattere il crimine, e fare tutto il possibile per ricercare la giustizia per noi stessi e la nostra comunità. Spider-Man notoriamente riconosce che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», ma Rorschach ci mostra che il “potere” di combattere il crimine è più che altro una questione di volontà, di scelta, che sembra comportare una grande responsabilità per noi tutti.
Un altro personaggio di Moore è Ozymandias, un individuo chiaramente megalomane che prende niente meno che Alessandro Magno come modello personale. Egli organizza una finta intrusione aliena a New York comprendente un’esplosione che sa ucciderà milioni di persone. La sua spiegazione è che l’improvvisa apparizione di una minaccia aliena che mette a rischio la vita umana spingerà tutte le altrimenti bellicose nazioni verso una pacifica collaborazione contro il nuovo nemico comune. Il piano ordito da Ozymandias ha successo. La questione che viene posta non è semplicemente se Ozymandias sia impazzito o divenuto malvagio, o entrambe le cose. Bisogna chiedersi se qualcuno nella sua posizione potrebbe mai aver diritto a fare qualcosa di analogo. Bisogna inoltre confrontarsi con la questione se chi si dissocia da una tale azione potrebbe a sua volta essere in qualche modo biasimato per essere troppo debole da fare ciò che sarebbe necessario per salvare il pianeta. Questo uomo, questo supereroe intelligente e popolare, è diventato un mostro, o è solo un saggio incompreso? È lo sconnesso e trasandato Rorschach – che a questo piano ha tentato di opporsi – un testardo, a causa della sua ossessiva fissazione su ciò che considera essere giusto, o ha ragione nel rifiutare l’etica utilitaristica usata per razionalizzare l’omicidio di milioni di persone? Moore e Miller ci obbligano a rivedere il nostro sguardo sui supereroi, e in ultima analisi anche quello su noi stessi e il nostro ruolo nel mondo.
È la prospettiva olimpica, con cui una persona si posiziona sopra gli altri come giudice di come e se dovrebbero vivere, buona e ragionevole per progettare un’azione nel mondo? Un uomo, che potrebbe essere dai suoi poteri, intelligenza e posizione, inclinarlo ad essere grandiosamente interessato al “mondo”, potrebbe essere ritenuto affidabile nel fare la cosa giusta per gli individui nel mondo? Uno dei principali pericoli affrontati da ogni supereroe consiste proprio in questo: la limitazione di ogni prospettiva in un mondo immensamente complesso, la potenziale inesattezza di ogni credenza anche attentamente formata, e la legge delle conseguenze involontarie, potrebbero facilmente destinare i tentativi di un vigilante alla perpetrazione di tremendi disastri piuttosto che all’ottenimento di una giustizia cosmica, e questo mina l’intero concetto di supereroe. Siamo preparati a fare tutto il possibile, in modo ordinario, per rendere il mondo tale da non aver bisogno della salvezza straordinaria di un qualche supereroe che agisca al di là dei limiti di ciò che riteniamo essere moralmente accettabile? Alan Moore lancia la responsabilità del senso e della giustizia su di noi, mostrandoci cosa potrebbe succedere se abdicassimo questa responsabilità, lasciandola a pochi, o a chiunque volesse usurpare a tutti gli altri il diritto di decidere come essere protetti e tenuti in salvo.
La revisione dei supereroi nelle opere di Moore e Miller ci obbliga a ripensare la nostra etica, il nostro ruolo nel mondo, la nostra visione della legge e dell’ordine sociale. Moore e Miller ci chiedono di guardare nell’abisso e usarlo come specchio per guardare dentro di noi più chiaramente.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


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