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mercoledì 31 agosto 2011

relatività

Anche per Eraclito non poteva mancare l'accostamento ad un'opera di Escher: praticamente immediato quello fra la litografia Relatività (1953) e il frammento «Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù» (fr. B60).
Entrambi a sottolineare l'intima unità dei contrari, come quella tra luce e tenebre.


martedì 30 agosto 2011

aracnoni e scempiristi

Aracnoni. Viene chiamato così un gruppo di tipi noiosi e dogmatici (anche noti come razionalisti) che si prefigge di rifondare l'edificio del sapere sulla base di evidenze inconfutabili (o presunte tali) e che qualcuno paragona a ragni che ricavano dalla loro stessa bava la materia per le intricate costruzioni mentali che enunciano. Gli Aracnoni sono, infatti, matematici pignoli che, partendo dal teorema di Euclide, pretendono di spiegare l'universo, avvalendosi di idee innate e concetti aprioristici mai verificabili dall'esperienza. Per entrare nei meandri del loro pensiero è necessario pertanto mettersi comodi, togliersi le scarpe, preparare il bricco del tè se è inverno, tirare fuori il ghiaccio dal frigo se è estate, accendersi una sigaretta se si è ancora "tossici", armarsi di tanta buona volontà e ingaggiare la sfida con questi tizi.
Gli Scempiristi sostengono, invece, che ogni eventuale teoria del mondo deve essere costruita con cautela, passo dopo passo, con l'aiuto dell'esperienza, senza mai allontanarci da quello che ci mostra e con la precisa consapevolezza che in fondo non siamo che scimmioni, risaliti geneticamente, che tentano di capirci qualcosa su quello che ci circonda. Tra di essi c'è chi mette in discussione il concetto di sostanza, cioè l'idea stessa che la realtà possa essere individuata attraverso le impressioni che riusciamo a farci di essa, chi arriva addirittura a negare l'esistenza di un mondo che sia indipendente dal soggetto che crede di percepirlo, chi porta l'attacco ancora più a fondo, alla cittadella dell'io, negando l'esistenza del soggetto.
Come a dire, insomma, che l'esperienza ci insegna che non possiamo essere esperti di un bell'accidente.
 
(da Zap Mangusta, I calzini di Hegel) 

lunedì 29 agosto 2011

cosmico

Ancora una litografia di Escher, questa volta Ordine e caos (1950), per dare immagine a dei concetti filosofici, questa volta quelli dei pitagorici, secondo cui «La natura del cosmo è composta di elementi illimitati e di elementi limitati: sia il cosmo nel suo insieme che tutte le sue parti» (Filolao, fr.B1).
All’opposizione fondamentale tra limite e illimitato, ne corrispondono altre nove: impari e pari, unità e molteplicità, destra e sinistra, maschio e femmina, quiete e movimento, retta e curva, luce e tenebre, bene e male, quadrato e rettangolo. I primi termini rappresentano l’ordine e la perfezione, i secondi il male.
La lotta tra gli opposti è conciliata dal principio di armonia, che unisce il molteplice e accorda il discorde. Questo implica un’idea di mondo come ordine misurabile, appunto come cosmo (cosmos).

domenica 28 agosto 2011

luce e tenebra

«Là dove c'è la luce, le tenebre sono in agguat. Questo l'incipit di tutti gli episodi della serie nipponica Garo, e mi sembra perfetto per introdurre la filosofia di Eraclito.
In particolare, la sua idea di unità dei contrari per cui «L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia [e tutto accade secondo contesa]» (fr. B8).
Gli opposti non possono essere aboliti, se non si vuole distruggere la cosa in cui si realizzano; il nodo, la struttura intima di ogni cosa è l’unione, la connessione di contrari, di convergente e divergente: condizione necessaria per l’esistenza della cosa stessa è l’esistenza delle forze contrastanti che, momento per momento, la sostengono, la realizzano. Qualunque cosa solo «mutando riposa» (fr. B84a), perché la conseguenza di una eventuale interruzione della tensione continuamente cangiante dei contrari, degli opposti, sarebbe la sua distruzione, la sua disgregazione. Dipendenza reciproca degli opposti, che sono momenti di uno stesso processo, non sono nulla di consistente e permanente in sé.
Quindi, là dove c'è la luce, non possono che esserci anche le tenebre.

garo

sabato 27 agosto 2011

altro che secoli bui

Cosa dobbiamo al Medioevo? Provo ad enumerare alcune voci: gli occhiali, la carta, la filigrana, il libro, la stampa a caratteri mobili, l'università, i numeri arabi, lo zero, la data di nascita di Cristo, banche, notai e Monti di pietà, l'albero genealogico, il nome delle note musicali e la scala musicale.
Il Medioevo ci dà i bottoni, le mutande e i pantaloni; ci fa divertire con le carte da gioco, i tarocchi, gli scacchi e il carnevale; lenisce il dolore con l'anestesia, ci illude con gli amuleti (ma il corallo, che protegge i bambini e dal fulmine, aiuta anche a sgranare il rosario). Ha portato nella casa il gatto, i vetri alle finestre e il camino; ci fa sedere a tavola (i Romani mangiavano sdraiati) e mangiare con la forchetta, la pasta tanto amata, proprio i maccheroni e i vermicelli, la cui farina viene instancabilmente macinata dai mulini ad acqua e a vento.
In battaglia ha fatto sventolare le bandiere con gli stemmi colorati e risuonare il fragore della polvere da sparo, dei fucili e dei cannoni. Ha cambiato il nostro senso del tempo, su questa terra, con l'orologio a scappamento, introducendo le ore di lunghezza uguale e non più dipendenti dalle stagioni; ha cambiato il nostro senso del tempo, nell'aldilà, perché ha fatto emergere un terzo regno, il purgatorio, che rompe i destini immutabili dell'eternità. Infine, fa sognare i bambini con Babbo Natale.

(da Chiara Frugoni, Medioevo sul naso)

venerdì 26 agosto 2011

in principio fu...

L'amore che è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, secondo alcuni non sarebbe altro che una droga, un cocktail di dopamina, feniletilamina e ossitocina che, entrando in circolo nel sangue, provocherebbe una follia chimicamente indotta.
Si può essere d'accordo o meno con questa teoria di alcuni ricercatori universitari, ma non si può non vedere in essa una delle tante applicazioni del principio del riduzionismo: l'idea che si possono comprendere le cose riducendole, appunto, agli elementi che le compongono, o che si possono interpretare processi complessi assimilandoli a processi semplici.
Il primo uomo a proporre questo tipo di principio, è stato Talete: la sua dottrina secondo cui "tutto è acqua" non è altro che un'operazione di grande riduzione.
E così per i suoi successori della scuola di Mileto, Anassimandro e Anassimene: pur teorizzando ognuno un principio (arché) diverso, tutti però sostenevano se si vuole capire il mondo bisogna descrivere le cose in una forma che risulti comprensibile, e ridurre qualcosa è come tradurlo in un linguaggio più accessibile, in cui essa sia più semplice da gestire e meno misteriosa; sono i livelli più bassi di descrizione a denotare la vera realtà, perché è in essi che la natura prende le sue grandi decisioni, perciò per comprendere un fenomeno la cosa più utile è scendere ai livelli inferiori, più elementari.

 Maurits Cornelis Escher, Verbum, 1942, litografia.

Ci dev’essere una qualche sostanza, o più d’una, da cui le altre cose vengono all’esistenza
[fr.A12].



giovedì 25 agosto 2011

ora che sappiamo chi sei tu, so chi sono io

David Dunn (interpretato dal duro a morire Bruce Willis), agente della sicurezza allo stadio di Filadelfia e uomo infelice, è l'unico sopravvissuto di un disastro ferroviario (125 morti). Elijah Price (Samuel L. Jackson), collezionista di fumetti e affetto da una rara malattia alle ossa che lo rende "fragile", si convince che Dunn sia una sorta di eroe indistruttibile.
Il regista M.Night Shyamalan torna nel 2000
dopo il successo de Il sesto senso (1999) con un altro thriller, Unbreakable, inquietante, visionario e della forte ambizione filosofica.
Quali sono i possibili impliciti filosofici che sostengono la trama del film? Forse basta ascoltare/leggere le parole conclusive dell'uomo di vetro Elijah rivolte all'indistruttibile David: «Ora che sappiamo chi sei tu, so chi sono io. Non sono un errore, tutto ha un senso. Nei fumetti lo sai come si fa a sapere chi è il cattivo più temibile? È l'esatto opposto  dell'eroe e molto spesso sono amici, come io e te».
In quel romanzo di formazione della coscienza e ragione umane che è la Fenomenologia dello Spirito, Hegel sostiene che l’autocoscienza non può restare una vuota identità, un’autointuizione formale, non può rimanere chiusa nella singolarità del soggetto: essa ha bisogno di essere riconosciuta, di realizzare la propria libertà e identità mediante un altro essere altrettanto libero ed autocoscienze e capace quindi di darle la certezza di essere tale. Questo non può avvenire attraverso un rapporto puramente comunicativo, teoretico, ma comporta inevitabilmente una dimensione pratica di sfida e di lotta, il cui esito è l’instaurarsi del rapporto servo-padrone: un’autocoscienza è pronta a rinunciare alla vita pur di essere riconosciuta indipendente, l’altra ad accettare di essere dipendente pur di non perdere la vita.
Solo sapendo chi è l'altro da sé si può arrivare a sapere chi si è, solo nel concreto rapporto con il diverso, l'opposto, si può costruire la propria autocoscienza. Come è per il servo e il padrone, così solo incontrando un uomo indistruttibile il fragile Elijah sa chi è, sa che non è un errore, sa di essere l'uomo di vetro; e viceversa, solo dopo l'incontro con il suo opposto, David inizia a capire di essere un uomo che non si ammala mai, che non si può "rompere".

mercoledì 24 agosto 2011

ficcare il naso nella storia

Famosa è la metafora con cui Marc Bloch - in Apologia della storia o Mestiere di storico - paragona lo storico all'orco, che fiuta la preda umana della storia: «Il bravo storico è come l’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda».
Quale miglior modo, dunque, che avvicinarsi ad un periodo storico di quello di adoperare il naso, il fiuto: annusarlo, sentirne l'odore, il profumo o... la puzza. 
«Al tempo di cui parliamo [nel diciottesimosuskind, il profumo secolo], nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell'umido dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l'apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d'estate sia d'inverno» (Patrick Süskind, Il profumo).

martedì 23 agosto 2011

verso l'infinito e oltre

Questo il motto del famoso giocattolo astronauta Buzz Lightyear, uno dei protagonisti di Toy Story - Il mondo dei giocattoli, primo lungometraggio d'animazione completamente sviluppato in computer grafica.
La stessa voglia, desiderio di infinito, di libertà, la si ritrova in Bruno il nolano, e soprattutto in alcune sue poesie contenuto ne Gli eroici furori (da intendersi come erotici furori, cioè furori d'amore, che è proprio la forza che
come già Platone filosofava mette le ali, fa spuntar le penne sulla schiena).


Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio,
quanto più sott'il piè l'aria mi scorgo,
più le veloci penne al vento porgo,
e spreggio il mondo, e vers'il ciel m'invio.
Né del figliuol di Dedalo il fin rio
fa che giù pieghi, anzi via più risorgo.
Ch'i' cadrò morto a terra, ben m'accorgo;
ma qual vita pareggia al morir mio? 

Quindi l'ale sicure a l'aria porgo
né temo intoppo di cristallo, o vetro,
ma fendo i cieli, e a' l'infinito m'ergo.
E mentre dal mio globo a gli altri sorgo,
e per l'etereo campo oltre penétro,
quel ch'altri lungi vede lascio al tergo.

domenica 21 agosto 2011

il telaio universale di valerio evangelisti

valerio evangelisti, la luce di orioneLa luce di Orione – uno dei capitoli della saga di Valerio Evangelisti (cominciata nel 1994) dedicata alle avventure di Nicholas Eymerich, inquisitore è un testo davvero interessante, sia in sé, sia per la sua relazione con gli altri romanzi della serie.
Da una parte, infatti, ha una trama avvincente, che raggiunge quasi l’apice della produzione di Evangelisti, rappresentato – secondo l’opinione di chi scrive – da Mater Terribilis. Dall’altra, inoltre, il libro sembra contenere e illustrare una sorta di summa della filosofia che sostiene e governa il mondo storico-fantastico in cui vive l’inquisitore domenicano.
Tutti gli elementi che compaiono nell’opera di Evangelisti
storici, filosofici, geografici, artistici, letterari, architettonici convivono e si armonizzano perfettamente tra di loro e con la struttura narrativa. I romanzi di Eymerich sono un prezioso e ricco veicolo di informazioni, atmosfere e suggestioni sul contesto storico, ambientale e culturale delle storie in essi narrate: storia, geografia, arte, filosofia, fanno da sfondo e sostengono il loro racconto, la loro trama, e così si trasmettono al lettore.
Indubbio è, quindi, anche l’implicito valore didattico di questa letteratura:  generalmente, i prodotti espressamente istruttivi hanno un basso valore estetico e “puzzano” subito di truffa, perché tradiscono le regole del gioco del media che utilizzano, forzandolo verso un’esplicita connotazione didattica e rendendolo, invece, solamente povero e didascalico. L’implicitamente didattico, invece, come questo di Evangelisti, è decisamente più efficace: tutta una serie di conoscenze, essendo intessuta direttamente all’interno della storia narrata, alimentandola, entra nell’immaginario e nella mente del lettore a sua insaputa, andando a costituire elementi e frammenti che egli spontaneamente comporrà, insieme a tutti gli altri della sua esperienza, costruendo un mosaico virtuale che si configura come un sapere aperto e mobile.

Telaio davvero universale, dunque, quello della scrittura di Evangelisti, che riesce a tessere insieme – e in maniera abilissima, senza far spezzare neanche un filo – trame narrative avvincenti e orditi culturali precisi.

sabato 20 agosto 2011

la verità è figlia del tempo

L’idea originaria di Gian Lorenzo Bernini per questa scultura (1646-52) era quella di un gruppo raffigurante La Verità svelata dal Tempo (ma egli realizzò solamente la figura della Verità), inteso come rivendicazione della propria professionalità dopo l’umiliazione subita con l’abbattimento del campanile di San Pietro (1646), a indicare, cioè, che il tempo avrebbe dato ragione alla sua idea, al suo progetto.
Non ha invece il senso di una rivendicazione personale l’affermazione di Bacone che la Verità è figlia del Tempo, ma è comunque un motto contro il principio e il potere di un’autorità che, forte del suo peso, pretende di imporre la propria visione, la propria verità.
Anche se forse Galilei non ha mai veramente pronunciato parole analoghe a questo motto baconiano, gliele ha però fatte dire Bertolt Brecht nel suo bellissimo testo teatrale sulla vita dello scienziato
Vita di Galileo, appunto: «La verità è figlia del tempo, non dell'autorità. La nostra ignoranza è infinita: diminuiamola almeno di un millimetro cubo. Perché voler essere adesso tanto intelligenti, se potremo alla fine essere un pochino, un nonnulla meno sciocchi?».

venerdì 19 agosto 2011

proverbio cinese

Si può disegnare il corpo di una tigre, ma non le sue ossa. Si può conoscere il volto di un uomo, ma non il suo cuore.
(da Inferno e Paradiso, vol. 20)


giovedì 18 agosto 2011

un privilegio raro

Con il Black Act (1723) in Gran Bretagna venivano condannati alla pena di morte i responsabili di reati come la caccia di frodo e il danneggiamento delle proprietà rurali. L'enormità della pena rispetto alla relativa banalità del reato mette in luce un profondo contrasto sociale: rivela l'opposizione di gruppi rurali in difesa delle tradizionali consuetudini di caccia, usurpate dal nuovo ceto dei commissari delle foreste regie.

Impiccheranno Geordie con una corda d'oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.
(Fabrizio De André, Geordie)

mercoledì 17 agosto 2011

il barboncino di schopenhauer

«La pietà per gli animali è talmente legata alla bontà del carattere che si può a colpo sicuro sostenere che un uomo crudele verso gli animali non può essere un uomo buono».

Così scriveva Schopenhauer, filosofo che amava molto i cani, condannava la caccia, la corrida e la vivisezione e sosteneva le teorie vegetariane.
Brahma, il barboncino del filosofo, - al quale egli dava nell'intimità il nome di Atma (l'anima del mondo) - ha avuto nella sua vita un posto non indifferente, al punto che il suo testamento conteneva una menzione speciale per l'avvenire dell'animale.
Il filosofo tedesco proponeva un'etica dell’abnegazione, consistente nell’attingere al nirvana (estinzione), una pace definitiva fatta di rassegnazione, negazione individuale, ascesi che porta dal desiderio al riposo e dalla noia all’indifferenza; l’ideale era quello del santo o del buddista, nei quali «la volontà si stacca ormai dalla vita. L’uomo perviene ormai allo stato di rinuncia volontaria, alla rassegnazione, alla vera tranquillità, all’assenza completa di volere».


È per questi due motivi che mi piace immaginare Schopenhauer come Shaka di Virgo personaggio del manga e anime Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco) ispirato al mondo del buddismo – con in braccio un tenero barboncino bianco.

martedì 16 agosto 2011

la dialettica dei veicoli getter


Mentre sta studiando le peculiarità dei misteriosi Raggi Getter per usarli come fonte di energia, il Professor Saotome si rende conto che la Terra è in gravissimo pericolo. Il popolo-rettile del Regno dei Dinosauri, rimasto in ibernazione sin dal Mesozoico, si sta risvegliando e si prepara a riconquistare il pianeta che un tempo comandava col pugno di ferro. Saotome, quindi, costruisce un robot alto circa 37 metri, il Getter Robot, e si mette alla ricerca di tre piloti in gradi di utilizzarne a pieno le 3 diverse configurazioni.
Getter Robot è il capostipite dei robot trasformabili, con più piloti che pilotano più veicoli in grado di combinarsi in un unico robot (infatti il nome del robot ricorda, nella sua pronuncia, la parola giapponese che indica la "combinazione", ovvero "gattai"), e l'idea di tre veicoli in grado di combinarsi in altrettante configurazioni, originando diversi automi, risultò essere un'autentica innovazione nel campo delle serie robotiche, venendo accolta dal pubblico con grande entusiasmo. L'originale modello di base insito in questo automa è stato ripreso e sviluppato in moltissimi anime televisivi di successo, aventi per protagonisti giganteschi robot trasformabili: da Voltes V (Vultus 5) a Daltanias (Daltanious), da Baldios ad Aquarion.

La dialettica di Hegel è un movimento triadico, un processo di negazioni sempre determinate, ordinate in una processualità che ha una meta ben precisa: la negazione non abolisce, ma elimina la separatezza e ricompone l’unità, supera l’astrattezza e l’unilateralità e conduce alla realizzazione concreta, supera conservando e trasferendo su un piano più alto (aufhebung).
Dunque l'ordine conta, tant'è che, a conclusione della sua Enciclopedia delle scienze filosofiche, Hegel presenta tre distinti sillogismi, contenenti i termini fondamentali della sua dialettica ma ognuno in un ordine diverso, ed ognuno, quindi, con un significato diverso.

1. Idea – Natura – Spirito. Corrisponde allo sviluppo dell’Enciclopedia stessa, all'andamento necessario dei passaggi della scienza, del sapere. 

2. Natura – Spirito – Idea. Corrisponde alla riflessione sulla conoscenza soggettiva portata avanti nella Fenomenologia dello spirito.

3. Spirito – Idea – Natura. È il movimento del concetto che si scinde nei suoi estremi – spirito e natura – e che si attua, si genera e si gode eternamente; rappresenta una sorta di autoriflessione della filosofia sulla sua intrinseca razionalità ed articolazione.

Quindi, filosoficamente parlando, sebbene i tre veicoli getter siano sempre gli stessi, combinandosi in determinati ordini diversi danno origine a robot differenti.
A riprova che in un rapporto dialettico l'ordine dei termini è fondamentale, si può ricordare anche che benché i tre Getter robot siano composti dagli stessi pezzi, variano nel peso, e mentre Getter 1 e 2 pesano 200 tonnellate, Getter 3 ne pesa 250.


lunedì 15 agosto 2011

il labirinto del fauno

labirinto del faunoSpagna, 1944. La fine della guerra civile.
Ofelia si trasferisce insieme alla madre, risposata da poco, a casa del nuovo patrigno, il freddo e autoritario Vidal, capitano dell'esercito di Franco. Trovando insopportabile la nuova vita, la piccola Ofelia trova rifugio in un misterioso labirinto nascosto vicino alla grande casa di famiglia dove il Fauno, magica creatura guardiana del labirinto, le rivela che lei è la principessa smarrita di un regno magico e le propone tre prove per dimostrarlo...

Bellissimo questo film di Guillelmo Del Toro che, come il precedente La spina del diavolo, intreccia i fili storici con quelli fantastici per una trama molto ben riuscita.
Ci sono insetti fatati, un fauno molto ambiguo e mostri spaventosissimi.
Molto bella anche l'edizione speciale del dvd con tanti contenuti speciali e un booklet.
Ma sono in dubbio su quale mostro sia stato il più spaventoso: il rospone gigante, il ghoul mangia-bambini con gli occhi sui palmi delle mani, o il capitano franchista? Mmm, mi sa che una risposta ce l'ho, e non è l'immagine qui sotto, che ho inserito solo perchè bellissima, e non è nemmeno il rospone, perchè le rane mi piacciono.


domenica 14 agosto 2011

lotta e danza

Un vero guerriero è in grado di sentire il ritmo di un attacco, e di contrattaccare "suonando" a quel ritmo. In realtà un combattimento è musica.
Nei tempi antichi la lotta e la danza avevano la stessa origine. Le arti marziali sono influenzate dal concetto di "ritmo". Per esempio, i termini giapponesi delle arti marziali per "procedere con il passo strisciato", "valutare la distanza dell'avversario", "affrontare l'avversario", "ritirarsi", derivano tutti dal teatro No. Colui che domina la danza domina la guerra.
(da Inferno e Paradiso, vol. 11)


sabato 13 agosto 2011

a ciascuno il suo inferno

Secondo Senofane «se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero con le loro mani disegnare e fare ciò appunto che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dèi simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi, e farebbero corpi foggiati così come ciascuno di loro è foggiato» (fr. B15), ed egli riferisce che «gli Etiopi dicono che i loro dèi sono camusi e neri, i Traci che sono cerulei di occhi e rossi di capelli» (fr. B16).
Insomma, quella del filosofo è, evidentemente, una critica dell’antropomorfismo religioso, di quella concezione degli dei fissata da Omero ed Esiodo, portata avanti anche attraverso una certa ironia.

Ironia che è la stessa della serie televisiva di Futurama, in cui anche i robot hanno il proprio paradiso e il proprio inferno, fatto a loro immagine e somiglianza e con tanto di Robodiavolo.

venerdì 12 agosto 2011

la strategia dell'ariete

kai zen, la strategia dell'arieteLa lettura iniziale di La strategia dell'ariete, romanzo dell'ensemble narrativo Kai Zen, è stata un po' impegnativa, non semplice, ma man mano che si maneggiano i fili della trama si compone un tessuto/testo davvero piacevole e una volta avvinti nella tela si è proprio curiosi di vedere dove si arriverà.
Ho trovato il libro molto corale e polifonico, senza un unico vero protagonista se non la storia stessa.

Il che è quasi alla Hegel, direi: la storia raggiunge i suoi fini attraverso la mediazione delle azioni spontanee dei personaggi, principali e secondari; tali azioni si convertono dialetticamente in un’opera universale, cosicché essi sono in realtà strumenti e membri inconsapevoli della storia, sono testimoni ed ornamento del suo splendido trionfo; manovrate da un'astuzia che è oltre i singoli soggetti, le passioni individuali sono semplici mezzi che conducono a fini diversi da quelli a cui esse esplicitamente mirano e per quanto i personaggi rechino in atto quel che a loro interessa, da ciò viene portato alla luce altro che non è nella loro coscienza o intenzione. Tutto in stile "filosofia della storia" hegeliana.
«Ciò che è caduto è caduto e doveva cadere. Lo Spirito del mondo non risparmia nessuno, non ha alcuna compassione. Nessun popolo ha mai subito un torto, bensì ciò che ha subito se lo è meritato», scrive Hegel nei suoi Lineamenti di Filosofia del Diritto, come a dire che la Storia, la Ragione, usa i suoi figli e poi se li mangia, come il Saturno del mito, dipinto tra l'altro da Goya proprio in quegli anni in cui il filosofo tedesco meditava su questi argomenti.


giovedì 11 agosto 2011

proverbio cinese

Tutti sbagliano in modo tanto più pericoloso in quanto seguono ognuno una verità. Lo sbaglio non è quello di seguire una falsità, ma di non seguire invece un'altra verità.
(da Inferno e Paradiso, vol. 10)


mercoledì 10 agosto 2011

metafisica dei tubi

Prendo le gallette di riso dalla rimessa. Vado allo stagno di pietra. Il sole perpendicolare fa scintillare l'acqua come se fosse alluminio. Tre salti in successione non tardano a rovinare quella superficie liscia e brillante: Gesù, Giuseppe e Maria mi hanno vista e saltano; è il loro modo di chiamare gli altri a tavola.
Quando hanno finito di credersi pesci volanti, cosa che, data la loro grossezza, è veramente oscena, installano le loro bocche aperte a pelo dell'acqua e aspettano.
Lancio frammenti di cibo. L'ammasso di bocche vi si getta sopra. I tubi aperti ingoiano. Quando hanno deglutito ne chiedono ancora. La gola è così spalancata che, se solo si inclinassero un po', si potrebbe vedere il loro stomaco. Mentre continuo a distribuire la pietanza, sono sempre più sconvolta da ciò che la trinità mi mostra: in genere le creature tengono nascosto l'interno del proprio corpo. Cosa accadrebbe se la gente esibisse le proprie viscere?
carpa
Le carpe hanno infranto questo tabù primordiale: mi impongono la visione del loro tubo digestivo all'aria.
Lo trovi ripugnante? L'interno del tuo ventre è identico. Se questo spettacolo ti ossessiona tanto, forse è perché ti ci rivedi. Credi che la tua specie sia diversa? I tuoi mangiano in modo meno sporco, ma mangiano, e anche dentro tua madre, dentro tua sorella, è la stessa cosa.
E tu, che cosa ti credi di essere? Sei un tubo venuto fuori da un altro tubo. In questi ultimi tempi hai avuto la gloriosa impressione di evolvere, di diventare materia pensante. Tutte fesseri. La bocca delle carpe potrebbe davvero farti stare così male se non ci vedessi il tuo ignobile specchio? Ricordati che tubo sei e tubo ritornerai.
(Amélie Nothomb, Metafisica dei tubi)

Questo passo mi ha fatto pensare al disgusto provato dal protagonista de La Nausea di Sartre davanti ad una radice di castagno.

martedì 9 agosto 2011

un'etica marmorea

Le sculture neoclassiche, in particolare quelle di Canova, mi hanno sempre fatto pensare all'etica di Kant. Il loro marmo bianco e liscio li ho sempre collegati ai caratteri di questa morale formale e rigorosa.
In matematica una formula determina esattamente ciò che bisogna fare per risolvere un problema. Lo stesso succede per la morale kantiana: la formula dell’imperativo categorico permette di compiere meglio il proprio dovere. La formula, però, dà solo la forma (formalismo), ma non può prevedere tutte le condizioni in cui l’uomo che la applica si troverà. La moralità è l’agire per dovere e non soltanto in conformità al dovere (rigorismo). È il disinteresse: lo sforzarsi ogni volta di purificare al massimo l’intenzione direttrice dell’atto.
canova, teseo e il minotauro
Ma tra tutte le opere di Canova, una in particolare la lego alla teoria di Kant sulla morale: Teseo e il Minotauro. La vittoria sul mostro mitologico può ben rappresentare, secondo me, lo sforzo di purificazione dall'interesse egoistico di cui si diceva prima, nonché la lotta della ragione contro la sensibilità, l'istinto, il sentimento.
Il solo sentimento, infatti, n
on può determinare un’azione morale. Tuttavia, secondo Kant, esso può mantenere comunque un ruolo positivo: si prova dolore, sofferenza, quando il dovere entra in conflitto con le inclinazioni egoistiche, e un’umiliazione dell’amor proprio; ma ciò fa emergere l’amore di sé, il rispetto, di sé, degli altri, della legge. Il rispetto è un movente soggettivo, ma non empirico, della volontà buona. Dato che l’uomo è un essere sensibile oltre che razionale, bisogna che agisca spinto anche dal sentimento. Il dovere può determinare la volontà più facilmente attraverso un sentimento che lo esprime senza alterarlo, e questo sentimento, che nasce dall’incontro tra ragion pratica e sensibilità, è il rispetto, che da una parte umilia l’amor proprio, e dall’altro dà l’idea della grandezza della persona razionale, provvista di dignità. In esso si fa strada la possibilità per l’uomo di sentire una dimensione della propria vita più alta, più ricca. È un sentimento razionale. Un effetto della ragione sulla sensibilità, l’eco della razionalità sulla sensibilità.

lunedì 8 agosto 2011

al di là del vetro

Il Nolano ha disciolto l'animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l'artissimo carcere de l'aria turbulento; onde a pena, come per certi buchi, avea facultà de remirar le lontanissime stelle, e gli eran mozze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder quello che veramente là su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei, che con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d'infinite pazzie, bestialità e vizii, smorzando quel lume, che rendea divini ed eroici gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de' sofisti ed asini.tullio pericoli, al di là del vetro
Or ecco quello, ch'ha varcato l'aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, che vi s'avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossì al cospetto d'ogni senso e ragione, co' la chiave di solertissima inquisizione aperti que' chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donato gli occhi a le talpe, illuminati i ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l'imagin sua in tanti specchi che da ogni lato gli s'opponeno, sciolta l
a lingua a' muti che non sapeano e non ardivano esplicar gl'intricati sentimenti, risaldati i zoppi...
(Bruno, La cena de le ceneri


L'illustrazione è Al di là del vetro (1985), di Tullio Pericoli, che ricorda una nota raffigurazione simbolica della dissoluzione dell'immagine medievale del mondo (tema del passo bruniano) rappresentata in una xilografia a colori del 1888, ma realizzata nello stile del XVI secolo e infatti erroneamente considerata per lungo tempo come copia di un'originale del Rinascimento.


domenica 7 agosto 2011

falene

Una falena senza ali. Quella che per natura dovrebbe essere una falena in questo stato non può più essere considerata tale. Diventa qualcosa che può essere divorato persino dalle umili formiche che strisciano sulla terra. Che creatura sciocca. Perdere perfino le proprie ali, ardere nel fuoco. Tutto perché, nelle tenebre, desidera la luce.
Guarda e immagina. Se il mondo fosse avvolto dalle tenebre e questo falò fosse l'unica fonte di luce, allora, pur sapendo che verrei consumato dalle fiamme dell'inferno, farei anch'io come loro. Mi getterei nel fuoco senza esitazioni. E poi, con le ali bruciate, precipiterei a terra, nel fango, e diventerei così sporco da non potermi più riconoscere. Eppure, anche così, mi scaglierei nuovamente tra le fiamme fino a estinguermi in esse.
(da Inferno e Paradiso, vol. 6)



sabato 6 agosto 2011

cascare dal sonno (4di4)

È possibile che il mondo oggi sia senza sonno né veglia, che dorma in piedi, che vegli assopito, sonnambolico e sonnolento, mondo privo di ritmo. Gli uccelli migratori nella notte sono disorientati dall'intenso alone di luce che le grandi città proiettano in cielo: sono pronti ad addormentarsi non importa dove, credendosi arrivati in terre assolate. Mondo banco di merci, non uguale ma, al contrario, ineguale al punto da rendere il sonno stesso devastato dall'ineguaglianza. Dormienti sfiniti, sempre in allerta, più che caduti gettati nel sonno, precipitati in esso da un abbrutimento per brevi momenti interrotti da colpi in testa, colpi alla porta, urla o colpi di fucili. Più che addormentati, dormienti abbattuti, vinti di notte come lo sono di giorno. Notti spogliate della loro stessa notte, strappate dall'oscurità e dall'ombra. Sonni che non sono più che parodie, caricature di sonni. Come dormire in un mondo senza ninnananna, senza un quieto ritornello, senza capacità d'oblio, senza inconscio, anche perché Eros e Thanatos circolano dappertutto senza vergogna, vigili sardonici muniti di frusta e manganello? Come dormire in un mondo ipnotizzato?

(da Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno


venerdì 5 agosto 2011

cascare dal sonno (3di4)


Ora, questa uguaglianza a sé si ridistribuisce a sua volta secondo la distinzione ritmica tra l'ineguaglianza del giorno e l'uguaglianza della notte. Il giorno è di per sé l'ineguale, il singolare; il giorno è sempre un altro giorno, domani è un altro giorno. Tutte le notti sono uguali; la notte riporta ostinatamente l'indifferenza nel differente, ritrova il mondo precedente, il magma, il caos, la khora, l'uguaglianza che riposa in sé; la notte depone le posizioni, disarma i sistemi di attivazione, scioglie i nodi delle reti. Il sonno diventa la notte stessa, ed esso stesso diventa il ritorno al mondo immemoriale, al mondo al di qua del mondo, al mondo degli dèi oscuri che non pronunciano alcuna parola creatrice.
La notte identifica il fuori e il dentro, l'occhio vi vede il sotto delle cose, il risvolto delle palpebre, lo strato invisibile dei contrari, dei basamenti, delle cripte, delle pelli rivoltate. Il sonno è divino, e ciò che vi si rivela di più propriamente divino è la sospensione della parola creatrice. Non viene pronunciato più alcun "che ciò sia!", non ci sono più comandamenti per far venire all'essere. C'è un'obbedienza silenziosa alla differenza dell'essere. Quello che il dormiente vede è proprio la cosa eclissata, il cuore perfettamente oscuro dell'eclisse dell'essere. Tutti i pensieri, che siano dell'occhio o dell'orecchio, del naso, della bocca o della pelle, dei nervi, delle viscere, delle catene neuronali, dei muscoli e dei tendini, delle volontà o delle immaginazioni, dei desideri o delle sofferenze, tutti i pensieri vengono a giocarsi liberamente, indistintamente distinti. Così, a volte, sopraggiunge il sogno, ossia forse qualcosa della notte che passa nel giorno. L'esile filo del sogno trattiene le antenne prigioniere come fa un ragno con quelle di un insetto nella sua tela. Così la tela dipinta e mossa debolmente su questi palchi da giocolieri di strada si tramuta in una ragnatela di filamenti argentei sui quali trema una goccia di rugiada o una lacrima, la cui caduta imminente lacererà la tela e farà precipitare il ragno con le zampe che si conficcano nel fondo degli occhi addormentati, fino a colpire la retina sulla quale ben presto si poserà la scintillazione, all'improvviso riconosciuta, del risveglio. All'alba l'animale viene a succhiare il nettare dei fiori notturni.
Il tempo del dubbio, se sogno o son desto, è il tempo proprio della coscienza che sa solo dubitare se fa notte attorno a lei o se il giorno si è levato, così che può garantirsi di una cosa sola, ossia che nel più profondo del suo essere o del suo stato c'è la notte più profonda, la notte nera di cui essa stessa è la potente sonnambula. È lecito dire, come vorrebbe Freud, che il sonno abbassa le difese? Non bisogna piuttosto tenere in considerazione il notevole allargamento del nostro mondo che arriva fino alla notte di un fuori dal mondo in seno al quale abbiamo fluttuato, simili a cosmonauti?

(da Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno


giovedì 4 agosto 2011

cascare dal sonno (2di4)

«Il sonno è lo stato d'immersione dell'anima nella sua unità priva di differenze, la veglia al contrario è la stato in cui l'anima è impegnata nell'opposizione a questa semplice unità» (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche). Il sé dormiente trova o tocca la sua esistenza autonoma più veritiera, assoluta: ab-solutum, ciò che è sciolto da tutto, ciò di cui ogni legame, ogni rapporto, ogni connessione o composizione è escluso; ciò che essenzialmente si slega, si distacca e si libera. La presenza del dormiente è la presenza di un'assenza, la cosa in sé è cosa di non-cosa. Massa tuttavia massiccia, ammassata, avviluppata, rannicchiata attorno a quel sé che esiste e persiste in una inesistenza.
Dormire insieme, coucher ensemble, apre niente di meno che la possibilità di penetrare nel più intimo dell'altro. Il sonno felice, languido, in cui gli amanti sprofondano insieme prolunga il loro spasmo amoroso in una lunga sospensione. «La separazione, virgola, tra il turbamento e l'io, al risveglio, equivale a scollare (distacco dal collo e della colla), e la decollazione a una idealizzazione sublimante che ri-vela quanto si stacca. L'indecisione, l'oscillazione, la vibrazione tremante in cui si annuncia l'idealità è chiamata sempre tremito, fremito ecc. "Questa specie di tremito esaltava la mia felicità perché faceva sì che il nostro scopare così tremante sembrava staccarsi , idealizzarsi. Non aveva smesso di rimanere sveglio e, durante la stretta, non si era emozionato, perché nel rumore, nonostante i suoi riflessi rapidi, aveva provato una pena leggera a svincolarsi dal turbamento, e io, che ero incollato a lui, avevo scoperto tale dolore leggero, lo scollamento da una colla sottile" (Jean Genet, Miracolo della rosa)» (Jacques Derrida, Glas). Dormire insieme significa condividere un'inerzia, un'uguale forza che mantiene i due corpi insieme, che vagano come due piccole barche che si allontanano verso lo stesso mare aperto, verso lo stesso orizzonte sempre nuovamente nascosto nelle brume. 

(da Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno


mercoledì 3 agosto 2011

cascare dal sonno (1di4)

Chi dorme cena. Chi dorme, in effetti, si alimenta. Chi dorme non si nutre di qualcosa che gli viene da fuori. Come gli animali che vanno in letargo, il dormiente si nutre delle proprie riserve, assimila se stesso. Non sono più che di me stesso, caduto in me stesso e mescolato a una notte – la notte che anzitutto faccio discendere da me stesso in me stesso, la notte delle palpebre abbassate – in cui tutto, ma più di tutto me stesso, mi diventa indistinto: tutto diventa nient'altro che me stesso, tutto si riassorbe in me senza che io possa più distinguermi da qualcosa d'altro; non mi distinguo più propriamente dal mondo né dagli altri, non posso più considerare niente come un oggetto, una percezione o un pensiero, senza che anche questa cosa si faccia sentire come me stesso. Si produce una simultaneità del proprio e dell'improprio tale da farne cadere la distinzione. Il sonno è il grande presente, la compresenza di tutti i compossibili, e anche incompatibili. Io coincido col mondo. "Io" cado, "io" non sono più, o piuttosto, "io" non "è" più se non nella cancellazione della sua stessa distinzione. Ai miei propri occhi, che non guardano più niente, che sono rivolti verso se stessi e il punto cieco in loro, "io" non "mi" distinguo più. Tra i mille figli di Ipnos – dio del sonno, figlio della Notte e fratello gemello di Thanatos, la Morte –, Morfeo si identifica per la sua abilità nel rivestire la forma. Tale è Morfeo, tale la virtù del suo bacio. Anamorfosi della vera forma. Morfeo trasforma in forma la pura materia del sonno. Dà forma e ali all'informe e alla caduta.
Caduto dalle supposte altezze della coscienza vigile, della sorveglianza e del controllo, della proiezione e della differenziazione, ecco un sé reso al suo moto più intimo: quello del ritorno in sé. "Io" non fa un sé, perché "io" non fa ritorno: io, al contrario, fugge, sia rivolgendosi al mondo sia ritirandosi da esso. Io casco dal sonno e, al tempo stesso, mi cancello in quanto "io". Io casco in me e me cade in sé. Il dormire richiede il dissolvimento della domanda e dell'inquietudine che la anima, il "chi sono io?". Il dormiente è proprio in sé, tanto in sé quanto può esserlo la cosa kantiana, ossia l'essere-ci, l'essere posto, la posizione stessa indipendente da ogni apparenza e da ogni apparire. Mormorato dall'inconscio, "io sono" diventa inintelligibile, una sorta di brontolio o di sospiro che sfugge da labbra dischiuse appena. Una emissione preverbale che deposita sul cuscino una traccia appena visibile, come se un po' di saliva fosse filtrata dalla bocca addormentata. Colui o colei la cui bocca mormora una tale attestazione di esistenza non è più "io", indifferente a ogni specie di ipseità, lui o lei è in sé nel senso della cosa in sé come Kant l'ha resa celebre: la cosa stessa, ma sottratta a ogni rapporto con un soggetto della sua percezione o con un agente della sua manipolazione; la cosa, isolata da ogni manifestazione, da ogni fenomenalità, la cosa addormentata, in riposo, al riparo dai saperi, dalle tecniche e da ogni tipo di arte, esente da giudizi o prospettive; la cosa non misurata, non misurabile, la cosa concentrata nella sua cosità indeterminata e inapparente. 
(da Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno

martedì 2 agosto 2011

i mandarini di proust

Mentre mi tiravo su, lei si rilassò, e ci baciammo di nuovo. Mi persi ancora in lei. Dio, cos'hai sulle labbra? mormorai. Questo profumo mi riporta indietro.
Dove?
Le stavo leccando la bocca.
Solo, tipo, indietro. Nel passato. Sto rivivendo la mia adolescenza.
Per un lucidalabbra?
Già, sospirai. È come con i mandarini di Proust.
Vuoi dire le madeleine.
Già, come con quei piccoli mandarini.
Come... hai fatto ad avere questa cattedra?
(Bret Easton Ellis, Lunar Park)
 
Secondo Bergson è attraverso il corpo, strumento di selezione per sottrazione o diminuzione, che il soggetto ritaglia dall’universo delle immagini una porzione significativa di esso, che va a costruire la sua rappresentazione dell’oggetto e la sua coscienza.
La percezione non è un’attività contemplativa e disinteressata ma pratica ed interessata, svolta anche in base ai ricordi che albergano nella memoria (il cui tempo è la durata, la simultaneità di tutti i ricordi): la memoria orienta la percezione e la percezione attiva contenuti della memoria altrimenti obliati.
Che si tratti di mandarini, madeleine o lucidalabbra...

lunedì 1 agosto 2011

simpson + saint seiya

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