Pages

Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post

domenica 20 febbraio 2022

filosofia della nostalgia

Con Yesterday. Filosofia della nostalgia quel sentimento dominante in tempo di crisi quando il presente è opaco e il futuro incerto, viene indagato e raccontato da Lucrezia Ercoli in maniera puntuale e interessante, delicata e potente.
La nostalgia sembra essere un tratto proprio del XXI secolo, in cui il vento della Storia non è più quello della tempesta del progresso che, all'inizio del secolo scorso, spingeva più l'Angelus Novus di Klee e Benjamin verso il futuro, ma quello della retrotopia (Zygmunt Bauman) che, in un'epoca di incertezze e di un futuro sempre più imprevedibile, riconduce verso il passato e un paradiso perduto. E, come mostra la Ercoli, essa rappresenta un sentimento ambiguo, che può declinarsi tanto in una malattia paralizzante quanto in un indicatore per pensare l'avvenire, che può essere tanto affascinante quanto pericoloso.

Nostalgia (da nostos, ritorno in patria, e algos, dolore o tristezza) è un termine coniato nel 1688 - in cui confluiscono espressioni presenti in diverse lingue, dal tedesco Heimweh al francese mal du pays, dall'inglese homesickness al portoghese saudade - per indicare una malattia, una condizione clinica, causata da un eccessivo attaccamento alla patria lontana. Una patologia che accompagna l'accelerazione del tempo moderno, con i suoi cambiamenti radicali e veloci portati dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione del finire del XVII secolo. Certo già l'Odissea omerica ha delineato i contorni della nostalgia come malattia dell'esule che rimpiange la terra natia, ma è la modernità che la universalizza, la fa sfuggire ai confini della patria, per renderla nostalgia di paesi e di felicità sconosciuti (Charles Baudelaire), desiderio di una felicità che è sempre dove non si è noi. O, forse paradossalmente, l'odierno uomo di città ha eliminato da lungo tempo la nostalgia? (Martin Heidegger). E questo sarebbe il vero pericolo: l'esperienza della perdita della casa sembrerebbe incompatibile con l'omologazione moderna per cui è facile sentirsi a casa ovunque, in cui tutto è vicino e raggiungibile, immediato.  Una connectography (Parag Khanna) in cui i confini non sono più definiti tramite mappe geografiche perché trasporti, comunicazioni, reti mediali hanno trasformato i concetti di spazio e di viaggio.

Il film di Woody Allen Midnight in Paris rappresenta un vero e proprio saggio visivo sulla nostalgia dell'età dell'oro, mostrando come quello che per una generazione è prosaico e volgare, per la generazione successiva si trasforma in qualcos'altro, in qualcosa di magico e vintage. Ma mostra anche che l'età dell'oro non è la stessa per ogni epoca, che la costante è piuttosto la considerazione del presente come noioso e insoddisfacente. Questa sindrome dei bei tempi andati è sempre esistita, l'idea di una parabola discendente è narrata nel poema Le opere e i giorni da Esiodo ed è un mito che si rafforza nella cultura romana per esempio con l'Ovidio delle Metamorfosi, e non è una proprietà esclusiva della tradizione occidentale: si tratta di un archetipo universale che si rafforza nei periodi di crisi, necessario per elaborare la disperazione provocata dalla estrema miseria, dalla mancanza di libertà e dal crollo dei valori tradizionali (Mircea Eliade), di una nostalgia delle origini che è caratteristica permanente della memoria collettiva. I
l passato è costantemente frutto di una creazione che rinnova un mito immaginario tra realtà e sogno, che popola il nostro presente di spettri che non se ne sono mai andati, di fantasmi che continuano a condizionarci: il passato non è morto, non è nemmeno passato (William Faulkner).
Una serie televisiva come Happy Days costruisce gli anni Cinquanta come quel tempo felice della storia americana contemporanea prima della catastrofe della Guerra in Vietnam, e la formula seriale e ripetitiva è perfetta per creare la continuità e la stabilità di giorni felici. La cinquantezza (Fredric Jameson) propria di produzioni degli anni Settanta e Ottanta non racconta il passato nella sua totalità ma lo epura da ogni forma di conflitto e complessità storica, lo riesuma in forma innocua, lo crea nostalgicamente senza comprenderlo. Film come Pleasantville di Gary Ross o The Truman Show di Peter Weir decostruiscono questo paradiso dei fifties mostrandolo come un inferno repressivo e proibizionista o comunque mostrando come pura simulazione la sua perfezione.
La nostalgia, così, non corrisponde a un archivio di eventi ma a una visione irreale da sogno. Ed è con l'immagine in movimento - video, cinema, televisione - che dal secondo dopoguerra, ancora più che nei decenni precedenti, il passato acquisisce una natura immaginaria, completamente svincolata dalla storia.
Da questa dimensione anche nefasta e terribile della nostalgia mettono in guardia Milan Kundera - che nell'incipit del romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere mostra come essa speri nel ritorno del tempo perduto anche quando questo è segnato da atrocità irripetibili -, Vladimir Nabokov - che ne Il dono avverte dell'inestinguibile nostalgia per le cose a cui diciamo addio anche se non le abbiamo mai amate -, le ostalgie (crasi tra osten, cioè est, e nostalgia) nella Germania dopo la caduta del muro di Berlino dei popoli dell'ex blocco sovietico, per i quali liberazione e passaggio disorientante vanno insieme. Questo senso di continuità di una comunità, questo forte attaccamento nostalgico per un passato idealizzato, rischia di produrre un'inversione storica (Michail Bachtin) che riporti in vita anche i cadaveri di un passato che si era superato, di essere un potente veleno in cui orgoglio nazionale e tradizione religiosa formino un cocktail reazionario.
Una serie televisiva come Stranger Things dei fratelli Matt e Ross Duffer, invece, costruisce una ottantezza, una nostalgia degli anni Ottanta come epoca dell'immaginazione, in cui la tecnologia non è ancora esplosa a livello di massa, non è ancora una presenza pervasiva nelle vite di ognuno che condiziona lo spazio pubblico e privato, e c'è una promessa di liberazione ed emancipazione non ancora soppressa da un sistema di controllo digitale. Anni in cui cose strane possono ancora accadere.
Questa la dualità della nostalgia: da una parte una nostalgia restauratrice, una fissazione regressiva bloccata nella fascinazione del ritorno dell'ordine naturale e delle identificazioni forti, un revival reazionario legato a una propaganda faziosa, una retorica nazionalista, un'esaltazione della patria; dall'altra una nostalgia riflessiva, capace di riconoscere l'irrevocabilità del passato e di fare della memoria un'eredità per progredire, generando un'attesa carica di pathos e di storia.

A svelare il vero oggetto della nostalgia è la musica: non l'assenza contrapposta alla presenza, ma il passato in rapporto al presente. Ciò di cui si ha nostalgia è ieri - yesterday -, ieri in quanto ieri, il passato in quanto passato, il tempo in quanto tempo perduto. La canzone pop è così il linguaggio della nostalgia ai tempi della sua riproducibilità tecnica e i tormentoni musicali sono intimni (Peter Szendy) - cioè allo stesso tempo inni collettivi e melodie intime - che ripetono sempre la stessa frase, al contempo dolorosa e catartica: Tu eri e non sei più. In questo senso, la nostalgia evoca una scissione costitutiva, una cicatrice incancellabile, e rappresenta un'esperienza ineliminabile della condizione umana.
Ancora una volta si fa necessario evidenziare il potenziale venefico della nostalgia, il cui soddisfacimento allucinatorio può spegnere la vita rinchiudendola in un mondo popolato di fantasmi, in un paradiso artificiale che impedisce di affrontare il trauma della perdita e di compiere il lavoro del lutto. E tanto più nell'epoca contemporanea l'opportunità di registrare e conservare un numero di ricordi personali senza precedenti nella storia, può tramutarsi nel pericolo di perdere lo slancio verso il futuro che rende propositiva la nostalgia (Davide Sisto).
I tempi della nostalgia contemporanea continuano a accorciarsi, che la nostalgia diventa nostalgia del presente perché la sua operazione avviene per tutto e continuamente. Se ancora nei primi anni Novanta si immaginavano, con fiducia nel futuro e slancio prometeico, alternative, dai primi anni Duemila la cultura sembra essere nel segno della retromania (Simon Reynolds), del revival, della ristampa, del remake, della ricostruzione: il futuro non c'è più, è sconfitto, è perduto.
Per non essere solo il passato che non passa e torna a tormentare sotto forma di fantasma seducente, per non essere il crepuscolare e senile cliché dell'ai miei tempi che guarda con diffidenza le novità e mal si adatta ai cambiamenti, la nostalgia deve diventare un imparare dagli spettri delle rivoluzioni mancate e delle utopie non realizzate, dai revenant di chi non c'è più ma ci parla ancora. Una hauntology (Jacques Derrida) che si fa carico delle presenze spettrali, e che sembra essere il sentimento dominante delle produzioni contemporanee capaci di evocare immagini e suoni provenienti da futuri perduti (Mark Fisher). Una nostalgia che non rinuncia allo spettro - come il crepitio tipico della musica hauntologica che riproduce il rumore della puntina sul vinile e che ci rende coscienti del fatto che stiamo ascoltando un tempo che è fuor di sesto (Fischer) -, che parla al fantasma e sente cosa ha da dire, ma che oltre allo struggimento per ciò che è stato si fa carico dell'ingiunzione che viene dal passato quale motore dell'avvenire. Una nostalgia come post production (Nicolas Bourriaud) e reboot che riedita il passato in una versione che fa rivedere qualcosa di già visto ma con uno sguardo diverso, che riprogramma il non ancora dei vari futuri che si era preparati a attendere e che non ci sono mai stati.

venerdì 4 febbraio 2022

woman in gold

Il film Woman in gold, del 2015, ricostruisce le vicende legate al celebre dipinto di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer.
In una scena la donna siede davanti al suo ritratto con la nipote e le chiede se è bella nel quadro. , risponde la bambina, però non sembri felice.
Adele pronuncia allora questa battuta:
Mi chiedo come sarà essere donna quando tu lo diventerai. Dovrai accontentarti di cose futili?



lunedì 31 ottobre 2016

letture di ottobre

Ogni tanto ritorno a Dave Eggers, questa volta con il bel Conoscerete la nostra velocità, struggente e ironico, geniale e irriverente. Un po' piatto ed eccessivamente cronachistico il romanzo su Alessandro Magno di Klaus Mann.
Arriva al 6° volume e continua a essere appassionante e graficamente esaltante la Saga fumettistica di Brian K. Vaughan, di cui - letto in prospettiva cinematografica - ho molto gradito anche l'avventura del Dottor Strange Il giuramento.
Per la saggistica, interessanti alcuni contributi della fenomenologia curata da Matteo Pellone di un mito (post)moderno quale James Bond, così come il saggio di Giuseppe Panella sulla scrittura di Curzio Malaparte L'estetica dello choc. Sempre piacevoli e ricchi anche i brevi saggi di Alain Badiou, come quest'ultimo appello alla corruzione della gioventù e invita a La vera vita.
Continuando le letture nietzschiane, il bel confronto tra Nietzsche e Foucault sui temi della corporeità e del potere svolto da Stefano Berni nell'ottica di una critica radicale della modernità, la biografia intellettuale di Friedrich Nietzsche scritta da Lou Andreas-Salomé, il noioso Atlante della sua vita e del suo pensiero curato da Giorgio Penzo, il mal scritto - come tutti i libri di Salvatore Natoli, secondo me e al di là dell'interesse dell'argomento - Nietzsche e il teatro della filosofia, il percorso su Il nichilismo di Franco Volpi.

giovedì 30 giugno 2016

letture di giugno

In preparazione del prossimo mese, che da un po' di anni è quello del festival del contemporaneo PopSophia - dove la filosofia indaga il pop e il pop racconta la filosofia -, un po' di letture in cui filosofia e cultura popolare si ibridano, si affrontano e si scoprono. Ovviamente si inizia dal tema di quest'anno del festival, Il Ritorno della Forza, con Star Wars and Philosophy: libertà e predestinazione nella famiglia Skywalker, stoicismo e filosofie orientali nel culto Jedi, ambiguità morali, il problema del male e della sua giustificazione, l'etica della guerra, la questione della tecnica, i dilemmi dell'intelligenza artificiale, la dialettica hegeliana, interrogativi politici su tirannide, democrazia e repubblica.
Due letture per Sherlock Holmes - tema anche dei buoni apocrifi di Luca Martinelli Il palio di Sherlock Holmes e Sherlock Holmes e la morte del cardinale Tosca - con il mediocre The Philosophy of Sherlock Holmes e con il migliore Sherlock Holmes and Philosophy: Holmes come lo spinoziano uomo saggio capace di non essere affetto dalle passioni che rendono schiavi - modello che pone le basi per eroi moderni come Dr. House, Bones, Spock -, le regole del ragionamento logico deduttivo, induttivo e abduttivo, uno studio sull'amicizia, il tema della noia, i rapporti con la fortuna, l'azione, l'immaginazione, l'inganno e la menzogna.
Ancora filosofia e letteratura con il bel Stephen King and Philosophy: Dio e il male, la costruzione dell'identità femminile in un confronto tra Carrie e Simon de Beauvoir, la sfida tra transumanismo e bioconservatorismo, Roland della serie La Torre Nera e il nicciano eterno ritorno - ma anche l'etica utilitaristica -, l'analisi aristotelica dell'amicizia e i racconti di Stagioni diverse, l'Overlock Hotel di Shining come foucaultiana eterotopia, utopia e distopia in L'uomo che corre e La lunga marcia, il genere horror e la compassione schopenhaueriana, viaggi nel tempo e preveggenza. 
Passando ai fumetti, Batman Unauthorized: il realismo e il grottesco, sovversione e conservatorismo, l'essenza del Joker, la figura paterna di Ra's al Ghul, la (im)possibilità di un ritiro per Bruce Wayne, la follia di Arkham.

In Deadpool Killustrated il mercenario chiacchierone dei fumetti Marvel, consapevole di essere solo un personaggio dei comics e di vivere in una dimensione perciò fittizia, e vista l'impossibilità di liberarsi e di liberare gli altri da tale realtà di finzione perché gli autori continuano a riscriverli, decide di andare alla fonte del problema, a quella realtà prima e ideale da cui il suo mondo finto deriva, cioè la letteratura classica e si mette a ucciderne tutti i protagonisti (Moby Dick, Don Chisciotte, Dracula, etc.) cosicché il mondo dei fumetti non possa più essere riscritto perché ne è venuto a mancare il modello, l'archetipo, l'idea. Deadpool uccide i classici per porre fine a quel mondo falso, di favola, di finzione, che sa essere la sua realtà. Più che un fumetto un saggio filosofico.

Da aggiungere: il non splendido ma lunghissimo romanzo di Yehoshua Kenaz Non temere e non sperare, sul servizio militare nello Stato di Israele; il thriller Un finale perfetto del sempre affidabile John Katzenbachfinito il seminario a scuola sulle Meditazioni metafisiche di Cartesio; molto interessante e ricco di spunti, suggestioni e temi da approfondire il saggio di David Graeber sul perché ci perseguita e insieme ci rende felici la Burocrazia; i saggi di Gianni Vattimo raccolti in Le avventure della differenzaquelli di Carlo Sini su semiotica e filosofia di Eracle al bivio, quelli di Claudio Magris sul "grande stile" nella letteratura moderna in L'anello di Clarisse.

Inizia, infine, un periodo di letture su Nietzsche con la biografia di un'apolide dell'esistenza scritta da Massimo Fini, l'introduzione di Gianni Vattimo e uno dei primi saggi critici sul filosofo, Il culto di Nietzsche di Ferdinand Tönnies.

martedì 24 maggio 2016

critica dei morti viventi

La bella raccolta di saggi curata da Cateno Tempio, Critica dei morti viventi, indaga e racconta il fenomeno zombie tra cinema, videogiochi, fumetti e filosofia. I morti viventi siamo noi, inutile nasconder la nostra condizione ontologica che è la progressiva decomposizione, il disfacimento vivente. Figura perturbante e filosofica, lo zombie cammina senza trucchi, rifiuta l'imbellettamento e le maschere del vivere comune, svela la morte.
Rocco Ronchi ritiene che più dei moderni - che da Cartesio in poi pongono tra il vivente e il suo cadavere una relazione sinonimica, di contrari ma in un genere comune (ontologia della morte di un materialismo meccanicista che ha nei gabinetti di anatomo-patologia la sua origine) - siano gli antichi - che con Aristotele pongono un'omonimia tra il vivente e il cadavere, il cui nome è comune ma la cui essenza è differente - a permetterci di cogliere cosa siano i living dead: essi affermano una differenza pura, infinita, senza identità, la differenza a monte della vita e della morte (Jacques Derrida), una soglia che non appartiene né alla prima né alla seconda. Gli zombi portano a espressione quanto vi è di liminare nell'esperienza umana, l'esperienza pura, anonima e universale del trauma, familiare e perturbante.
Per Tommaso Ariemma quella del morto vivente è una figura di lunga tradizione che si riallaccia alle due distinte forme di "morte in vita" che gli antichi filosofi riconoscevano: la vita contemplativa e la vita quotidiana. Da Platone a Fichte la vita contemplativa, l'ideale della conoscenza separata dai disturbi e dai fastidi del corpo, uno stato di morte apparente, inventa la morte vivente degli altri, dei non contemplativi, come stato catatonico, inautentico e ferino, proprio di chi non si è convertito alla vita per la teoria. La figura degli zombi va allora messa in relazione alla sua origine metafisica, ovvero alla particolare forma di vita che l'Occidente ha scelto come ideale.
Antonio Lucci vede nell'origine haitiana dello zombie l'orrore infinito di una società soggiogata da un regime schiavista potenzialmente eterno e infinito, al di là del tempo e della morte: lo zombie quale paradossale controfigura dell'oppresso, grado zero della vita, dell'umanità, della morte e del proletariato. Pura morte, nuda morte che cammina, lo zombi si vendica di questa schiavitù nelle sue incarnazioni successive, che da un lato lo rendono un emblema della critica al capitalismo, mentre dall'altro esso diventa una macchina da riproduzione, un proletario nel senso letterale del termine, quale ente nel cui essere ne va della propria produzione e riproduzione: l'oppresso nel momento della sua rivolta e propagazione è lo zombi che crea altri, potenzialmente infiniti, seguaci, massa che da asservita diventa soggiogante, movimento acefalo, collettivo e organizzato dal basso nella propria assenza di opera. Nelle sue ultime figurazioni, invece, lo zombie sembra essere la molla d'innesco per narrazioni che hanno al proprio centro un'antropologia pessimistica: in una società resettata, in cui le istituzioni collassano, l'essere umano è il vero mostro, animale crudele allo stato di natura.
Tommaso Moscati evidenzia come lo zombie sia fra le figure orrorifiche quella che maggiormente è in grado di problematizzare la questione della diversità e dell'anticonformismo, essendo un concentrato di eccentricità e deformità.
Livio Marchese parla di "complesso dello zombie" per indicare la malattia che affligge l'umanità del terzo millennio, malattia prodotta dalle spore delle immagini in movimento di quell'arte potentissima e arte patogena che è il cinema che, meraviglioso e pericoloso, agendo sugli stati psichici più profondi può liberare e prolungare lo sguardo quanto condizionarlo e obnubilarlo fino allo stupore catatonico. Tra gli anni Sessanta e Ottanta la natura del miglior cinema zombie è stata quella rivoluzionaria di critica nei confronti della società, del nuovo tipo umano e delle nuove relazioni tra esseri umani, mentre ora esso sembrerebbe non andare oltre l'ambizione di soddisfare il bisogno di forzare sempre di più i limiti della rappresentazione dell'orrore, garantendo sfogo catartico e compiacimento.

venerdì 13 maggio 2016

come nietzsche finì per brandire una katana

La storia di un armamento con cui il mio Nietzsche "riavviato" finisce per brandire una katana ha come evidente modello di riferimento - amiamo il citazionismo - la scena del film di Quentin Tarantino Pulp Fiction in cui Butch, interpretato da Bruce Willis, soppesa diverse possibili armi prima di andare a salvare Marsellus: prima un martello, l'arma filosofica con cui porre domande a quegli idoli che avrebbero voluto rimanere in silenzio costringendoli, invece, a risuonare fragorosamente rivelando il proprio inganno, il proprio vuoto; poi una mazza da baseball, pronta a una poderosa opera di pestaggio che spacchi tutto, che tutto faccia esplodere; una sega elettrica, sfogo e divertimento dell'abietto schizzare di brandelli che sfronda, pota, ringiovanisce; e infine la katana, la spada da samurai, gioiosa serenità di uno sfregiare che non si lascia terminare, di uno sfrontato affrontare e recare affronto.
Katana o pugnale, arco lungo o balestra, .44 magnum o mitragliatrice a canne rotanti, mazza chiodata o alabarda, artigli da mustelide o dito medio alzato: dare uno stile, una forma, alla totalità focalizzata della propria forza.

giovedì 31 marzo 2016

letture di marzo

Il romanzo di Julia Kristeva I samurai è una sorta di sequel de I mandarini di Simone de Beauvoir: la generazione degli intellettuali francesi tra gli anni Sessanta e Ottanta non sono tanto detentori del sapere e del potere culturale entusiasti del loro impegno quanto piuttosto guerrieri che considerano la vita come un'arte marziale, la scrittura come un atto di piacere e di guerra insieme: poesia, gioco di sciabole o calligrafia, ogni arte è un'arte marziale in cui ci si mette a morte per rifarsi un nuovo corpo, una nuova forma. Bellissimo romanzo, e romanzo d'amore: "Sono insieme perché sono separati. Chiamano amore questa mutua adesione alla propria rispettiva indipendenza. Questo li ringiovanisce, sembrano adolescenti: addirittura bambini. Che cosa vogliono? Essere soli insieme. Giocare da soli insieme, e a volte passarsi la palla, tanto per dimostrare che in quella solitudine non c'è dolore".

I quattro racconti di Wu Ming che compongono L'invisibile ovunque raccontano, con stili di scrittura diversi, quattro diversi modi di sfuggire alla guerra, alla Grande guerra: da ardito che le corre incontro, da finto folle col rischio di rimanere vittima della propria finzione, da artista surrealista, da maestro del camouflage mimetico.  
Letture rapide, e assai poco significative, per la storia di un serial killer malato di Alzheimer narrata dal coreano Kim Young-Ha in Memorie di un assassino, e per i micro racconti raccolti in La vendetta di Agota Kristof.
Finito il romanzo di Charles Dickens La piccola Dorrit.

Poco filosofici i percorsi tracciati ne I mondi di Miyazaki dai contributi raccolti a cura di Matteo BoscarolConcluso il viaggio tra le Filosofie nel mondo, così come i saggi di Salvatore Natoli Soggetto e fondamento, la storia del volo ricostruita da Mirko Molteni ne Le ali di Icaro e  quella delle macchine, dalla loro infanzia alle moderne e inutili, raccontata in Tecnica curiosa da Paolo PortoghesiDella non convenzionale introduzione alla filosofia di Tommaso Ariemma, Niente resterà intatto, della Filosofia dell'umorismo di Lucrezia Ercoli, ho già scritto. Delle ottime storie incredibili dei meravigliosi materiali di cui è fatto il mondo raccontate con gran stile da Mark Miodownik in La sostanza delle cose scriverò magari più in là.

Molto belli il viaggi raccontati e disegnati da Igort nell'impero dei segni nei suoi Quaderni giapponesi e tra le memorie dai tempi dell'URSS nei suoi Quaderni ucraini. Dopo Golem, un altro graphic novel di LRNZ, Astrogamma, sempre con una grande capacità grafica, superiore a quella di scrittura della storia. Non particolarmente originale ma comunque gradevoli nella loro classicità le storie di samurai scritte da Roberto Recchioni e ben disegnate da Andrea Accardi in Chanbara. Ispirato all'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, La maschera della Morte Rossa, graphic novel che ai temi della vanitas umana e dell'ineluttabilità della morte unisce quello sui vizi e peccati capitali e una storia di vendetta, è invece banalmente scritto da Marco Rocchi e non brillantemente illustrato da Giuseppe Dell'Olio.
Altri primi cicli narrativi dell'universo Marvel che arrivano a conclusione sono i superiori e più minacciosi - adatti a più minacciose minacce - oltre che incredibili X-Men guidati da Magneto e scritti da Cullen Bunn, l'ottima possente Thor - nelle cui vene scorre il tuono - scritta da Jason Aaron, il nuovamente in nero Daredevil di Charles Soule, i migliorabili nuovissimi e completamente differenti Avengers di Mark Waidla nuova Wolverine e le sue cloni/sorelle di Tom Taylor, la quanto meno originale squadra di mostri gestita dallo SHIELD e allestita in Howling Commandos da Al Ewing, autore anche dei cosmici Ultimates impegnati a cominciare con l'impossibile, l'eccezionale Hulk di Greg Pakgli Illuminati di Joshua Williamson con la loro vita criminale, gli incredibili Avengers pessimamente assemblati da Gerry Duggan in una nuova squadra unione, i nuovi X-Men originali, adolescenti e venuti dal passato cui Dennis Hopeless fa affrontare i fantasmi di Ciclope ma di cui si poteva francamente fare a meno, come si potevano evitare i nuovi Inumani impegnati da James Asmus in una reazione globale al loro proliferare.

giovedì 31 dicembre 2015

letture di dicembre (II)

L'ultima avventura dell'ex commissario della Polizia norvegese Harry Hole, il magnifico personaggio creato da Jo Nesbø, rappresenta uno straordinario finale per una travolgente e sempre in crescita serie. In realtà un non finale, perché non tutti gli assassini sono catturati, non tutti i corrotti smascherati, non tutti i buoni salvati, non tutte le verità rese pubbliche, non tutti i crimini risolti, ma è perfetto così perché la giustizia è a venire e non coincide con la legge, l'ordine non può escludere il caos e non è nelle forze della polizia e della politica.

E per una saga che finisce, una comincia, e comincia bene Les italiens di Enrico Pandiani.

Per i classici della cultura giapponese le riflessioni di Tanizaki Junichiro Sulla maestria e  il racconto storico-folcloristico di Ishikawa Jun su I demoni guerriri.

Completo la lettura dei romanzi di Fabio Geda recuperando la storia vera di Enaiatollah Akbari che nel suo viaggiare e crescere tra Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e Italia scopre che Nel mare ci sono i coccodrilli.

Il contrabbasso di Patrick Süskind, monologo di un semplice orchestrale letto in vista dello spettacolo teatrale del prossimo gennaio.

La raccolta di interventi su Bond, James Bond prova a spiegare e analizzare, indagare e raccontare, i motivi del mito e del successo dell'agente segreto più famoso del mondo: eroe della democrazia presente che lotta contro le macchinazioni ai danni del sistema dato, eroe del glamour e di un lusso non aristocratico e (quasi) accessibile, eroe pop ridondante fino all'esasperazione e votato all'ibridazione di genere, eroe epico contemporaneo logorato dal tempo e dal fato ma forte nella volontà di battersi e di non cedere.

Del breve e denso saggio di Alain Badiou  sulla Metafisica della felicità reale ho già scritto. Dei due saggi d'arte di Jean Clair, Il nudo e la norma e Medusa, scriverò a breve.

martedì 1 settembre 2015

marvel's philosophy

Lidi Filosofici organizza MARVEL'S PHILOSOPHY. La meravigliosa filosofia del fumetto.
A Ostia (Roma), presso l'Aula Magna dell'istituto superiore Faraday (via Capo Sperone, 52), il 4 e 5 settembre 2015 si svolge la prima edizione della Summer School organizzata da Lidi Filosofici. Quest'anno il programma dei corsi prevede X-Men, Avengers, altre realtà del mondo del fumetto (Watchmen, The Walking Dead) e percorsi trans-mediali (cinema, serie tv) per affrontare "caldi" temi filosofici: libertà, etica, identità, estetica, tecnica. Perché la filosofia nasce dalla meraviglia (marvel).
L'iniziativa è totalmente gratuita. Vieni a scoprire cosa succede quando Nietzsche incontra Thor.
La scuola di formazione di Lidi Filosofici è aperta a tutti: lo studente interessato alla filosofia e/o al fumetto scoprirà nuove vie di accesso al pensiero e al piacere del testo (filosofico o fumettistico che sia); l'insegnante vi troverà opportunità di aggiornamento, suggestioni, spunti di riflessione didattica; l'appassionato di fumetti potrà avere dell'oggetto della propria passione una "realtà aumentata" dall'indagine filosofica così da godersi maggiormente l'esperienza di lettura.
È possibile la frequenza sia all'intero programma della scuola sia a singoli corsi. La scuola ha durata di due giorni, il 4 e 5 settembre (con orario venerdì 4 dalle 15.00 alle 19.00, e sabato 5 dalle 9.30 alle 19.00) e si svolge presso l'Aula Magna dell'istituto superiore Faraday, via Capo Sperone 52, Ostia (Roma).



venerdì 31 luglio 2015

letture di luglio

Viaggi, studio e caldo tolgono tempo ed energie per la scrittura, quindi solo un piccolo e breve resoconto delle letture mensili. Di alcune di esse, magari, ne parlerò più diffusamente il mese prossimo.

Classici della letteratura: La donna in bianco di Wilkie Collins, Henry James con Lo scolaro, La fiera delle vanità di William Thackeray, Samuel Richardson con Pamela, Passaggio in India di Edward Morgan Forster
E letteratura contemporanea con Neil Gaiman, The Ocean at the End of the Lane, The Silkworm di Robert Galbraith/J.K. Rowling.
Ancora Aristotele, questa volta con l'Etica Nicomachea. E, sempre in ambito filosofico, Slavoj Žižek con il suo ultimo Problemi in paradiso, Canone inverso di Tommaso Ariemma, Stefan Zweig con Il demone di Nietzsche e La porta stretta di Umberto Curi.
Perla del mese, la Star Wars Trilogy (ri)scritta in stile shakespeariano - quindi in pentametro giambico - da Ian Doescher.

sabato 28 febbraio 2015

letture di febbraio

Il più letale cecchino della storia americana, lo sniper Chris Kyle, nella propria autobiografia American Sniper mostra la cifra di un’etica del desiderio, sempre a rischio di scuse per il dovere e di un osceno godimento – visto il divertimento che prova, che gli procura il combattimento, confessa che "magari era solo che stavo cercando una buona scusa per fare a botte", e di certo ne ha avute di opportunità di menar le mani –, di un’etica della responsabilità e della colpa – in occasione dell’uccisione di un compagno: "non m’interessa quello che dicono, io mi sentivo responsabile per quello che era successo" –, di un’etica dell’inadeguatezza – "mi sentivo uno che si arrende, che non aveva fatto abbastanza". Si mostra, insomma, eroe non classico ma moderno, più cattivo dei cattivi (un vero stronzo), riparatore di torti e ingiustizie, vendicatore e punitore (Punisher), pronto all'uso della forza e della violenza.  

Dopo Inseguimento, un altro thriller di ambientazione italiana per Patricia Highsmith, la giallista preferita del filosofo sloveno Slavoj Žižek: Il talento di Mr Ripley. Il protagonista, il talentuoso giovane Tom, è uno psicotico ma non un folle, anzi è razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma proprio per questo, quale prezzo da pagare, è anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale, un cinico al quale ci si affeziona durante la lettura, un uomo alla cui spalla si adatta perfettamente il bracciolo di un divano, meglio di quanto potrebbe mai fare il braccio di una persona, di chiunque.

Continua anche la mia lettura della saga del detective Harry Hole, di Jo Nesbø, che con La stella del diavolo mantiene l'ottimo livello raggiunto con il precedente volume, Nemesi: una serie che col tempo migliora invece che scadere non è cosa dappoco. 

Anche James Patterson entra nella lista dei thriller da leggere in questa mia immersione nel genere iniziata nell'ultimo anno. Lo fa, e piuttosto bene, con il primo volume della saga di Alex Cross, Ricorda Maggie Rose.

Nessun delitto nelle storie raccolte da Gilbert K. Chesterton in Il club dei mestieri stravaganti, ma mistero, suspense, intelligenza e tanta ironia grazie ad agenti immobiliari arborei, attaccabottoni professionisti, fornitori di avventure romanzesche, giudici di tribunali morali volontari e, come protagonista, un anti-sherlockiano indagatore-filosofo, Basil Grant, che reputa i fatti, simili a strani animali remoti, solo in grado di oscurare la verità.

Troppe le aspettative, forse, per un romanzo che Ernest Cline, autore del bellissimo Player One, definiva come l'incontro tra The Avengers e The Walking Dead. Ex - Supereroi vs. Zombie di Peter Clines è comunque una piacevole lettura di genere, e il suo sequel lo leggerò senz'altro a breve.

Ripreso in mano dopo oltre tre anni, il libro 2 della trilogia di Murakami Haruki 1Q84.

E, in vena di trilogie, inizio quella di James Dashner Maze Runner con il primo volume, Il labirinto.

La monografia di Valentino Sergi su Frank Miller. Il Cavaliere Oscuro di Hollywood ripercorre l'intera produzione dell'autore statunitense, dalla decostruzione e ridefinizione dell'eroismo nei comics con le sue rivoluzionarie scritture di Devil e Batman, alla sua rivoluzione anche formale nello storytelling e nella composizione grafica del medium fumetto, dalle sue distopie quasi fantascientifiche e la sua produzione fuori dalle due grandi case editrice del fumetto americano (Marvel e DC), alla sua esperienza con il mondo del cinema. Saggio piuttosto compilativo, poco di analisi, approfondimento, interpretazione.

Il classico L'arte della guerra di Sun Tzu.

venerdì 7 novembre 2014

piccola filosofia dello zombie

Nella sua Piccola filosofia dello zombie, Maxime Coulombe propone una riflessione attraverso l'orrore, una messa alla prova filosofica di una figura come quella dello zombie che sembra rappresentare inquietudini e paure umane, essere sintomo di ciò che tormenta la coscienza della nostra epoca e, forse, si preferisce sia taciuto, come una certa stanchezza, una volontà di farla finita.
Quella dello zombie è un'immagine che sopravvive nel tempo, capace di trasformarsi plasticamente e attraversare le epoche mostrando sempre ciò che anima una cultura in un dato momento della sua storia. Nato nella cultura africana e haitiana come figura che evoca la schiavitù forzata, un soggetto depersonalizzato e incapace di ribellarsi, dal diciannovesimo - e poi pienamente negli anni Venti e Trenta del ventesimo - secolo lo zombie entra nel folklore occidentale, come immagine di un individuo drogato o stregato da una persona malvagia ma la cui condizione di incoscienza è temporanea. Una svolta interpretativa si ha negli anni '60-'80, ad opera soprattutto del cinema di George A. Romero che fa dello zombie non più il frutto momentaneo di un sortilegio, ma una nuova specie che si nutre degli uomini ed è in grado di trasmettere in modo epidemico la propria condizione, condizione irreversibile dovuta a forze soprannaturali che riportano i morti alla vita, privi di coscienza, causando orrore senza altro scopo apparente che la distruzione stessa. 
Figura del doppio, a rendere particolarmente perturbante lo zombie è la sua vicinanza all'umano, il fatto che esso è un quasi-uomo. Lo zombie richiama l'immagine di un individuo traumatizzato più che di un mostro, facendosi metafora di un soggetto contemporaneo vittima dello shock della modernità, la cui coscienza, ferita dal ritmo del mondo, dalla riduzione delle affezioni, dalla meccanizzazione dei gesti, è resa fragile. Lo zombie, così, non sarebbe la figura dell'eccezione ma l'incarnazione di un frammento della reale condizione umana, come se nel cuore della modernità risiedesse qualcosa di simile al divenire-zombie.
Figura del represso, l'orrore e la mostruosità dello zombie segnano il ritorno della corporeità umana, ci ricordano la nostra natura mortale e contingente: mettendo in scena l'abiezione, lo squarcio, l'impurità, la degradazione, lo zombie mostra ciò che la cultura cerca di nascondere fuori dal campo del visibile, attraverso l'imposizione del controllo del corpo, l'ossessione dell'annullamento delle manifestazioni del corpo e della ritualizzazione e standardizzazione progressive delle maniere corporali. L'abietto, secondo Julia Kristeva, punta verso la natura dell'uomo e verso tutto quello che la coscienza umana ha dovuto respingere, allontanare, per formarsi, distanziamento che ha come corollario il rifiuto, la rimozione, della nostra animalità e fatalità. Lo zombie, quindi, è il reale che resiste alla simbolizzazione e mostra il limite e la fragilità dell'identità umana, del nostro sistema e ordine sociali e culturali, la loro natura convenzionale. Se il grottesco, secondo Michail Bachtin, è una reazione di libertà e permette lo sfogo, il divertimento, la rivincita, lo splatter dello zombie sembra essere però un orrore che non riesce a trasformarsi in progetto, utopia, contro-mondo: esso ci libera ma è incapace di sognare, sopra le rovine dell'ordine stabilito, un futuro alternativo.
Questa incapacità manifesta una certa pulsione di morte, un certo desiderio di assistere, in mancanza della possibilità di sognare qualcosa di migliore, alla distruzione del mondo. Così, infine, lo zombie si fa anche figura dell'apocalisse, rappresentando uno sfogo sublime alle paure di fronte alla minaccia costante della distruzione dell'umanità, mettendo in scena il fantasma, o perfino il sogno, di assistere alla scomparsa dell'umanità. Gli attacchi degli zombie destabilizzano irrimediabilmente l'equilibrio precario del nostro mondo, e questo annientamento ci libera da una condizione deprimente, è il sollievo ultimo di ogni nostra tensione. Il sogno dell'apocalisse funziona perché permette di liberarsi da una passività imposta, di ritrovare, anche solo in uno spazio minimo, una sensazione di dominio: la fine dell'umanità sarebbe il nostro riscatto, non ne saremmo più vittime poiché l'avremmo, almeno immaginariamente, sognata e sperata, in una rivalsa simbolica sull'ordine del mondo.


mercoledì 9 luglio 2014

piccola filosofia del glamour

Partendo dall'insegnamento nietzschiano di tenere in considerazione il proprio corpo - "possente sovrano" e "saggio ignoto" (Così parlò Zarathustra) che proprio il corpo abita -, Debora Dolci e Francesca Gallerani costruiscono in Glamoursofia una piccola filosofia della moda femminile, mostrando un amore per il glamour che supera l'obsoleta visione apocalittica di Adorno per cui la moda sarebbe un effetto alienante, narcotizzante e ingabbiante del consumismo sfrenato, dell'egemonia ideologica del capitalismo, per riconoscere, invece, che si comprano vestiti "perché è divertente, perché è un gioco che procura piacere" e che "non consiste solo nel possedere ma anche nel comunicare 'universi di senso', costruire 'pezzi' della nostra identità", rispondendo "non solo a un'esigenza di imitazione (e di uniformazione), ma anche di differenziazione e individuazione".
Così, le scarpe "non sono meri accessori ma veri e propri modi di essere", importanti non perché feticci ma perché "base su cui poggiamo e grazie a cui ci muoviamo, base dunque della nostra libertà", e il tacco, in particolare, ha sicuramente un significato polivalente e "da simbolo di subordinazione potrà diventare a pieno diritto strumento di empowerment (oltre che di piacere) scelto e non imposto". "Quello che per le femministe era oppressione diventa espressione di successo, la femminilità da coercizione si trasforma in armatura, il tacco 'scopami' subisce una mutazione e si ridefinisce come tacco 'killer'. Nasce la donna guerriera" che le figure femminili dei film di Quentin Tarantino rappresentano. Così, ancora, "il push-up è complice di una femminilità intrinsecamente mutevole, che fa del cambiamento e della temporaneità la sua jouissance", mentre il vintage incarna un processo di creatività, personalità, gioco. Si cambia identità cambiando vestito, "attraverso una ricerca di sé che è necessariamente una ricerca dello stile da indossare", attraverso una continua creazione e ri-creazione di se stessi in cui si è liberi di gioire della propria molteplicità.


domenica 30 marzo 2014

anarchici

Purtroppo mi è sembrato di poco spessore filosofico, pur partendo da un interessante idea e offrendo qualche spunto, l'analisi di Flavia Monceri sugli Anarchici nei film Matrix e Cloud Atlas. L'autrice traccia un cambiamento nella figura dell'anarchico che da eletto, super-eroe avanguardista, dotato di un'aura di eccezionalità, come Neo passa - attraverso la mediazione filmica offerta dall'anonimo V di V per Vendetta - agli individui comuni di Cloud Atlas, esponenti di una nuova forma di (post-)anarchia che intende fare i conti con la vita quotidiana di persone che al massimo possono diventare rivoluzionari per caso, anarchici contro un principio di potere e dominazione non del regime politico sul suddito ma dell'uomo sull'uomo, potere che si esplica attraverso la violenza in tutte le sue possibili forme e che nel film è espresso nella ricorrente formula "il debole l'abbatte, il forte che lo inghiotte" ("the weak is meat and the strong do eat"). "In Cloud Atlas le cose cambiano: all'idea che esista un unico luogo del Potere si sostituisce quella di una sua interazione dinamica con tutti gli altri poteri che sono dappertutto, anche nel singolo individuo".
Il presupposto epistemologico di questo passaggio politico è la consapevolezza dell'interdipendenza e la connessione del tutto, chiaramente ed esplicitamente espressa in Cloud Atlas dal proclama di Sonmi-451: "Essere vuol dire essere percepiti. Pertanto, conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e delle nostre azioni, che continuano a suddividersi nell'arco di tutto il tempo. La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro".
"Non esistono gesti, azioni, pratiche, parole e silenzi che non cambino la realtà, perché nessuna di queste cose può rimanere senza conseguenze che si estendono al di là di ogni possibile controllo nel mondo nel quale accadono. Un mondo che non è governato da nessun principi, un mondo sostanzialmente an-archico".

giovedì 23 gennaio 2014

(per)donare la morte - kill matsu'o (I)

La ninja e telepate X-Men nota come Psylocke è la protagonista della miniserie Kill Matsu'o. Se fin dal titolo l’avventura sembra una citazione del film del 2003 di Quentin Tarantino Kill Bill, questo omaggio citazionista è ulteriormente confermato e rafforzato all’interno della storia, che si presenta anch’essa come una furiosa ricerca di vendetta da parte di una donna armata di katana (Psylocke) nei confronti di un uomo per cui ha lavorato come assassina (Matsu’o Tsurayaba), e che ha tra i suoi momenti uno scontro “una contro molti” nel Club 77 di Tokyo (come La Sposa affronta in un locale giapponese gli 88 folli della Yakuza). Uno degli eventi che fa della vita di Psylocke qualcosa di spettacolare e terribile è l’essersi ritrovata «in un altro corpo. Con un’altra faccia»: cercando di salvare gli X-Men dai cyborg Reavers – che, come forse nessun altro mai, si sono avvicinati allo sterminio del gruppo mutante, tra l'altro crocifiggendo Wolverine – Psylocke ha attraversato quel Seggio Periglioso (di ispirazione arturiana) oltre il quale, finita su una spiaggia giapponese e lì trovata dall’organizzazione criminale – e secolare setta ninja legata al mondo dell’occulto – della Mano e prelevata da Matsu’o Tsurayaba, è stata trasformata da quest’ultimo – grazie all’unione di chirurgia, tecnologia e magia e nel tentativo di riportare in vita la donna che amava (Kwannon) – in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era. Per un po’ Psylocke è stata Kwannon – o meglio Lady Mandarin, assassina del Mandarino –, poi Wolverine l’ha riportata “indietro”: «Ho visto me stessa nella sua mente… e i suoi ricordi mi dissero chi ero».

La vicenda della miniserie dedicata a Psylocke prende avvio dalla decisione della mutante su «come disporre del proprio cadavere», ma non in vista di una futura morte, bensì nell’attualità inquietante di un cadavere su un tavolo di obitorio: «su quel tavolo c’è il mio vecchio corpo». Psylocke deve decidere cosa fare del suo corpo originale, quello che ha attraversato il Seggio Periglioso, quello che ora non è più il suo corpo, quello che ora non è più lei. Partita per il Giappone per inumarlo, la telepate viene però attaccata dai ninja della Mano che, su mandato di Matsu’o, inceneriscono il corpo, il suo cadavere, davanti a lei. Ciò che era, l’ultimo legame con la sua vita precedente, incenerito, andato, dissolto. Psylocke aveva fatto pace e perdonato Matsu’o per ciò che le aveva fatto, nonostante ciò che le aveva fatto, prenderle il corpo e l’anima era stato un gesto empio ma compiuto per amore, ma adesso? Adesso sembra non esserci possibilità di perdono, ma solo per lo scatenarsi di una furiosa vendetta: Matsu’o deve morire. Fra Psylocke e Matsu’o, però, si frappone un inaspettato ostacolo: Wolverine. Anch’egli ha ottimi motivi per odiare e vendicarsi di Matsu’o, essendo il responsabile della morte di Mariko Yashida, donna che è stata uno dei più profondi amori del mutante, ma la sua maniera di fare i conti con il capo della Mano non ne prevede la morte, bensì la lenta, continua, cerimoniale mutilazione: «Matsu’o non ha finito di pagare e quindi non deve morire. Mai»; «ogni goccia di sangue ripaga ciò che mi ha portato via. E non sarà mai abbastanza». Questo calcolo della vendetta e dell’imperdonabile è ben raffigurata da un poster che Wolverine tiene nella sua stanza, manifesto che riporta una citazione da Archiloco sull’arte di ricambiare il male a chi ci ha ferito: «Una sola cosa so, importante: ricambiare con mali terribili chi mi fa del male [I have a high art. I hurt with cruelty those who would damage me]».

Psylocke più di chiunque altro, probabilmente, può comprendere la decisione di Wolverine, la volontà di ricambiare con mali terribili chi ci ha fatto del male, di ferire crudelmente chi ci ha danneggiato, ma gli si oppone, lo affronta: «Matsu’o si è portato via la vita di Logan. Capisco la sua rabbia. Perché fermarlo? Cosa mi importa di Matsu’o Tsurayaba? Cosa sto facendo?». Non c’è anche in Psylocke la stessa volontà di vendetta e la stessa impossibilità di perdono presenti in Wolverine? «Ho distrutto la tua vita. E ora anche le tue ultime vestigia. C’è perdono nel tuo cuore? O solo vendetta?», domanda lo stesso Matsu’o. Uccidere i propri avversari è un comportamento che non ha mai fatto parte dell’etica degli X-Men. Non lo fa Tempesta, leader degli X-Men, con Magneto, eppure quello di Tempesta è un eroismo certo degno del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, dell'eroe postmoderno comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale – insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller – di cui Simone Regazzoni traccia i caratteri nel suo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi: Tempesta, eroe dalle infinite sfumature, è quello che è perché ha abbracciato il suo lato oscuro, la sua natura più cupa. Eppure c’è perdono nel suo cuore e non solo vendetta. Così è per Psylocke davanti a Matsu’o, sembra. Le due mutanti riconoscono – come Jacques Derrida – che quella del perdono è «un’esperienza estranea al regno del diritto, del castigo o della pena, dell’istituzione pubblica, del calcolo giudiziario ecc.», insomma, rappresenta «una sfida alla logica penale» che richiede una rottura di ogni possibile reciprocità o simmetria – quelle che, invece, inutilmente cerca Wolverine – e che «esige che il perdono sia accordato, se può esserlo, perfino a qualcuno che non lo domanda, che non si pente né si confessa, né rende migliore se stesso o si riscatta: al di là, pertanto, di ogni economia, al di là perfino di ogni espiazione» (Perdonare).


Il perdono, se ce n’è, ha senso e possibilità solo laddove esso è chiamato a fare l’im-possibile, cioè a perdonare l’imperdonabile, l’inespiabile, secondo Derrida, per non correre il rischio di essere contaminato da un calcolo che lo corrompe, prima colpa di ogni perdono che voglia essere veramente tale. Il perdono, come il dono, non vuole gratitudine: «Non devi ringraziarmi», dice infatti Psylocke a Matsu’o, perché il (per)dono non deve apparire come tale, né al donatario né al donatore. Sempre secondo Derrida «Nemmeno colui che dona deve vederlo o saperlo, altrimenti comincia, fin dall’inizio, fin dal momento in cui ha l’intenzione di donare, a ripagarsi di un riconoscimento simbolico, a felicitarsi, ad approvarsi, a gratificarsi, a congratularsi, a restituirsi simbolicamente il valore di ciò che ha appena donato, di ciò che crede di aver donato, di ciò che si appresta a donare» (Donare il tempo).

sabato 30 novembre 2013

da benjamin a wall-e (letture di novembre III)

Dopo Gioco d'azzardo e Regno senza grazia, mi son dato alla lettura di un altro saggio di Gianluca Cuozzo sulla Filosofia delle cose ultime. I temi sono ancora una volta quelli della società dei rifiuti e di un mondo senza più grazia da salvare, ma qui trattati forse con un maggior spessore filosofico, perché "in un mondo sopraffatto dai rifiuti, la filosofia ha il compito di assumere come proprio oggetto di indagine anche questa realtà imbarazzante e pervasiva, capace di colonizzare l'immaginario umano con incubi i cui protagonisti sono 'ratti e paranoia'". Così l'incipit del saggio, in cui l'autore da sapiente straccivendolo e collezionista cammina e avanza tra le rovine della storia e della società accumulando sacri e profani rottami di ogni cosa, filosofia, letteratura, cinema, arte, pubblicità.
Con questi pezzi tagliati, Cuozzo compone un puzzle in cui la spazzatura fa da controcanto osceno della produzione e del consumo, rappresentando l'inadempiuta utopia della società, le attese e le aspirazioni da essa disattese e tradite, la sua promessa inappagata di felicità. Le marginali cose ultime costituiscono un universo di aspettative ancora pulsante, mai quieto, pronto a tendere degli agguati alla nostra rappresentazione ideologica, delle schegge messianiche, brani divelti del tempo che aspettano che qualcuno li raccolga - usandoli nel modo giusto - per realizzare nel presente il loro potenziale salvifico.
Il filosofo, come il robottino della Pixar Wall-E - a sua volta versione post-moderna e tecnologica dell'angelo della storia di Walter Benjamin - ha il compito di (r)accogliere questa protesta caparbia e sovversiva contro ciò che è tipico, ordinario, classificabile secondo le convenzioni stabilite di ciò che è stato scartato e che potenzialmente insorge in una forma di contestazione - a un tempo anarchica e messianica - capace di liberare l'uomo dalla schiavitù nei confronti delle merci e dei beni di consumo, annunciando un possibile altro, un mondo diverso a venire.


ShareThis