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sabato 17 dicembre 2011

il piacere di avere paura

Ampliando l'idea di Bruno Bettelheim secondo cui le fiabe per bambini rappresenterebbero un rito di passaggio adolescenziale «Una particolare storia può rendere ansiosi certi bambini, ma una volta che essi hanno ottenuto una maggiore dimestichezza con le fiabe gli aspetti paurosi sembrano scomparire, mentre gli elementi rassicuranti diventano ancora più dominanti. Lo scontento originario dell'ansia si trasforma allora nel grande piacere dell'ansia dominata e affrontata con successo. I genitori che vogliono negare che il loro figlioletto ha desideri omicidi e vuole fare a pezzi cose e addirittura persone credono che al loro bambino debba essere impedito di covare pensieri del genere (come se fosse possibile)» (Le fiabe e le paure dei bambini, in Il piacere di avere paura – e adattandola ai racconti dell'orrore della serie a fumetti Dylan Dog, Roberto Manzocco sostiene nel suo saggio che il loro fascino «potrebbe ruotare attorno ad una forma di rito di passaggio post-moderno: in sostanza i mostri e lo splatter ci fanno sentire vulnerabili, ci tolgono il terreno da sotto i piedi, portano l'orrore fin dentro di noi, in modo da farcelo assaporare e casomai vincere – senza alcun pericolo. Le storie di paura e di orrore sono quindi esperimenti mentali che ci consentono di rafforzare le nostre difese psicologiche e dunque di crescere».
Oltre che a questa ipotesi, l'autore si richiama anche ad altri studi e analisi, filosofici e psicologici, sui temi dell'orrore, della violenza e della crudeltà. La psicologa inglese Kathleen Taylor autrice di Cruelty. Human evil and the human brain sottolinea come il piacere e la soddisfazione procurati dal sadismo vicario della crudeltà fruita e mediata derivino dal potere emotivo e dal senso di vertigine che essa induce, similmente a ciò che succede sulle montagne russe o sulle giostre; mentre lo psicologo americano David Buss sostiene in The murderer next door. Why the mind is designed to kill – che a livello inconscio è presente dentro di noi un'aggressività smisurata che riceve una soddisfazione di tipo vicario da certi generi di rappresentazione. Secondo il filosofo americano Noël Carroll autore di The Philosophy of Horror, saggio in cui presenta il "mostro" come quell'essere interstiziale e contaminato, inclassificabile e indefinibile una volta per tutte perché capace di infrangere le categorie con cui normalmente separiamo, ad esempio, l'interno e l'esterno, l'io e il tu, il vivo e il morto –, invece, «non il sangue e la violenza in sé, ma la propria capacità di assorbire l'orrore e dominare l'ansia e il disgusto» è ciò che si trova di piacevole nel genere horror.
Un altro elemento che Manzocco presenta nella sua analisi è il rapporto tra horror ed erotismo, l'erotizzazione dello splatter. E il filosofo di riferimento è, in questo caso, Georges Bataille, che ne L'erotismo scrive: «Se la bellezza, il cui compimento rifiuta l'animalità, è appassionatamente desiderata, ciò accade perché il possesso introduce in essa l'impurità animale. La si desidera per poterla corrompere. Non in sé e per sé, bensì per la gioia gustata nella certezza di profanarla. Nel sacrificio, la vittima veniva scelta in modo che la sua perfezione rendesse sensibile la brutalità della morte. La bellezza umana, nell'unione dei corpi, introduce la contrapposizione tra l'umanità più pura e l'animalità vergognosa degli organi. Del paradosso del laido che si contrappone nell'erotismo alla bellezza, i Quaderni di Leonardo da Vinci forniscono questa incisiva espressione: "L'atto dell'accoppiamento e le membra di cui esso si serve sono d'una tale laidezza che se non vi fosse la bellezza dei volti, gli ornamenti dei partecipanti e lo slancio sfrenato, la natura perderebbe la specie umana". Leonardo non s'avvede che le attrattive di un bel viso o di un bell'abito giocano nella misura in cui questo bel viso preannuncia ciò che l'abito dissimula. L'importante è di profanare quel volto, la sua bellezza. Di profanarlo in primo luogo mettendo a nudo le parti segrete di una donna, poi introducendovi l'organo virile. Esattamente come la morte nel sacrificio, la laidezza dell'accoppiamento comunica angoscia. Ma maggiore è l'angoscia e più forte è la coscienza di superare i limiti, che dà origine a un trasporto gioioso. Il fatto che le situazioni mutino a seconda dei gusti e delle abitudini, non può evitare che generalmente la bellezza (l'umanità) di una donna concorra a rendere sensibile l'animalità dell'atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna, sulla quale la laidezza degli organi o dell'atto non risalti. La bellezza ha soprattutto valore perché la bruttezza non può essere profanata, laddove l'essenza dell'erotismo risiede appunto nella profanazione. L'umanità, significativa del divieto, è trasgredita nell'erotismo: è trasgredita, profanata, guastata. Maggiore è la bellezza, più profonda è la profanazione». L'idea del filosofo francese – espressa anche nella raccolta di saggi Il labirinto è che nell'uomo esista un eccesso irresistibile alla distruzione che opera in perfetto accordo e sincronia con l'incessante e inevitabile rovina e dissoluzione del divenire della realtà universale: «è il desiderio in noi di consumare, di rovinare, di dare alle fiamme tutte le nostre risorse; è la felicità che ci procurano la consumazione, il falò, la rovina che ci appaiono divini, sacri e che soli decidono in noi atteggiamenti sovrani, vale a dire gratuiti, superflui, non servendo che a se stessi, non essendo mai subordinati a risultati ulteriori». Bataille spiega dunque la fascinazione dell'orrore in termini di potenza e accordo gioioso con l'inarrestabile divenire.
In continuità con la gratuità e la sovranità di cui parla Bataille quali elementi di piacere presenti nell'orrore, l'autore richiama, in seguito, l'analisi che Roger Caillois presenta ne I giochi e gli uomini delle quattro categorie da lui riconosciute di giochi: agon (competizione), alea (casualità), mimicry (immedesimazione), ilinx (gorgo). Questi ultimi sono quelli che consistono in una sorta di smarrimento, di spasmo che annulla la realtà circostante, «distrugg[e] per un attimo la stabilità della percezione e f[a] subire alla coscienza, lucida, una sorta di voluttuoso panico». È il caso di certe attrazioni da luna park, che – nonostante provochino spavento, nausea, urla di terrore, fiato mozzato, sensazione di torsione degli organi interni – sono anche fonte di una paradossale forma di godimento. A guidare questo piacere prodotto da una situazione brutta o, meglio, inquietante è lo stesso «principio che governa ogni vicenda di fantasmi e di altri eventi soprannaturali, in cui ci spaventa o ci fa orrore qualcosa che non va per il suo verso giusto» (Umberto Eco, Storia della bruttezza). È il perturbante – analizzato da Freud sulla base, tra l'altro, di Schelling –, l'incerto, l'inconsueto, a indurre una leggera e piacevole forma di gorgo, vertigine.

 

martedì 5 aprile 2011

il gioco dei mondi: eterotropie e critica della normalità

«Vogliamo davvero far sì che l’esistenza si avvilisca in un esercizio da contabili e da matematici chiusi nel loro studio? Innanzitutto non si deve spogliare l’esistenza del suo carattere polimorfo: lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del rispetto di fronte a tutto quello che va al di là del vostro orizzonte! Un’interpretazione “scientifica” del mondo, come l’intendete voi, potrebbe esser pur sempre una delle più sciocche, cioè, tra tutte le possibili interpretazioni del mondo, una delle più povere di senso» (Friedrich Nietzsche).

Con le parole di Michel Foucault, «la filosofia è il movimento per cui ci si distacca – con sforzi, esitazioni, sogni e illusioni – da ciò che è acquisito come vero, per cercare altre regole del gioco» (Il filosofo mascherato, in Archivio Foucault 3. estetica dell’esistenza, etica, politica). La storia di Harry Potter inizia proprio con la rottura di un certo regime dell’esistenza supposto normale, con la messa in questione radicale della credenza secondo cui esisterebbe un solo mondo, il presunto mondo normale in cui orgogliosamente vive, e di cui è la triste espressione, la famiglia Dursley: «Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante» (Harry Potter e la pietra filosofale). Fin dall’inizio, dunque, la portata etico-politica dei romanzi della Rowling emerge come la necessità di decostruire l’idea dell’esistenza di un solo mondo e di imparare a esistere in più di un mondo. Non a caso la questione del male, incarnata dal Signore Oscuro, Lord Voldemort, si presenta come l’incubo dai precisi tratti nazisti di un unico mondo come totalità purificata da ogni alterità, un mondo di maghi purosangue.
Il mondo magico e il mondo normale (o babbano) sono due mondi distinti simultaneamente presenti, ripiegati l’uno nell’altro. Questa dimensione di ripiegatura è ben evidente nel caso dell’abitazione della famiglia Black al numero dodici di Grimmauld Place, che si trova ripiegata tra il numero undici e il numero tredici: «Una porta malconcia affiorò dal nulla. Era come se una casa in più si fosse gonfiata, spingendo da parte quelle ai lati» (Harry Potter e l’ordine della fenice). Si pensi, oltre che alla casa dei Black, a Diagon Alley che si apre “dietro” il Paiolo Magico situato in Charing Cross Road a Londra, e al binario nove e tre quarti che si trova “tra” il binario nove e il binario dieci di King’s Cross Station. Il mondo magico è uno spazio altro che abita nelle pieghe del mondo normale, al contempo fuori degli spazi in cui si trova incluso. L’altro mondo magico ha tratti in comune con quelle che Foucault chiamava eterotrofie, e più precisamente con quelle che chiamava eterotrofie di crisi: spazi riservati agli individui che vivono in uno stato di crisi nei confronti della società e dell’ambiente umano circostante, come ad esempio gli adolescenti.
Secondo Foucault le eterotopie di crisi stanno scomparendo a favore delle eterotopie di deviazione, spazi «in cui vengono collocati gli individui che hanno un comportamento deviante rispetto alla media o alla norma richiesta» (Eterotopia). L’eterotopia del mondo magico si presenta come la contestazione in atto, e l’effettiva decostruzione, non solo dell’unicità del mondo presunto normale, e del suo modello di razionalità tecnico-scientifica, ma anche dell’idea di eterotopie di deviazione quali spazi di reclusione dei soggetti che non si adeguano alla presunta normalità del mondo. La sua forza di rottura è quella propria del fantastico: «Tutto il fantastico – come scrive Caillois – è rottura dell’ordine riconosciuto, irruzione dell’inammissibile in seno all’inalterabile legalità quotidiana» (Nel cuore del fantastico), è l’incondizionata affermazione di un diritto all’esistenza di un mondo altro.
Il messaggio che ci arriva dai testi della Rowling è l’opposto di un invito a rifugiarsi nel sogno e nelle illusioni: è un invito, piuttosto, a non rassegnarsi a vivere imprigionati in un solo mondo – nel presunto mondo normale. Come all’interno del romanzo Harry Potter e la pietra filosofale le lettere rivelano a Harry la verità di un altro mondo in cui esistere – imparando nuovi linguaggi, acquisendo nuovi saperi, entrando in nuove reti di relazioni –, allo stesso modo la letteratura, e nel caso specifico la saga di Harry Potter, ci rivela un mondo: apre per noi la verità di un mondo in cui esistere. Ogni romanzo della saga è come una specie di lettera spedita dall’altro mondo, che ci chiede di rispondere: vale a dire di accogliere e farci carico della verità di quel mondo che rovescia l’ordinario. È quanto ha affermato Heidegger: «L’arte è il porsi in opera della verità», e «il porsi in opera della verità apre il prodigioso, rovescia l’ordinario e ciò che è mantenuto come tale». Nell’opera così intesa «ci colpisce l’urto del prodigioso, respingendo ciò che fino allora appariva normale» (L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri interrotti).

(da Simone Regazzoni, Harry Potter e la filosofia)

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