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martedì 14 giugno 2016

tre competenze per cui si ha bisogno di educatori

A scuola è tempo di imparare a programmare per competenze, ecco allora le tre competenze per insegnare le quali si ha bisogno di educatori: allargare il buco del culo, danzare, forgiare. 
Sembra che nel linguaggio tipico delle canaglie giapponesi su due ruote – che possono rivelarsi grandi insegnanti – avere il buco del culo piccolo sia un modo di dire, forse crudo, che significa essere meschino. Quindi la prima competenza è la generosità, la nobiltà del disinteresse e dell’ospitalità: sospendere il giudizio, che discrimina l’ostile, l’estraneo, il nuovo, imparare a aprirsi alla conoscenza, alla comprensione, all’assenso. Questa generosità riempie, colma il fondo degli occhi di unicorni e draghi di fuoco, castelli e isole. Questa generosità restituisce futuri più ricchi, garantisce un vero avvenire, eventi a venire.
Seconda competenza, insegnare a danzare, e che i fremiti dei piedi leggeri si riversino e diffondano per tutti i muscoli, sciogliendone la rigida imbranataggine, fino anche a quella di una goffa mano, fino a avere dita buone per le sfumature, per l’arte di piegare la carta e ottenere da un piano foglio gru che sbattono le ali distese e rane pronte al salto – ancora, unicorni e draghi. Insegnare a danzare con i piedi, con le idee, con le parole, con la scrittura. Danzare, finché c’è musica, senza fermarsi né chiedersi perché o che significhi, senza bloccare i piedi – piedi leggeri, nudi, sciolti, liberi. Senza fermarsi, danzare anche se si può sembrare stupidi, un passo dopo l’altro continuare a danzare, senza avere paura, finché i piedi non siano più leggeri e sicuri. Danzare, danzare, danzare – e bene, con maestria, con grande stile. 
Terza competenza, forgiarsi un’arma o un’armatura: colpisce forte il martello, risuona limpido l’acciaio, rosso e ardente, sempre più duro. Di esso fare la corazza della propria marca e la katana rifinita con la bellezza e l’eleganza di uno stile singolare.

(Filosofare con la katana. Nietzsche reboot)

lunedì 6 giugno 2016

il beccarsi il colpo migliore dell’altro

Il modo in cui affrontare il pensiero filosofico è la lotta, la pulsione agonistica. Non si ha bisogno solo di amici ma anche di rivali. Il pensiero è un agone più che un’infinita conversazione, una discussione seduti intorno a un tavolo – o peggio una comunicazione da dietro una cattedra, da sopra un rialzo. Nel pensiero si ha bisogno di atleti: che cos’è la filosofia se non un esercizio pericoloso, lo scivolare su nuovi piani come su un’onda il surfista, il beccarsi il colpo migliore dell’altro e rimanere ancora in piedi come un boxer, il contrattaccare a un fiero servizio come un tennista? Si ha bisogno di guerrieri: che cos’è la filosofia se non lo sfrontato fiondare pietre creandone meteoriti, il forsennato fondere vecchi concetti come si può fare con un cannone per ricavarne nuove armi, proiettili con cui a forza forare le assuefatte opinioni? Non ci si può, non ci si deve, limitare a rimestare concetti antichi e, soprattutto, già belli e pronti, a ripulire scheletri o rosicchiare ossi.
Nell’agone tra atleti rivali che è il pensiero, a chi pratica la lotta senza avere una preparazione apposita, a quelli che se ne vanno intorno dando colpi fiacchi, loffi, e credendosi ingannevolmente padroni del campo, si deve saper rispondere, con argomenti insoliti nelle diatribe accademiche ma filosoficamente del tutto leciti. 

(Filosofare con la katana. Nietzsche reboot)

martedì 19 aprile 2016

un nuovo canto di guerra

Conservare la propria allegria in mezzo alla responsabilità per il crepuscolo di un racconto, di cui si stanno radendo al suolo le radici, e alla tracotanza di dargli una nuova aurora, reinventandolo, riscrivendolo, non è cosa dappoco. Ma niente accade, nessun evento ha luogo, senza un atto di forza – una prova di generosità e di gioiosa, serena forza. Il compito di riavviare le condizioni per una trasvalutazione di tutti i valori, di rimettere in atto, in scena, un pensiero così inattuale, costringe a abbandonare ogni grave serietà, ogni distesa pesantezza, per forgiare invece nuove armi e intonare un nuovo canto di guerra. La guerra e le sue ferite sono il nascimento e l’etica della filosofia. Già da tempo una freccia, di cui tengo celato l’arciere all’erudizione intellettuale, ha prodotto la ferita intorno a cui mi sono dato uno stile:

Si è fecondi soltanto a prezzo d’essere ricchi di contrasti; si resta giovani soltanto se si presuppone che l’anima non si distenda, non brami la pace.

Nessuna distensione dell’anima, quindi, nessuna brama di pace, ma un grido di battaglia prima dello scontro, una grande dichiarazione di guerra contro quegli idoli già auscultati, cui già son state poste domande con il martello, cui già si è imposto di risuonare fragorosamente laddove essi avrebbero voluto rimanere in silenzio. Ma le orecchie dei più devono essere state cattive e devono non aver colto quel suono cavo emesso dalle interiora dei gonfi idoli.
Idoli vecchi e nuovi, idoli boriosi di eternità, sono ancora incredibilmente creduti. Questo scritto – piccolo svago – vuole osare un riavvio del loro crepuscolo, vuole di nuovo colpirli e auscultarli con il martello, vuole questa volta tagliarli ed esporne i visceri con la katana.

Questa la premessa, la dichiarazione di intenti, dell’esercizio di riscrittura dell’opera di Friedrich Nietzsche Il crepuscolo degli idoli. Come si filosofa con il martello. Filosofare con la katana non è il solito saggio, introduzione, guida alla lettura con oggetto il filosofo tedesco, il suo pensiero o una sua specifica opera, ma l’impegno a farne fruttare l’eredità, a rispondere all’appello della sua filosofia, a mettere alla prova i denti del tempo attuale sulla nuova forma data alla forza di un pensiero inattuale per la sua epoca. Questo reboot del testo nietzschiano ricalca la sua struttura, riscrive le sue forme stilistiche e i suoi materiali concettuali, fa convivere la fedeltà all’originale con la messa in moto di un suo riavvio e rilancio. Il pensiero di Nietzsche è una sfida che coinvolge tutto il mondo degli uomini e ogni tempo, sfida degna di essere eternamente accettata, sfida che ha un’azione illimitata in lontananza e che impone anche all’uomo contemporaneo di partecipare alla gara proposta dal filosofo, provando a impugnare un martello o brandire una katana e darsi uno stile che spacca.

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