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sabato 28 febbraio 2015

letture di febbraio

Il più letale cecchino della storia americana, lo sniper Chris Kyle, nella propria autobiografia American Sniper mostra la cifra di un’etica del desiderio, sempre a rischio di scuse per il dovere e di un osceno godimento – visto il divertimento che prova, che gli procura il combattimento, confessa che "magari era solo che stavo cercando una buona scusa per fare a botte", e di certo ne ha avute di opportunità di menar le mani –, di un’etica della responsabilità e della colpa – in occasione dell’uccisione di un compagno: "non m’interessa quello che dicono, io mi sentivo responsabile per quello che era successo" –, di un’etica dell’inadeguatezza – "mi sentivo uno che si arrende, che non aveva fatto abbastanza". Si mostra, insomma, eroe non classico ma moderno, più cattivo dei cattivi (un vero stronzo), riparatore di torti e ingiustizie, vendicatore e punitore (Punisher), pronto all'uso della forza e della violenza.  

Dopo Inseguimento, un altro thriller di ambientazione italiana per Patricia Highsmith, la giallista preferita del filosofo sloveno Slavoj Žižek: Il talento di Mr Ripley. Il protagonista, il talentuoso giovane Tom, è uno psicotico ma non un folle, anzi è razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma proprio per questo, quale prezzo da pagare, è anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale, un cinico al quale ci si affeziona durante la lettura, un uomo alla cui spalla si adatta perfettamente il bracciolo di un divano, meglio di quanto potrebbe mai fare il braccio di una persona, di chiunque.

Continua anche la mia lettura della saga del detective Harry Hole, di Jo Nesbø, che con La stella del diavolo mantiene l'ottimo livello raggiunto con il precedente volume, Nemesi: una serie che col tempo migliora invece che scadere non è cosa dappoco. 

Anche James Patterson entra nella lista dei thriller da leggere in questa mia immersione nel genere iniziata nell'ultimo anno. Lo fa, e piuttosto bene, con il primo volume della saga di Alex Cross, Ricorda Maggie Rose.

Nessun delitto nelle storie raccolte da Gilbert K. Chesterton in Il club dei mestieri stravaganti, ma mistero, suspense, intelligenza e tanta ironia grazie ad agenti immobiliari arborei, attaccabottoni professionisti, fornitori di avventure romanzesche, giudici di tribunali morali volontari e, come protagonista, un anti-sherlockiano indagatore-filosofo, Basil Grant, che reputa i fatti, simili a strani animali remoti, solo in grado di oscurare la verità.

Troppe le aspettative, forse, per un romanzo che Ernest Cline, autore del bellissimo Player One, definiva come l'incontro tra The Avengers e The Walking Dead. Ex - Supereroi vs. Zombie di Peter Clines è comunque una piacevole lettura di genere, e il suo sequel lo leggerò senz'altro a breve.

Ripreso in mano dopo oltre tre anni, il libro 2 della trilogia di Murakami Haruki 1Q84.

E, in vena di trilogie, inizio quella di James Dashner Maze Runner con il primo volume, Il labirinto.

La monografia di Valentino Sergi su Frank Miller. Il Cavaliere Oscuro di Hollywood ripercorre l'intera produzione dell'autore statunitense, dalla decostruzione e ridefinizione dell'eroismo nei comics con le sue rivoluzionarie scritture di Devil e Batman, alla sua rivoluzione anche formale nello storytelling e nella composizione grafica del medium fumetto, dalle sue distopie quasi fantascientifiche e la sua produzione fuori dalle due grandi case editrice del fumetto americano (Marvel e DC), alla sua esperienza con il mondo del cinema. Saggio piuttosto compilativo, poco di analisi, approfondimento, interpretazione.

Il classico L'arte della guerra di Sun Tzu.

venerdì 17 gennaio 2014

la fortezza della solitudine


In ambito di romanzi, di racconti di formazione e di fumetti, Jonathan Lethem ne La fortezza della solitudine (2003) racconta la storia della crescita e dell’amicizia di due ragazzi, Dylan e Mingus, uno bianco e uno nero, negli Stati Uniti tra gli anni Settanta e Novanta, accomunati, tra le altre cose, da una grandissima passione per i fumetti (elemento vero anche per l’autore del libro). Fin dal titolo, emerge chiaramente come uno dei fattori che maggiormente caratterizza l’adolescenza dei protagonisti, soprattutto di Dylan, sia la solitudine: l’auto-esilio nella propria stanza, il «ripiegamento sul segreto potere dei suoi libri e delle sue matite», che fa sì che Dylan «conosceva la Londra di David Copperfield, conosceva persino Narnia meglio di quanto avrebbe mai conosciuto Brooklyn a nord di Flatbush Avenue». Ma ancor più della solitudine, un altro è l’elemento che accomuna tutti i ragazzi, tutti gli adolescenti, ma anche tutti gli adulti incontrati da Dylan nel suo percorso di crescita e formazione: «Non incontrò mai nessuno che non fosse sul punto di trasformarsi in qualcun altro. Era una sua specialità incontrare persone pronte a disfarsi di un’identità o di un travestimento per assumerne un altro».

È il continuo e costante cambiamento, il fattore mutante, il proprio dell’uomo, tanto che non è possibile incontrarne uno che non sia sul punto di trasformarsi, di disfarsi della sua data e passata identità. Questo fattore è più marcato ed evidente, certamente, nell’adolescente, ma mai comunque sopito o superato. Da ragazzo «evolvevi alla luce del sole e segretamente al tempo stesso», continuamente, ma soprattutto d’estate, quando i ragazzi «sono liberi dalla pagina ‘colora-secondo-i-numeri’ dei loro giorni di scuola, dai loro ruoli prestabiliti di carnefici o vittime, pronti per un’estate incontaminata, quel terreno invitante per crogiolarsi nell’autotrasformazione. Chissà come finirà, a che cosa assomiglieranno quando sarà finita? Dylan sa solo che è in preda alla vertigine, sciolto, in volo».

Nel caldo crogiolo estivo, quando è la temperatura esterna stessa ad invitare a fondersi, a disciogliersi, a liquefarsi e ad auto-trasformarsi, l’organismo e l’identità dell’adolescente, più predisposta, cede in preda alla vertigine di possibilità e libertà che la sua esistenza gli presenta e, tra angoscia ed esaltazione, tra paura ed eccitamento, spicca il suo volo di ri-creazione. L’adolescente è innanzitutto un mutante.

«L’adolescenza era innanzitutto un’identità segreta. A tredici anni si cominciava a lasciare tracce, nomi arcani e segni proliferanti, lenzuola che ti ostinavi a volerti lavare da solo. Come una rotella dello Spirograph, la tua traiettoria incerta combinava casini. Aeroman era una via più audace, solo che sembrava restio a uscire dal guscio di felpa». 

A tredici anni l’identità è un segreto, da custodire e da svelare insieme, e in questo incerto tentare, provare, saggiare – folle e incasinato come la traiettoria della rotella di uno spirografo – si produce un proliferare di tracce, segni, resti, residui, fluidi, e si inventano e lasciano nomi. 

«”Non hai ancora un tag, tu? Inventatene uno.”
I fumetti Marvel avevano ragione, il mondo era fatto di nomi segreti, tu dovevi solo scoprire il tuo».


Aeroman, l’uomo volante, è il nome, l’identità segreta, che Dylan, imparando dai fumetti Marvel, inventa per sé e che si cuce addosso. Che letteralmente si cuce, visto che crea questa identità nuova e segreta – che vorrebbe audacemente emergere e differenziarsi dalla massa degli altri adolescenti, ma allo stesso tempo teme ed è restia ad uscire dal protettivo guscio dell’uniformante e anonima felpa – realizzando per sé un costume da supereroe dei fumetti. 

«Dylan, il ragazzino volante. Si sarebbe cucito un costume e sarebbe andato sui tetti, per piombare addosso al crimine. Per quel giorno la cosa doveva essere camuffata: la Scoperta del Volo, proprio sotto il loro naso. Al suo balzo inaugurale, però, lui sentiva già amore e simpatia per tutti mentre nuotava nell’aria, il suo orizzonte riorganizzato».

«Il mantello, ritagliato da un logoro lenzuolo del Dr. Seuss con il leone che lecca un lecca-lecca al limone, era attaccato in due punti del collo della maglietta celeste che formava il corpo del costume. Dylan aveva fatto in modo di collocare il leone, logo adeguatamente enigmatico, quanto più possibile al centro del mantello. Le maniche della maglietta le aveva prolungate con le gambe a strisce sgargianti tagliate da un paio di pantaloni a zampa abbandonati da sua madre, trafugati dalla cima del mucchio sul fondo del suo armadio dove solo Dylan era mai andato a guardare. Pendevano maestose, le mani di Dylan che sbucavano tra le frange di fili come il batacchio di una campana. Era poco pratico, ma quello era solo un prototipo. Un pezzo da esposizione. Il petto della maglietta l’aveva teso su un cartone e decorato con lo Spirograph, le punte arrugginite, le ruote recalcitranti, un lavoro maldestro dagli esiti imperfetti. L’emblema era un cerchio oscillato, la traiettoria sempre più ampia di un atomo tracciata un migliaio di volte nello spazio a formare fasci di energia. Da una qualche distanza, però, sfumava in uno zero un po’ ciccione». 


Un primo tentativo, una prova, un (as)saggio. Un esperimento forse maldestro e dall’esito ancora imperfetto, quasi uno zero, ma simbolico ed emblematico. Un individuo traccia la propria personale, incerta e oscillante traiettoria di crescita nello spazio che lo circonda, come un atomo o un fascio di energia. Cucito il costume, creata la propria nuova, vera, identità, questa va inizialmente camuffata, celata, nascosta proprio sotto il naso degli altri, di chi ci circonda. Ma è pronto il balzo inaugurale di questa nuova creatura: riorganizzato il proprio orizzonte, un nuovo essere è pronto a spiccare il volo. Il tema del cucirsi o comunque prepararsi il proprio costume, soprattutto legato a figure di adolescenti, è piuttosto un luogo comune dei fumetti: giusto due esempi, particolarmente significativi sia in sé sia per le opere da cui sono tratti.
In The Dark Knight Returns (1986) di Frank Miller, la giovanissima Carrie spende due settimane della propria paga per potersi permettere il vestito che le consenta di essere un buon nuovo Robin, che affianchi il Cavaliere Oscuro sulle strade di Gotham City. In una tavola del secondo capitolo del suo graphic novel, Miller ce la mostra mentre lo indossa e lo prova davanti allo specchio prima del suo “balzo inaugurale”, del primo volo di questo piccolo pettirosso. 
In Kick-Ass (2008), Mark Millar sceglie come protagonista un ragazzo a cui non servono traumi personali (l’omicidio dei genitori, come nel caso di Batman), raggi cosmici o anelli di potere per decidere di realizzare e indossare un costume che davanti allo specchio lo faccia sentire «davvero fighissimo» e che gli faccia passare le sere «a pensare a qualche nome figo da supereroe», tanto da sentirsi così bene da non guardare «porno su internet per quasi sette settimane». A muovere David “Dave” Lizewski che, «come la maggior parte della gente» della sua età – né atleta, né nerd, né buffone della sua classe –, esiste e basta, è «una perfetta combinazione di solitudine e disperazione».

sabato 10 agosto 2013

questa è libertà

Nei Discorsi del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau è riscontrabile una formidabile quantità e frequenza di riferimenti al valore e all'esemplarità dell'antica Sparta. L'educazione degli Spartani - che anche secondo Montaigne allevano i fanciulli "come se a questa generosa giovinezza, sdegnosa di ogni altro giogo, si dovessero fornire, invece dei nostri maestri di scienza, solo maestri di valore, prudenza e giustizia" (Saggi) - viene esaltata come la migliore possibile, istituita secondo il principio per cui è preferibile che i ragazzi "imparino quello che debbono fare quando saranno uomini, e non ciò che devono dimenticare" (Discorso sulle scienze e sulle arti). 
La legge della città greca sui figli dei propri cittadini "rende forti e robusti quelli che son bene costituiti, e fa perir tutti gli altri", e se ciò sembra disumano o crudele, ci si può chiedere se sia preferibile quella diversa delle nostre società, "in cui lo Stato, rendendo i figli di peso ai padri, li uccide indistintamente prima della nascita" (Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini).
Sempre in questo secondo Discorso, l'ennesimo riferimento al mito di Sparta introduce questo passo che esalta una selvaggia libertà contro una raffinata e calma civiltà.

"Come un corsiero indomito arruffa il crine, batte la terra col piede e si dibatte impetuosamente al sol avvicinarsi del morso, mentre un cavallo domato soffre paziente lo scudiscio e lo sprone, così l'uomo barbaro non piega la testa al giogo, che l'uomo incivilito porta senza mormorare, e preferisce la più tempestosa libertà a una soggezione tranquilla. Non dunque dall'avvilimento dei popoli asserviti si devon giudicare le disposizioni naturali dell'uomo per o contro la schiavitù, ma dai prodigi che fan tutti i popoli liberi per garantirsi dall'oppressione. Io so che i primi non fanno che vantar di continuo la pace e la quiete di cui godono in catene, e che miserrimam servitutem pacem appellant [chiamano pace una infelicissima schiavitù, Tacito, Historiae]; ma quando veggo gli altri sacrificar piaceri, quiete, ricchezza, potenza e la stessa vita alla conservazione di quel solo bene, così disprezzato da quelli che l'han perduto; quando veggo animali, nati liberi e aborrenti la prigionia, rompersi la testa contro le sbarre della loro prigione; quando veggo moltitudini di selvaggi tutti nudi disprezzar le voluttà europee e sfidar fame, fuoco, ferro e morte, per non conservare che la loro indipendenza, io sento che non spetta agli schiavi di ragionar di libertà".



A illustrare il tutto, tavole tratte dalla graphic novel di Frank Miller 300.

sabato 3 novembre 2012

dell'eroismo e del godimento

Comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale. Insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller. Ecco quelli che sembrano essere i caratteri del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, del vero eroe, tracciati da Simone Regazzoni nel suo ultimo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi.
Contro una pussy generation, una generazione di femminucce e pusillanime, che trova nel politicamente corretto niente altro che l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a «farsi carico dell’etica nella sua dimensione perturbante e conflittuale: la dimensione dell’eroismo», appunto; contro il buonismo morale di quello che può essere chiamato "l'idiota della morale", ligio alla Legge e al dovere, preoccupato di venire sempre e comunque a patti con il mondo e con gli altri, di restare all'interno della moralità di branco, delle buone maniere, regole e norme sociali; contro la risposta reattiva alle trasformazioni in corso oggi – lette come catastrofi e apocalissi –, risposta consistente nell'«intento di ricostruire le fondamenta del mondo perduto: la Morale, il Padre, la Comunità, la Verità, la Realtà – e altre buone cose di pessimo gusto (i grandi ideali moderni) che costituiscono la cifra di un tono vintage adottato recentemente dall’intellighenzia cosiddetta colta incapace di elaborare il lutto per il crollo dell’ancièn regime della modernità» e in grado, invece, di produrre solo un discorso che oscilla tra invettiva moralistica e lamentela senza però mostrarsi all'altezza di rispondere alla complessità della situazione; nel suo saggio sull'etica dell'eroismo, Regazzoni non ha né sensi di colpa né vergogna nello sparare – con una .44 Magnum – contro tutto questo, facendo fuori l'idiota della morale e proponendo, al suo posto, un'etica dell'eroismo e del godimento.
Un'etica eroica è una forma di "morale superiore" che non tenta di addomesticare e asservire la virtù del coraggio  – incarnata dall'eroe – all'idea di bene della comunità, che non accetta le parole del Superman tratteggiato da Frank Miller nel suo Il ritorno del Cavaliere Oscuro, secondo cui «noi che viviamo nel mondo degli uomini dobbiamo considerare il bene comune e venire a patti con lo stato delle cose», perché «è proprio quando si agisce in nome del bene, di un supposto bene universale o dell’altro, quando si vuole realizzare il bene, che il male è pressoché assicurato». Quello su cui riflette Regazzoni è, al contrario, «un eroismo senza una Causa per cui combattere, che non chiede sacrifici per il bene comune, il bene dell’altro, la patria, l’umanità intera». Un eroismo non messo al servizio del legale rappresenta il fondamento di un'etica non essenzialmente e meramente restrittiva, proibitiva, ma di una, invece, che sappia misurarsi con il suo aspetto potente e creativo. Questa creatività dell'atto etico presuppone la capacità dei suoi eroi di fare uso di quelle che in Critica della ragion cinica Peter Sloterdijk definisce come brevi e telegrafiche ricette linguistico-comportamentali grazie a cui si può dire di 'no' al momento giusto e restare liberi e non divenire dei socializzati integrali: ‘embe’?’ e ‘perché no?’(ecco il let's go / why not? del film Mucchio selvaggio) sono due esempi. Questo rifiuto fa sì che l'etica dell'eroismo non abbia in sé nulla di rassicurante o edificante, ma anzi presenti tratti di perturbante e fa sì, quindi, che gli atti di questi eroi possano sembrare ed evocare il male, l'al di là della Legge, la trasgressione, il crimine, mostrandosi, «come minimo, insensibili alla richiesta etica del volto Altro di fronte al quale, all’occasione, sembrano disposti, come Lacan, a mostrare il tirapugni – o il coltello per lo scalpo» come i Bastardi senza gloria del film di Tarantino.
Ma questo rifiuto, questa necessità di essere criminali rivendicata dal Batman di Miller, è anche l'unico fondamento possibile per «ogni atto genuino, ogni atto che non sia solo agitazione, movimento, scarica motrice, ogni atto vero, ogni atto che segna, che conta» (Jacques-Alain Miller, Vita di Lacan), che risulta essere, quindi, trasgressione, infrazione, superamento di un codice, di una legge, di un insieme simbolico. Gli eroi presentati da Regazzoni, quindi, sono l'espressione di «una straordinaria possibilità per l’affermazione di nuove pratiche di libertà e di azione – al di là dei limiti della morale e delle vecchie ideologie moderne di cui oggi si lamenta la scomparsa».
Se a muoverli, però, non è il Bene, la Legge, una Causa, è perché quello che nell'etica dell'eroismo è messo in gioco è solo il proprio singolarissimo godimento. Un'etica dell'eroismo è un'etica del godimento. Esso «non ha nulla a che fare con il nostro piacere, la nostra felicità, il nostro benessere o il nostro personale interesse. Il godimento, nella sua portata etica, è qualcosa come un desiderio fuori-norma, fuori-Legge. Un desiderio assoluto e pericoloso, eccessivo», una Cosa oscura che alimenta l'eroismo. Eroismo che assume, allora, il significato di non cedere sul proprio desiderio assoluto come godimento, di essere se stessi, fedeli a se stessi, o, in termini nietzschiani, di diventare ciò che si è senza cercare alibi. Questi eroi non mettono in atto pratiche di rinuncia e sacrificio, non sono asceti, e cifra di questo eroismo del godimento che si nutre e si alimenta dell'eccesso è il cibo – l'hot dog dell'ispettore Callaghan o il bulimico Po di Kung Fu Panda
Questi eroi sono, però, esclusi dalla comunità, sono singoli, folli:  Batman custodisce in sé una Cosa oscura, una "creatura" che ringhia, si contorce e vuole tornare in libertà, ma per lui non esiste nessuna Causa, «solo la propria singolare, oscura, ossessione. Batman rinasce come il Cavaliere Oscuro proprio perché, a differenza di Superman, è un eroe senza Causa, fedele solo alla sua ossessione, alla sua Cosa oscura. In altri termini: al suo godimento, al di là della Legge». E quando indossa la maschera, egli ci fa vedere, ci rende visibile la Cosa-Altro, oscura, notturna, primordiale, che lo abita e lo assilla e lo decide come eroe. «Batman è il divenire eroe come divenire-pipistrello, divenire extra-umano del soggetto. La Cosa oscura ha una dimensione animale, extra-umana o inumana. Ma ciò significa che l’eroismo del godimento non è propriamente umano, perché spinge il soggetto fuori dall’orizzonte simbolico dell’umanità. Batman, supereroe senza nessun potere particolare, non è semplicemente un uomo travestito da pipistrello; bensì un uomo-pipistrello, un uomo che mette in gioco la Cosa oscura inumana o extra-umana, un uomo che si spinge oltre i limiti dell’umano: un Übermensch, potremmo dire con una famosa formula di Nietzsche che designa precisamente un andare al di là dell’umano. La Cosa oscura non ha nulla di rassicurante: il divenire-pipistrello come divenire-eroe del soggetto è già, anche, un divenire-mostro e criminale».
Anche Dirty Harry e il maniaco omicida, in fondo, si distinguono solo per il distintivo.



 

lunedì 23 aprile 2012

diplomazia postmoderna


Da Holy Terror di Frank Miller.

domenica 1 aprile 2012

il cavaliere oscuro e la filosofia

Il volume Batman and Philosophy è probabilmente uno dei migliori della serie Pop Colture and Philosophy che io abbia letto, sia probabilmente per una mia personalissima predilezione per questa creazione fumettistica, sia però anche per una innegabile affinità tra il Cavaliere Oscuro e le sue storie e alcune tematiche e tonalità emotive tipicamente filosofiche.
Nella prima parte del testo gli autori si interrogano sul quesito se il Cavaliere Oscuro agisca sempre bene. Perché, ad esempio, Batman non uccide il Joker? “Lasci morire tante persone perché non ne uccidi una?”, chiedono Jason Todd e Hush a Batman. L’argomento in favore dell’uccisione del Joker sarebbe tipicamente utilitarista, ma i supereroi in genere non sono utilitaristici. Come si può essere sicuri che ucciderà ancora, e quindi che si stanno salvando delle vite? Sarebbe lecita una sorta di pre-punizione come quella narrata nelle vicende di Rapporto di minoranza da Philip K. Dick. Altre possibili questioni poste sono se sia giusto o meno formare e addestrare un Robin, se l'odio di Batman verso i cattivi possa essere definito virtuoso – egli si preoccupa che possa piacergli troppo, procurargli soddisfazione personale e gioia, anche se al contempo lo porta a sacrificare cose essenziali alla felicità della vita.
Gli interventi della seconda parte sono incentrati sul rapporto tra legge, giustizia e ordine sociale. Nell'arco narrativo di No Man's Land (Terra di nessuno) – che segue Contagio e Cataclisma , in cui la situazione sembra quella dello stato di natura descritto da Hobbes, si mette in luce come il principale nemico di Batman sia il caos, l’anarchia, come egli si presenti quale il difensore dell’ordine sociale. Egli è anche, però, il simbolo della giustizia e dell’ordine al di là dei diritti e della legge, contro il monopolio dello Stato, quale detentore dell'autorità e della legge, dell’uso legittimo della violenza: ne Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller si afferma esplicitamente che “Un uomo è sorto per mostrarci che il potere è, ed è sempre stato, nelle nostre mani. Siamo sotto assedio – Ci sta mostrando che possiamo resistere”.
Nella terza parte del volume si affrontano i temi etici che stanno alla base delle origini del crociato incappucciato. Ad esempio, la promessa che è a fondamento delle origini di Batman, la missione assunta sui cadaveri dei propri genitori, fa sì che il suo desiderio non sia semplice vendetta, che sia meno personale, e lo porta, invece, ad assumere un ruolo analogo a quello svolto dal padre come medico, il tutto per assicurare un’eredità alle vite dei suoi genitori: il Cavaliere Oscuro non prova solo a distruggere le forze malvagie di Gotham, ma anche a costruire qualcosa, e questo scopo costruttivo lo distingue da altri eroi come il Punitore o Rorschach
Nella quarta sezione, invece, la domanda è sull'identità di Batman, interrogandosi ad esempio sulla decisione consapevole da parte di Bruce Wayne di creare l’identità di Batman, nata dall'incontro tra Bruce e il pipistrello e dalla scelta di abbracciarlo, che ricorda un po' la parabola del pastore e del serpente nello Zarathustra di Nietzsche,  oppure chiedendosi se Batman avrebbe potuto essere il Joker.
La quinta parte presenta un tono esistenzialista, affrontando i temi della morte, dell'angoscia e della libertà. Viene analizzato, ad esempio, il senso di colpa per la morte dei genitori provato da Bruce. Sentito come soffocante, esso inizialmente dischiude ad un livello fondamentale dell’esistenza come colpa dell’essere, a un senso di nullità. Questa fragilità ha però il potere di trasformare la vita: la colpa si trasforma da semplice biasimo a comprensione che ognuno è colpevole perché deve prendere una posizione e dare testimonianza su chi è e come vive. Scegliendo di liberare se stesso dalla tipica risposta alla sua personale tragedia, cioè rabbia cieca e vendetta, Bruce interpreta l’evento della morte dei propri genitori come un richiamo a ribellarsi contro una vita di vittimizzazione, commiserazione e cinismo. Così facendo Bruce redime una tragedia senza senso affrontando l’insensatezza della violenza in sé, così la colpa che inizialmente lo aveva condannato diventa un richiamo ad essere se stessi, e così Batman diventa l’autentica coscienza di Bruce, accettando che essere è essere ansiosi su chi si è.
Nella sesta ed ultima parte, infine, il tema è quello dei molti ruoli dell'Uomo Pipistrello. Si affronta il tema della natura dell'amicizia analizzando il rapporto tra il Cavaliere Oscuro e Superman. Superman e Batman sono amici, ma danno all’amicizia l’un per l’altro un diverso significato, poiché il primo ne ha un concetto che sembrerebbe ripreso da Aristotele (amicizia come rapporto tra due eguali, tra due uomini buoni che si amano puramente e semplicemente per quello che sono, per i rispettivi caratteri, spingendosi a migliorarsi  senza false adulazioni: se venisse il momento, Superman sa che Batman sarebbe l’unico ad usare volontariamente l’anello di kryptonite contro di lui, e questo anello è allora una testimonianza di questo aspetto dell’amicizia, che serve a mantenere Superman buono), mentre il secondo una visione più simile a quella nietzschiana fondata sul rispetto dovuto a un rivale, e considerando Superman un suo pari ma in quanto a potenza, ammirando in lui un monumento vivente di ciò che l’uomo potrebbe essere, ma a cui deve insegnare (e la lotta è il terreno migliore) a non credere alla propria invulnerabilità, a non essere arrogante, impartendogli la lezione imparata dall’assassino dei suoi genitori.

lunedì 9 gennaio 2012

#1da woman

Disegnata da Frank Miller ne Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora.

Cantata da Tricky in una canzone in collaborazione con John Frusciante e Flea dei Red Hot Chili Peppers.

So tuck you hair behind you ears,
Your tears and your silly fears
I'll be your teddy bear
you choose the clothes I wear
For you I'll suffer much pain,
sharp glass my brain,
For you I lose, lose my focus
For you I swim, swim in locusts 

mercoledì 19 ottobre 2011

un [cattivo] ragazzo

Bad Boy di Frank Miller è una potente satira politica e un'avventura di fantascienza arricchita dalle bellissime illustrazioni di Simon Bisley. Seguendo il solco già tracciato in lavori come la saga di Martha Washington (Give Me Liberty) racconto iconoclasta che vede gli Stati Uniti dilaniati da manipolazioni genetiche e da un governo militarista e quella della decadente società di Hard Boiled, Bad Boy è una meditazione ironica sulla politica moderna e sul vero significato della libertà. Ed è anche dannatamente divertente da leggere.
(da Marco Ricompensa, Un [cattivo] ragazzo, introduzione a Frank Miller, Simon Bisley, Bad Boy).

Querce Sacre. Un ecosistema in perfetto equilibrio. Prototipo di un nuovo mondo. Un mondo libero. Libero dall'odio. Libero dalla violenza. Libero dalle tossine. Libero dalla droga. Libero dalla carne. Libero dal fumo...
Querce Sacre. Il sogno di un mondo migliore, non contaminato dalle nostre nature spaventose, egoiste e carnivore. Non insudiciato dalla sprezzante volontà umana. Un mondo perfetto, pulito, armonico, libero da pensieri e parole aspre, da hamburger, birra e sigarette... da guerra e crimine e letteratura violenta e opinioni divergenti.
Strano come la parola "libero" significhi sempre qualcosa che non puoi fare.
Mi danno da mangiare una sbobba fatta di riso integrale e brodo, ma io vorrei un hamburger con patatine. Mi portano nella mia stanza. Loro dicono che questa è la mia stanza. Ma non ci sono pistole giocattolo né modellini di carri armati né mostri fighissimi. Tutti i miei giocattoli di Spawn sono spariti.


giovedì 7 aprile 2011

dio, il diavolo e matt murdock

Non ci sono molti riferimenti a Dio nelle principali storie di supereroi. Una delle poche eccezioni a ciò è rappresentata dalla vita e la fede di Matt Murdock, almeno per come è stato rappresentato negli anni in alcune delle più importanti storie di Daredevil. Ci sono abbastanza indizi nella classica storia delle origini di Devil concepita da Frank Miller e negli interessanti sviluppi della sua vita come giustiziere mascherato portati avanti soprattutto da Kevin Smith.
La fede di Devil  sembra riflettere la sensibilità di un uomo cresciuto in una famiglia almeno nominalmente religiosa, se non di fede genuina, piuttosto che manifestare l’articolata e ferma prospettiva di un uomo adulto convertito ad una visione del mondo religiosa. La fede è una parte profonda e spesso inconfessata del suo assetto mentale, che sembra influenzare le sue credenze, i suoi atteggiamenti e le sue azioni in modo sottile, piuttosto che costituire una parte del suo pensiero cosciente e lucido. Qual è la relazione tra una vita di fede religiosa e il senso della missione di un giustiziere mascherato? È il cattolicesimo di Devil una fonte di forza interiore e una guida, o è piuttosto una causa di debolezza e confusione? La fede religiosa acceca Devil sugli aspetti più duri del mondo, o può essere come un radar che gli consenta di distinguere realtà che altrimenti gli sfuggirebbero? Bisogna distinguere attentamente tra la religiosità come forma esteriore di comportamento e schema di pensiero basati su nient’altro che abitudini e superstizioni, e un’autentica fede come profondo impegno e disposizione dello spirito.
La fede non è solo l’inginocchiarsi di persone timorose, una gruccia e difesa contro un mondo terrificante. Alcuni dei più grandi ed estremi esempi di impavido eroismo riguardano persone con una forte fede religiosa. Un uomo senza paura – come è per definizione Devil – è, forse, un uomo dalla forte fede. Bisogna fare un’importante distinzione: Devil sembra non avere “paura di” – quel senso di terrore che comprende il pensiero di venir danneggiato, quella potente emozione che può spengere il pensiero e bloccare l’azione, paralizzare –, ma sperimentare solo la “paura che”, possibile movente di azioni coraggiose e decisive.
Aristotele credeva che ogni virtù fosse un giusto mezzo tra due vizi, così che il vero coraggio starebbe tra la codardia e la spericolatezza, la precipitazione, non sarebbe l’assenza di paura ma l’abilità di agire a sostegno di grandi valori a dispetto di ogni paura che si può provare. Un uomo senza paura non è semplicemente un uomo cieco ai rischi e quindi incline ad azzardi autodistruttivi. C’è una scena interessante nella graphic novel di Frank Miller Daredevil: The Man without Fear che pone proprio questa questione. Dopo una folle corsa in macchina in cui la giovane e selvaggia Elektra coinvolge Matt, i due stanno sul bordo di una scogliera ed Elektra dice: «Qui è dove apparteniamo. Sempre sul bordo. Gli altri conducono vite sicure e intorpidite. Ma tu – quando ti ho visto sul tetto, l’ho capito – sei come me. teso fino al limite – e oltre». Ha ragione Elektra? Devil è proprio come lei? È il suo essere senza paura necessariamente la fonte di azioni irrazionali, irresponsabili e autodistruttive, oltre il limite? Sembra piuttosto che la prudenza, la razionalità pratica, gli permettano sempre perfettamente di sapere dove tracciare una linea di confine. La fede religiosa garantisce a Devil una buona guida nell’ambito dei valori, una buona visione nel mondo dei fatti, e una fonte sia di incoraggiamento sia di limitazione nel tentativo di sostenere la giustizia: è, dunque, una forma di forza spirituale.
Questa fede, che fa a Devil da rete di sicurezza, proviene dalla madre, come mostra la sua preghiera nella storia di Miller Born Again: «La febbre cresce in lui. Nessuna forza terrena può fermarla. Ha perso troppo sangue. Il suo corpo non può combattere. Morirà. Ma ha così tanto da fare, mio Signore. La sua anima è tormentata. Ma è l’anima di un uomo buono, mio Signore. Ha solo bisogna che gli venga mostrata la Tua via. Dopo si ergerà tuo e porterà luce a questa città avvelenata. Sarà una lancia di luce nelle tue mani, mio Signore». La fede spirituale di Maggie è la forza dietro ciò che nella storia è considerata la rinascita fisica di Matt. Ed è essenzialmente anche dietro il suo impulso spirituale. In The Devil’s Distaff di Kevin Smith, la madre racconta a Matt una storia simile alla scommessa di Pascal sull’esistenza di Dio, suggerendo che, in base a ciò che guadagneremmo e perderemmo credendo o meno, sarebbe molto peggio vivere come se Dio non esistesse per poi scoprire di essersi sbagliati. Quando Matt comprende il ragionamento filosofico contenuto in questa semplice favola della madre, è commosso e in qualche modo placato nel suo spirito precedentemente tormentato e dubbioso. Matt sembra riconoscere la grandezza e la miseria dell’uomo di cui scriveva Pascal, il suo essere grande come Dio e insieme incredibilmente piccolo e deludente. Gli estremi di bene e male che sono avviluppati nel comportamento umano sono incredibili. Matt sembra sentire che l’uomo è creato per essere qualcosa di più che una vittima o un carnefice in Hell’s Kitchen. Facendo eco alle meditazioni di Pascal nella storia Guardian Devil, Matt parla nel suo cuore con Dio dicendo: «Ogni notte, metti su uno spettacolo immortale per me… mi mostri la disparità tra la magnificenza dell’uomo e le sue azioni, eoni di evoluzione, e noi ancora ricerchiamo gli angoli più bui per i nostri impulsi più bassi. Quanto deve essere deludente per Te vederci al nostro peggio… se anche esisti».
Nel numero #169 di Daredevil (Devils, scritto da Miller), un detective arriva a suggerire a Devil che avrebbe dovuto uccidere o lasciar morire il suo arcinemico Bullseye. Devil replica: «Uomini come Bullseye governerebbero il mondo se non fosse per una struttura di leggi create dalla società per tenerli sotto controllo. Nel momento in cui un uomo prende la vita di un altro nelle proprie mani, questi sta rifiutando la legge e lavorando per distruggere questa struttura. Se Bullseye è una minaccia per la società, è la società che deve fargliene pagare il prezzo, non tu. E non io. Io lo voglio morto. Detesto ciò che fa, ciò che è. Ma non sono Dio, non sono la legge, e non sono un assassino». Devil dimostra una vera fede spirituale e abbastanza onestà da ammettere i propri dubbi, ma anche abbastanza perseveranza da non permettere a questi dubbi di avere il sopravvento nella sua vita.

(da Tom Morris, God, the Devil, and Matt Murdock, in Superheroes and philosophy)

sabato 2 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (2di2)

La narrazione di Watchmen (1986-87) di Alan Moore analizza le ramificazioni psicologiche, etiche e politiche del vigilantismo. Una delle maniere in cui Watchmen ci obbliga a ripensare i supereroi è ritraendone diversi come psicologicamente problematici. Rorschach, per esempio, è rimasto traumatizzato da un’infanzia abusata. Egli è assolutamente crudele nella sua volontà di usare la violenza per combattere il crimine, eppure il suo impegno per la giustizia sembra reale e senza compromessi. È stato l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto sotto gli occhi di trentotto testimoni che sono rimasti a guardare senza fare nulla mentre veniva pugnalata a morte in un luogo pubblico, a stimolare Rorschach all’azione, farlo vergognare dell’umanità e ispirarlo a indossare una grottesca maschera con macchie d’inchiostro, «una faccia che potesse sopportare di guardare allo specchio». Diversamente da Superman e Spider-Man, né Rorschach né Batman possiedono superpoteri. Eppure scelgono di votare le proprie vite a combattere il crimine. Sono psicopatici guidati dalla vendetta, oppure ognuno di noi che prende le distanze da loro dovrebbe essere considerato come quegli ordinari mostri che sono stati i vicini di Kitty Genovese, la cui complicità nell’orrore consiste in un’assoluta inazione? O potrebbero entrambe queste ipotesi essere vere? L’epigrafe al capitolo VI di Watchmen è un aforisma di Friedrich Nietzsche: «Chiunque combatta i mostri deve stare attento che nel farlo non diventi egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te» (Al di là del bene e del male). Hanno Rorschach o Batman fallito nel seguire questo avviso? O è il resto di noi ad essere troppo conservatore, troppo spaventato, o troppo debole per prendere il nobile rischio di affrontare i mostri? L’atteggiamento fondamentale dei supereroi sembra essere che, al contrario di quanto sostenuto da Locke, è diritto di tutti, se non dovere, combattere il crimine, e fare tutto il possibile per ricercare la giustizia per noi stessi e la nostra comunità. Spider-Man notoriamente riconosce che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», ma Rorschach ci mostra che il “potere” di combattere il crimine è più che altro una questione di volontà, di scelta, che sembra comportare una grande responsabilità per noi tutti.
Un altro personaggio di Moore è Ozymandias, un individuo chiaramente megalomane che prende niente meno che Alessandro Magno come modello personale. Egli organizza una finta intrusione aliena a New York comprendente un’esplosione che sa ucciderà milioni di persone. La sua spiegazione è che l’improvvisa apparizione di una minaccia aliena che mette a rischio la vita umana spingerà tutte le altrimenti bellicose nazioni verso una pacifica collaborazione contro il nuovo nemico comune. Il piano ordito da Ozymandias ha successo. La questione che viene posta non è semplicemente se Ozymandias sia impazzito o divenuto malvagio, o entrambe le cose. Bisogna chiedersi se qualcuno nella sua posizione potrebbe mai aver diritto a fare qualcosa di analogo. Bisogna inoltre confrontarsi con la questione se chi si dissocia da una tale azione potrebbe a sua volta essere in qualche modo biasimato per essere troppo debole da fare ciò che sarebbe necessario per salvare il pianeta. Questo uomo, questo supereroe intelligente e popolare, è diventato un mostro, o è solo un saggio incompreso? È lo sconnesso e trasandato Rorschach – che a questo piano ha tentato di opporsi – un testardo, a causa della sua ossessiva fissazione su ciò che considera essere giusto, o ha ragione nel rifiutare l’etica utilitaristica usata per razionalizzare l’omicidio di milioni di persone? Moore e Miller ci obbligano a rivedere il nostro sguardo sui supereroi, e in ultima analisi anche quello su noi stessi e il nostro ruolo nel mondo.
È la prospettiva olimpica, con cui una persona si posiziona sopra gli altri come giudice di come e se dovrebbero vivere, buona e ragionevole per progettare un’azione nel mondo? Un uomo, che potrebbe essere dai suoi poteri, intelligenza e posizione, inclinarlo ad essere grandiosamente interessato al “mondo”, potrebbe essere ritenuto affidabile nel fare la cosa giusta per gli individui nel mondo? Uno dei principali pericoli affrontati da ogni supereroe consiste proprio in questo: la limitazione di ogni prospettiva in un mondo immensamente complesso, la potenziale inesattezza di ogni credenza anche attentamente formata, e la legge delle conseguenze involontarie, potrebbero facilmente destinare i tentativi di un vigilante alla perpetrazione di tremendi disastri piuttosto che all’ottenimento di una giustizia cosmica, e questo mina l’intero concetto di supereroe. Siamo preparati a fare tutto il possibile, in modo ordinario, per rendere il mondo tale da non aver bisogno della salvezza straordinaria di un qualche supereroe che agisca al di là dei limiti di ciò che riteniamo essere moralmente accettabile? Alan Moore lancia la responsabilità del senso e della giustizia su di noi, mostrandoci cosa potrebbe succedere se abdicassimo questa responsabilità, lasciandola a pochi, o a chiunque volesse usurpare a tutti gli altri il diritto di decidere come essere protetti e tenuti in salvo.
La revisione dei supereroi nelle opere di Moore e Miller ci obbliga a ripensare la nostra etica, il nostro ruolo nel mondo, la nostra visione della legge e dell’ordine sociale. Moore e Miller ci chiedono di guardare nell’abisso e usarlo come specchio per guardare dentro di noi più chiaramente.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


venerdì 1 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (1di2)

Le due graphic novel Il Ritorno del Cavaliere Oscuro e Watchmen invitano a ripensare la concezione del supereroe: la questione della giustizia e della vendetta, l’esplorazione dell’etica del vigilantismo, l’ambivalente o persino ostile reazione verso i supereroi da parte della gente e dei governi.
Indipendenti combattenti-del-crimine in costume sono, per definizione, dei vigilantes – prendono la legge nelle proprie mani. Il filosofo inglese John Locke, nel suo Secondo trattato sul governo, sostiene che un importante elemento che definisce la condizione della società civile sia che ognuno rinunci al suo diritto di vendetta privata, delegandolo a un governo legittimamente formato allo scopo di un giudizio e di una sentenza obbiettivi. La storia di Frank Miller su Batman, Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (1986), esamina esplicitamente la questione morale relativa al vigilantismo supereroi stico, re-immaginando la mente di Batman molto più profondamente traumatizzata dall’omicidio dei genitori. Batman riconosce la natura da vigilantes dei combattenti-del-crimine mascherati: «Certo che siamo criminali, siamo sempre stati criminali. Dobbiamo essere criminali». Batman infrange la legge: qualcuno lo vede come un reazionario pericoloso e potenzialmente fascista, qualcuno come il vero campione della giustizia.
Il Superman di Miller, invece, diventa un agente governativo che comprende il risentimento che almeno parzialmente alimenta il movimento contro i supereroi: «Il resto di noi ha riconosciuto il pericolo dell’infinita invidia di quelli non benedetti… Non dobbiamo ricordare loro che i giganti camminano sulla Terra». L’interpretazione di Batman suona così: «Tu hai sempre detto di sì a chiunque con un distintivo o una bandiera… Tu ci hai svenduti, Clark. Tu hai dato loro il potere che avrebbe dovuto essere nostro. Proprio come i tuoi genitori ti avevano insegnato. I miei genitori mi hanno insegnato una lezione differente. Giacendo su quella strada, morendo senza una ragione, mi hanno mostrato che il mondo ha un senso solo quando lo forzi». Per Batman, la presenza di un distintivo o di una bandiera non è né necessaria né sufficiente per la giustizia.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


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