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venerdì 27 dicembre 2013

letture di dicembre (I)

Il romanzo di A.S. Byatt Ragnarök, prendendo le mosse dalla lettura da parte di una bambina magra dei miti nordici durante la sua forzosa ma relativamente sicura vita in campagna, mentre Londra e il resto del mondo affrontano la seconda guerra mondiale - pretesto in realtà piuttosto labile, visto che questa vicenda si limita a fare da inconsistente cornice che non riesce a interagire con il vero nucleo della narrazione -, ci riracconta le leggende di Asgard, del suo mondo che è "un cadavere in boccio" e del suo cielo che è "la scodella di un teschio", tra descrizioni che hanno il fascino della vertiginosa lista infinita e dell'elenco classificatorio di manuali di biologia e narrazioni di gesta eroiche, ma di un eroismo già in piena decostruzione visto che gli dèi nordici sono piuttosto umani,  "umani in quanto limitati e stupidi", avidi e crudeli, impegnati "a combattere e giocare, a cacciare e fare scherzi". Quelli narrati dalla Byatt sono dèi che "sanno che verrà il Ragnarök, ma sono incapaci di immaginare un modo di evitarlo, o di cambiare la storia. Sanno morire valorosamente ma non sono capaci di creare un mondo migliore. Di fatto, il mondo finisce perché né gli dèi troppo umani, con i loro eserciti e i loro dissidi, né il focoso pensatore [Loki - la distaccata intelligenza scientifica capace di salvare la terra o di accelerarne la distruzione -], sanno come salvarlo". Questi dèi dovrebbero essere i ceppi e le catene "che tengono insieme il mondo, entro limiti dati, impedendo il dilagare di caos e disordine", ma tutto l'ordine che riescono a imporre ("il movimento di luce e buio, il succedersi del giorno e della notte e delle stagioni") non è, in realtà, che  il "prodotto della paura, dei lupi mentali":  "L'ordine veniva dai vincoli e da zanne e artigli minacciosi". Un ordine altamente instabile, dunque, e la fine degli dèi non ne è che l'inevitabile esito.

Assolutamente deludente il contributo popfilosofico di Francesca Rigotti sulla filosofia di una soap opera come Un posto al sole. L'analisi proposta non è per nulla seria ma neanche divulgativa o di puro intrattenimento. Illustrati i motivi idiosincratici che hanno portato la filosofa ad essere una affezionata spettatrice della saga nazional-popolare italiana, affrontato il breve excursus sul titolo - a ritroso dallo spirito imperial-colonialista tedesco primo e fascista poi, ai pensieri di Pascal (ripresi da Rousseau) sull'origine della proprietà dalla dichiarazione "questo è il mio posto al sole", alla richiesta di Diogene il cinico ad Alessandro Magno di spostarsi perché "gli toglieva il sole" -, non rimane che una serie di chiacchiere da bar indegne di un festival della filosofia. La popsophia è altro.
Decisamente migliore, più appagante e interessante, l'esperienza di lettura del saggio di Andrea Tagliapietra Non ci resta che ridere, di cui ho già scritto.

sabato 3 dicembre 2011

metafisica dylaniata

La metafisica elaborata all'interno degli albi di Dylan Dog è caratterizzata – secondo l'analisi portata avanti da Roberto Manzoccoda una visione della realtà che mescola elementi che vanno «dalla teoria degli universi paralleli ad un'estetica di gusto surrealista, da una concezione onirica del mondo ad una fiabesca», facendo riferimento e fondendo filosofia, scienza, teologia. Anche, l'elemento metafinzionale della serie, uno dei suoi principali ingredienti secondo l'analisi dell'autore, serve a «promuovere la visione della realtà implicita in Dylan Dog, ossia l'idea che tra la veglia e il sogno non ci sia poi una gran differenza».
Nel secondo Speciale, Gli Orrori di Altroquando, compare la figura di un Dio mostruoso e non indistruttibile, creatore del Cielo eccetera. Nel numero 39 della serie, Il Signore del Silenzio, la vita è definita come «il sogno di un Dio crudele». In generale la visione teologica del fumetto sembra essere prossima a quella della gnosi, per cui «il divino è assolutamente trascendente e al di là del pensiero umano» e «la realtà materiale è il prodotto di divinità inferiori, creature potentissime ma imperfette». Una di queste ultime sembrerebbe essere il gatto di strega Cagliostro, definito nell'albo numero 18 della serie come capace, se volesse, di «far sparire il mondo intero! È come un bambino che sogna, ma i suoi incubi possono diventare realtà!». 
Questa idea del mondo come prodotto di un'entità infantile che lo crea solo per divertimento – ci ricorda l'autore – è l'oggetto di riflessione di Eugen Fink, che ne Il gioco come simbolo del mondo, partendo dai frammenti di Eraclito in cui è espressa l'idea della realtà come fuoco che eternamente muta e diviene e del corso del mondo come continua lotta degli opposti, sostiene: «Eraclito dice nel frammento 52 "il corso del mondo è un bambino che gioca a dadi, è il regno di un bambino". La creazione più originale ha il carattere del gioco».
Ma se, in Dylan Dog, Dio è dunque assente o irrilevante, allora – deduce l'autore – l'uomo è insignificante rispetto all'immensità dell'universo. Nel secondo racconto del Super Book numero 3La cosa – protagonista è il pianeta Terra che si interroga sul senso della sua esistenza e del suo viaggio cosmico in maniera affatto dissimile rispetto all'atmosfera dell'incipit del saggio di Nietzsche Su verità e menzogna in senso extramorale: «In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. – Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell'intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso non esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole. Per quell'intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto pateticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui. Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che anch'essa nuota attraverso l'aria con questo pathos e si sente il centro che vola di questo mondo. Non vi è nulla di abbastanza spregevole e scadente nella natura, che con un piccolo e leggero alito di quella forza del conoscere non si gonfi senz'altro come un otre. E come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare».
Anche Svevo scrive analoghe riflessioni sulla natura parassitaria degli esseri umani: «Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quasi innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di malattie» (La coscienza di Zeno). E pensieri analoghi aveva già espresso anche Pascal: «Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita nell'eternità che precede e che segue il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e che m'ignorano, mi spavento, e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c'è ragione che sia qui piuttosto che là, adesso piuttosto che allora» (Pensieri).

martedì 19 luglio 2011

piccola conferenza su dio

More about In cielo e sulla terraDio indica la possibilità che ci sia, per noi, sia collettivamente sia singolarmente, individualmente, un rapporto con questo dappertutto e da nessuna parte. Dio, il divino, il celeste indicherebbero, quindi, il fatto che io sono in rapporto, non con qualcosa, ma con il fatto che non mi bastano i rapporti che intrattengo con tutte le cose nel mondo o con tutti gli esseri nel mondo. E che, quindi, c'è qualcos'altro, qualcosa che chiamerei qui "apertura" e che fa in modo che io sia, che noi siamo, in quanto uomini, aperti a più che a essere nel mondo, a più che a prendere cose, maneggiare cose, mangiare cose, spostarci nel mondo, inviare sonde su Marte, guardare le galassie al telescopio e così via.
Importa capire l'impossibilità di richiudere questa apertura, l'impossibilità di essere un uomo così come si è una pietra, un albero, forse anche un animale. Pascal dice: «L'uomo passa infinitamente l'uomo». Perché non è sufficiente chiamare questa dimensione di apertura e di oltrepassamento con nomi astratti? Perché dobbiamo poterci rivolgere, riferire a questa dimensione, per esserle fedeli. Niente a che vedere con ciò che si chiama il credere. Essere fedeli a ciò che qui ho chiamato l'apertura, senza la quale noi non saremmo forse nemmeno uomini, ma solo cose fra le cose, all'interno di un mondo chiuso.

Dove comincia il cielo? Questa domanda potrebbe portarci altrove, alla pittura, ai cieli della pittura. Provate a guardare alcuni paesaggi dipinti da grandi pittori, come il fiammingo Ruysdael o l'inglese Constable. A che scopo? Proprio per mostrare il rapporto fra un gran cielo, spesso, pieno di nubi, e la terra. È come se tutto il quadro fosse fatto solo per mostrare questa apertura dei due, e quindi la linea che li divide.
 



giovedì 7 aprile 2011

dio, il diavolo e matt murdock

Non ci sono molti riferimenti a Dio nelle principali storie di supereroi. Una delle poche eccezioni a ciò è rappresentata dalla vita e la fede di Matt Murdock, almeno per come è stato rappresentato negli anni in alcune delle più importanti storie di Daredevil. Ci sono abbastanza indizi nella classica storia delle origini di Devil concepita da Frank Miller e negli interessanti sviluppi della sua vita come giustiziere mascherato portati avanti soprattutto da Kevin Smith.
La fede di Devil  sembra riflettere la sensibilità di un uomo cresciuto in una famiglia almeno nominalmente religiosa, se non di fede genuina, piuttosto che manifestare l’articolata e ferma prospettiva di un uomo adulto convertito ad una visione del mondo religiosa. La fede è una parte profonda e spesso inconfessata del suo assetto mentale, che sembra influenzare le sue credenze, i suoi atteggiamenti e le sue azioni in modo sottile, piuttosto che costituire una parte del suo pensiero cosciente e lucido. Qual è la relazione tra una vita di fede religiosa e il senso della missione di un giustiziere mascherato? È il cattolicesimo di Devil una fonte di forza interiore e una guida, o è piuttosto una causa di debolezza e confusione? La fede religiosa acceca Devil sugli aspetti più duri del mondo, o può essere come un radar che gli consenta di distinguere realtà che altrimenti gli sfuggirebbero? Bisogna distinguere attentamente tra la religiosità come forma esteriore di comportamento e schema di pensiero basati su nient’altro che abitudini e superstizioni, e un’autentica fede come profondo impegno e disposizione dello spirito.
La fede non è solo l’inginocchiarsi di persone timorose, una gruccia e difesa contro un mondo terrificante. Alcuni dei più grandi ed estremi esempi di impavido eroismo riguardano persone con una forte fede religiosa. Un uomo senza paura – come è per definizione Devil – è, forse, un uomo dalla forte fede. Bisogna fare un’importante distinzione: Devil sembra non avere “paura di” – quel senso di terrore che comprende il pensiero di venir danneggiato, quella potente emozione che può spengere il pensiero e bloccare l’azione, paralizzare –, ma sperimentare solo la “paura che”, possibile movente di azioni coraggiose e decisive.
Aristotele credeva che ogni virtù fosse un giusto mezzo tra due vizi, così che il vero coraggio starebbe tra la codardia e la spericolatezza, la precipitazione, non sarebbe l’assenza di paura ma l’abilità di agire a sostegno di grandi valori a dispetto di ogni paura che si può provare. Un uomo senza paura non è semplicemente un uomo cieco ai rischi e quindi incline ad azzardi autodistruttivi. C’è una scena interessante nella graphic novel di Frank Miller Daredevil: The Man without Fear che pone proprio questa questione. Dopo una folle corsa in macchina in cui la giovane e selvaggia Elektra coinvolge Matt, i due stanno sul bordo di una scogliera ed Elektra dice: «Qui è dove apparteniamo. Sempre sul bordo. Gli altri conducono vite sicure e intorpidite. Ma tu – quando ti ho visto sul tetto, l’ho capito – sei come me. teso fino al limite – e oltre». Ha ragione Elektra? Devil è proprio come lei? È il suo essere senza paura necessariamente la fonte di azioni irrazionali, irresponsabili e autodistruttive, oltre il limite? Sembra piuttosto che la prudenza, la razionalità pratica, gli permettano sempre perfettamente di sapere dove tracciare una linea di confine. La fede religiosa garantisce a Devil una buona guida nell’ambito dei valori, una buona visione nel mondo dei fatti, e una fonte sia di incoraggiamento sia di limitazione nel tentativo di sostenere la giustizia: è, dunque, una forma di forza spirituale.
Questa fede, che fa a Devil da rete di sicurezza, proviene dalla madre, come mostra la sua preghiera nella storia di Miller Born Again: «La febbre cresce in lui. Nessuna forza terrena può fermarla. Ha perso troppo sangue. Il suo corpo non può combattere. Morirà. Ma ha così tanto da fare, mio Signore. La sua anima è tormentata. Ma è l’anima di un uomo buono, mio Signore. Ha solo bisogna che gli venga mostrata la Tua via. Dopo si ergerà tuo e porterà luce a questa città avvelenata. Sarà una lancia di luce nelle tue mani, mio Signore». La fede spirituale di Maggie è la forza dietro ciò che nella storia è considerata la rinascita fisica di Matt. Ed è essenzialmente anche dietro il suo impulso spirituale. In The Devil’s Distaff di Kevin Smith, la madre racconta a Matt una storia simile alla scommessa di Pascal sull’esistenza di Dio, suggerendo che, in base a ciò che guadagneremmo e perderemmo credendo o meno, sarebbe molto peggio vivere come se Dio non esistesse per poi scoprire di essersi sbagliati. Quando Matt comprende il ragionamento filosofico contenuto in questa semplice favola della madre, è commosso e in qualche modo placato nel suo spirito precedentemente tormentato e dubbioso. Matt sembra riconoscere la grandezza e la miseria dell’uomo di cui scriveva Pascal, il suo essere grande come Dio e insieme incredibilmente piccolo e deludente. Gli estremi di bene e male che sono avviluppati nel comportamento umano sono incredibili. Matt sembra sentire che l’uomo è creato per essere qualcosa di più che una vittima o un carnefice in Hell’s Kitchen. Facendo eco alle meditazioni di Pascal nella storia Guardian Devil, Matt parla nel suo cuore con Dio dicendo: «Ogni notte, metti su uno spettacolo immortale per me… mi mostri la disparità tra la magnificenza dell’uomo e le sue azioni, eoni di evoluzione, e noi ancora ricerchiamo gli angoli più bui per i nostri impulsi più bassi. Quanto deve essere deludente per Te vederci al nostro peggio… se anche esisti».
Nel numero #169 di Daredevil (Devils, scritto da Miller), un detective arriva a suggerire a Devil che avrebbe dovuto uccidere o lasciar morire il suo arcinemico Bullseye. Devil replica: «Uomini come Bullseye governerebbero il mondo se non fosse per una struttura di leggi create dalla società per tenerli sotto controllo. Nel momento in cui un uomo prende la vita di un altro nelle proprie mani, questi sta rifiutando la legge e lavorando per distruggere questa struttura. Se Bullseye è una minaccia per la società, è la società che deve fargliene pagare il prezzo, non tu. E non io. Io lo voglio morto. Detesto ciò che fa, ciò che è. Ma non sono Dio, non sono la legge, e non sono un assassino». Devil dimostra una vera fede spirituale e abbastanza onestà da ammettere i propri dubbi, ma anche abbastanza perseveranza da non permettere a questi dubbi di avere il sopravvento nella sua vita.

(da Tom Morris, God, the Devil, and Matt Murdock, in Superheroes and philosophy)

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