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mercoledì 6 agosto 2014

crisi d'identità

Su segnalazione e suggerimento di Marco, lettore di questo blog, ho provveduto a recuperare - rintracciare e colmare una lacuna - Crisi d'identità, miniserie in sette albi della DC - i cui fumetti, lo so, frequento troppo poco - scritta da Brad Meltzer e disegnata da Rags Morales nel 2004. Devo quindi un grazie a Marco per questo, perché mi ha regalato una splendida esperienza di lettura - essendo la trama della storia a fumetti estremamente complessa ma ben intrecciata, ricca di suspense, climax, colpi di scena, svolte e risoluzioni brillanti -, una riconferma del processo di decostruzione dell'eroe classico in corso da decenni nei fumetti (e non solo) - questi "buoni" hanno diversi lati oscuri, segreti inconfessabili, sono mossi da pulsioni ed etiche quantomeno ambigue -, la possibilità di veder brillare personaggi forse un po' minori dell'universo fumettistico - insomma, non i soliti Batman e Superman ma, ad esempio, un ottimo Freccia Verde -, l'occasione di riflettere sull'incredibile filosofia dei fumetti - un tema su tutti, quello del rapporto padre/figlio o maestro/allievo, con un Freccia Verde orgoglioso del figlio che in allenamento gli ha appena fatto un occhio pesto, o un Jack Drake che ricorda al proprio figlio Tim di come essere Robin sia qualcosa di degno, per cui vale la pena soffrire (far soffrire?), nonostante tutto il dolore.
Quindi, ancora un grazie a Marco senza cui non ci sarebbe questo post, e io mi sarei perso un gran bel fumetto.


domenica 11 maggio 2014

il superuomo di massa (1di4)

Questo libro raccoglie una serie di studi scritti in diverse occasioni ed è dominato da una sola idea fissa. Inoltre questa idea non è la mia, ma di Gramsci. L’idea fissa, che giustifica anche il titolo, è la seguente: “mi pare che si possa affermare che molta sedicente ‘superumanità’ nicciana ha solo come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di A. Dumas” (A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, III, “Letteratura popolare”). Gramsci sta parlando del niccianesimo degli stenterelli imperante ai suoi tempi e dice chiaramente e polemicamente: il vostro superuomo non viene da Zarathustra bensì da Edmond Dantès. Se si pensa a Mussolini, che divulgatore del superomismo nicciano era al tempo stesso autore di narrativa d’appendice, si vede che l’ipotesi gramsciana colpiva nel segno. Sviluppare l’ipotesi gramsciana significava andare alla ricerca degli avatars del superuomo di massa, e così fanno questi saggi, da Sue sino a Salgari o a Natoli, per finire ai tempi nostri con un superuomo raccontato in termini di spy thriller – ed è James Bond. Non per questo la storia del superuomo di massa è da ritenersi conclusa. Rimangono innumerevoli casi in cui esso riappare. Si veda per esempio sul mio Apocalittici e integrati lo studio sul Superman dei fumetti. E poi sarebbe interessante vedere i nuovi superuomini cinematografici e televisivi, ispettori con le Magnum. E l’apparizione della Überfrau, dalla Wonder Woman dei fumetti già anteguerra alla recentissima Bionic Woman. Eccetera eccetera eccetera, benemerita schiera di cui già aveva detto una volta per tutte Gramsci: “il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce al tempo stesso) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare a occhi aperti… lunghe fantasticherie sull'idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati…”
(Umberto Eco, Il superuomo di massa)

sabato 3 novembre 2012

dell'eroismo e del godimento

Comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale. Insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller. Ecco quelli che sembrano essere i caratteri del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, del vero eroe, tracciati da Simone Regazzoni nel suo ultimo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi.
Contro una pussy generation, una generazione di femminucce e pusillanime, che trova nel politicamente corretto niente altro che l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a «farsi carico dell’etica nella sua dimensione perturbante e conflittuale: la dimensione dell’eroismo», appunto; contro il buonismo morale di quello che può essere chiamato "l'idiota della morale", ligio alla Legge e al dovere, preoccupato di venire sempre e comunque a patti con il mondo e con gli altri, di restare all'interno della moralità di branco, delle buone maniere, regole e norme sociali; contro la risposta reattiva alle trasformazioni in corso oggi – lette come catastrofi e apocalissi –, risposta consistente nell'«intento di ricostruire le fondamenta del mondo perduto: la Morale, il Padre, la Comunità, la Verità, la Realtà – e altre buone cose di pessimo gusto (i grandi ideali moderni) che costituiscono la cifra di un tono vintage adottato recentemente dall’intellighenzia cosiddetta colta incapace di elaborare il lutto per il crollo dell’ancièn regime della modernità» e in grado, invece, di produrre solo un discorso che oscilla tra invettiva moralistica e lamentela senza però mostrarsi all'altezza di rispondere alla complessità della situazione; nel suo saggio sull'etica dell'eroismo, Regazzoni non ha né sensi di colpa né vergogna nello sparare – con una .44 Magnum – contro tutto questo, facendo fuori l'idiota della morale e proponendo, al suo posto, un'etica dell'eroismo e del godimento.
Un'etica eroica è una forma di "morale superiore" che non tenta di addomesticare e asservire la virtù del coraggio  – incarnata dall'eroe – all'idea di bene della comunità, che non accetta le parole del Superman tratteggiato da Frank Miller nel suo Il ritorno del Cavaliere Oscuro, secondo cui «noi che viviamo nel mondo degli uomini dobbiamo considerare il bene comune e venire a patti con lo stato delle cose», perché «è proprio quando si agisce in nome del bene, di un supposto bene universale o dell’altro, quando si vuole realizzare il bene, che il male è pressoché assicurato». Quello su cui riflette Regazzoni è, al contrario, «un eroismo senza una Causa per cui combattere, che non chiede sacrifici per il bene comune, il bene dell’altro, la patria, l’umanità intera». Un eroismo non messo al servizio del legale rappresenta il fondamento di un'etica non essenzialmente e meramente restrittiva, proibitiva, ma di una, invece, che sappia misurarsi con il suo aspetto potente e creativo. Questa creatività dell'atto etico presuppone la capacità dei suoi eroi di fare uso di quelle che in Critica della ragion cinica Peter Sloterdijk definisce come brevi e telegrafiche ricette linguistico-comportamentali grazie a cui si può dire di 'no' al momento giusto e restare liberi e non divenire dei socializzati integrali: ‘embe’?’ e ‘perché no?’(ecco il let's go / why not? del film Mucchio selvaggio) sono due esempi. Questo rifiuto fa sì che l'etica dell'eroismo non abbia in sé nulla di rassicurante o edificante, ma anzi presenti tratti di perturbante e fa sì, quindi, che gli atti di questi eroi possano sembrare ed evocare il male, l'al di là della Legge, la trasgressione, il crimine, mostrandosi, «come minimo, insensibili alla richiesta etica del volto Altro di fronte al quale, all’occasione, sembrano disposti, come Lacan, a mostrare il tirapugni – o il coltello per lo scalpo» come i Bastardi senza gloria del film di Tarantino.
Ma questo rifiuto, questa necessità di essere criminali rivendicata dal Batman di Miller, è anche l'unico fondamento possibile per «ogni atto genuino, ogni atto che non sia solo agitazione, movimento, scarica motrice, ogni atto vero, ogni atto che segna, che conta» (Jacques-Alain Miller, Vita di Lacan), che risulta essere, quindi, trasgressione, infrazione, superamento di un codice, di una legge, di un insieme simbolico. Gli eroi presentati da Regazzoni, quindi, sono l'espressione di «una straordinaria possibilità per l’affermazione di nuove pratiche di libertà e di azione – al di là dei limiti della morale e delle vecchie ideologie moderne di cui oggi si lamenta la scomparsa».
Se a muoverli, però, non è il Bene, la Legge, una Causa, è perché quello che nell'etica dell'eroismo è messo in gioco è solo il proprio singolarissimo godimento. Un'etica dell'eroismo è un'etica del godimento. Esso «non ha nulla a che fare con il nostro piacere, la nostra felicità, il nostro benessere o il nostro personale interesse. Il godimento, nella sua portata etica, è qualcosa come un desiderio fuori-norma, fuori-Legge. Un desiderio assoluto e pericoloso, eccessivo», una Cosa oscura che alimenta l'eroismo. Eroismo che assume, allora, il significato di non cedere sul proprio desiderio assoluto come godimento, di essere se stessi, fedeli a se stessi, o, in termini nietzschiani, di diventare ciò che si è senza cercare alibi. Questi eroi non mettono in atto pratiche di rinuncia e sacrificio, non sono asceti, e cifra di questo eroismo del godimento che si nutre e si alimenta dell'eccesso è il cibo – l'hot dog dell'ispettore Callaghan o il bulimico Po di Kung Fu Panda
Questi eroi sono, però, esclusi dalla comunità, sono singoli, folli:  Batman custodisce in sé una Cosa oscura, una "creatura" che ringhia, si contorce e vuole tornare in libertà, ma per lui non esiste nessuna Causa, «solo la propria singolare, oscura, ossessione. Batman rinasce come il Cavaliere Oscuro proprio perché, a differenza di Superman, è un eroe senza Causa, fedele solo alla sua ossessione, alla sua Cosa oscura. In altri termini: al suo godimento, al di là della Legge». E quando indossa la maschera, egli ci fa vedere, ci rende visibile la Cosa-Altro, oscura, notturna, primordiale, che lo abita e lo assilla e lo decide come eroe. «Batman è il divenire eroe come divenire-pipistrello, divenire extra-umano del soggetto. La Cosa oscura ha una dimensione animale, extra-umana o inumana. Ma ciò significa che l’eroismo del godimento non è propriamente umano, perché spinge il soggetto fuori dall’orizzonte simbolico dell’umanità. Batman, supereroe senza nessun potere particolare, non è semplicemente un uomo travestito da pipistrello; bensì un uomo-pipistrello, un uomo che mette in gioco la Cosa oscura inumana o extra-umana, un uomo che si spinge oltre i limiti dell’umano: un Übermensch, potremmo dire con una famosa formula di Nietzsche che designa precisamente un andare al di là dell’umano. La Cosa oscura non ha nulla di rassicurante: il divenire-pipistrello come divenire-eroe del soggetto è già, anche, un divenire-mostro e criminale».
Anche Dirty Harry e il maniaco omicida, in fondo, si distinguono solo per il distintivo.



 

domenica 1 aprile 2012

il cavaliere oscuro e la filosofia

Il volume Batman and Philosophy è probabilmente uno dei migliori della serie Pop Colture and Philosophy che io abbia letto, sia probabilmente per una mia personalissima predilezione per questa creazione fumettistica, sia però anche per una innegabile affinità tra il Cavaliere Oscuro e le sue storie e alcune tematiche e tonalità emotive tipicamente filosofiche.
Nella prima parte del testo gli autori si interrogano sul quesito se il Cavaliere Oscuro agisca sempre bene. Perché, ad esempio, Batman non uccide il Joker? “Lasci morire tante persone perché non ne uccidi una?”, chiedono Jason Todd e Hush a Batman. L’argomento in favore dell’uccisione del Joker sarebbe tipicamente utilitarista, ma i supereroi in genere non sono utilitaristici. Come si può essere sicuri che ucciderà ancora, e quindi che si stanno salvando delle vite? Sarebbe lecita una sorta di pre-punizione come quella narrata nelle vicende di Rapporto di minoranza da Philip K. Dick. Altre possibili questioni poste sono se sia giusto o meno formare e addestrare un Robin, se l'odio di Batman verso i cattivi possa essere definito virtuoso – egli si preoccupa che possa piacergli troppo, procurargli soddisfazione personale e gioia, anche se al contempo lo porta a sacrificare cose essenziali alla felicità della vita.
Gli interventi della seconda parte sono incentrati sul rapporto tra legge, giustizia e ordine sociale. Nell'arco narrativo di No Man's Land (Terra di nessuno) – che segue Contagio e Cataclisma , in cui la situazione sembra quella dello stato di natura descritto da Hobbes, si mette in luce come il principale nemico di Batman sia il caos, l’anarchia, come egli si presenti quale il difensore dell’ordine sociale. Egli è anche, però, il simbolo della giustizia e dell’ordine al di là dei diritti e della legge, contro il monopolio dello Stato, quale detentore dell'autorità e della legge, dell’uso legittimo della violenza: ne Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller si afferma esplicitamente che “Un uomo è sorto per mostrarci che il potere è, ed è sempre stato, nelle nostre mani. Siamo sotto assedio – Ci sta mostrando che possiamo resistere”.
Nella terza parte del volume si affrontano i temi etici che stanno alla base delle origini del crociato incappucciato. Ad esempio, la promessa che è a fondamento delle origini di Batman, la missione assunta sui cadaveri dei propri genitori, fa sì che il suo desiderio non sia semplice vendetta, che sia meno personale, e lo porta, invece, ad assumere un ruolo analogo a quello svolto dal padre come medico, il tutto per assicurare un’eredità alle vite dei suoi genitori: il Cavaliere Oscuro non prova solo a distruggere le forze malvagie di Gotham, ma anche a costruire qualcosa, e questo scopo costruttivo lo distingue da altri eroi come il Punitore o Rorschach
Nella quarta sezione, invece, la domanda è sull'identità di Batman, interrogandosi ad esempio sulla decisione consapevole da parte di Bruce Wayne di creare l’identità di Batman, nata dall'incontro tra Bruce e il pipistrello e dalla scelta di abbracciarlo, che ricorda un po' la parabola del pastore e del serpente nello Zarathustra di Nietzsche,  oppure chiedendosi se Batman avrebbe potuto essere il Joker.
La quinta parte presenta un tono esistenzialista, affrontando i temi della morte, dell'angoscia e della libertà. Viene analizzato, ad esempio, il senso di colpa per la morte dei genitori provato da Bruce. Sentito come soffocante, esso inizialmente dischiude ad un livello fondamentale dell’esistenza come colpa dell’essere, a un senso di nullità. Questa fragilità ha però il potere di trasformare la vita: la colpa si trasforma da semplice biasimo a comprensione che ognuno è colpevole perché deve prendere una posizione e dare testimonianza su chi è e come vive. Scegliendo di liberare se stesso dalla tipica risposta alla sua personale tragedia, cioè rabbia cieca e vendetta, Bruce interpreta l’evento della morte dei propri genitori come un richiamo a ribellarsi contro una vita di vittimizzazione, commiserazione e cinismo. Così facendo Bruce redime una tragedia senza senso affrontando l’insensatezza della violenza in sé, così la colpa che inizialmente lo aveva condannato diventa un richiamo ad essere se stessi, e così Batman diventa l’autentica coscienza di Bruce, accettando che essere è essere ansiosi su chi si è.
Nella sesta ed ultima parte, infine, il tema è quello dei molti ruoli dell'Uomo Pipistrello. Si affronta il tema della natura dell'amicizia analizzando il rapporto tra il Cavaliere Oscuro e Superman. Superman e Batman sono amici, ma danno all’amicizia l’un per l’altro un diverso significato, poiché il primo ne ha un concetto che sembrerebbe ripreso da Aristotele (amicizia come rapporto tra due eguali, tra due uomini buoni che si amano puramente e semplicemente per quello che sono, per i rispettivi caratteri, spingendosi a migliorarsi  senza false adulazioni: se venisse il momento, Superman sa che Batman sarebbe l’unico ad usare volontariamente l’anello di kryptonite contro di lui, e questo anello è allora una testimonianza di questo aspetto dell’amicizia, che serve a mantenere Superman buono), mentre il secondo una visione più simile a quella nietzschiana fondata sul rispetto dovuto a un rivale, e considerando Superman un suo pari ma in quanto a potenza, ammirando in lui un monumento vivente di ciò che l’uomo potrebbe essere, ma a cui deve insegnare (e la lotta è il terreno migliore) a non credere alla propria invulnerabilità, a non essere arrogante, impartendogli la lezione imparata dall’assassino dei suoi genitori.

lunedì 20 febbraio 2012

meraviglie?

Si provi a immaginare quale effetto farebbe se creature diverse e straordinarie camminassero veramente tra di noi: gli uomini si sentirebbero infinitamente inferiori, come vermi, in confronto a questi esseri, che li terrorizzerebbero anche quando compiessero atti spettacolari per difenderli. La paura sarebbe il sentimento prodotto e generato dalla presenza di queste “meraviglie”. Un’opera come, appunto, Marvels – di Kurt Busiek e Alex Ross, del 1994 –, che presenta la prospettiva di un reporter che fotografa supereroi – idea in parte ripresa con Marvel. Eye of the Camera, sempre di Busiek, del 2008 –, ce ne dà l’idea. Come dimostrano anche i supereroi di Watchmen (di Alan Moore e Dave Gibbons, del 1986-1987) – che agiscono al di là della legittima autorità dello Stato – e Superman: Red Son (di Mark Millar e Dave Johnson, del 2003) – che mostra come i supereroi in contesti non democratici (nel caso specifico, un Superman atterrato nell'Unione Sovietica anziché che negli Stati Uniti) possano svolgere azioni teoricamente atte a realizzare un’utopia ma che inevitabilmente, invece, conducono a risultati distopici –, sembrerebbe chiaro che la presenza di supereroi e mutanti renderebbe gli uomini più insicuri. 
Segnalazione ancora per un ultimo – anche per data di pubblicazione – esempio di questa visione delle “meraviglie” (marvels) come fonte di insicurezza, paura, terrore. Un esempio che, in più, ha per protagonisti proprio i mutanti: Before the Devil KnowsWe’re Dead, protagonista la squadra dell'incredibile X-Force di Wolverine, Psylocke & co.





lunedì 2 maggio 2011

oltre la maschera: il segreto delle identità segrete

Superman non mira a proteggere il mondo come un alieno, o come il Dr. Manhattan di Alan Moore (Watchmen), in tutta la sua distante alterità, non vuole essere un dio alla Aristotele, un motore immobile del mondo, isolato nella sua autonoma indipendenza. Egli desidera una connessione esistenziale con gli uomini, vuole proteggerli come uno di loro. La sua identità segreta come Clark Kent non è un normale stratagemma da supereroe, uno strumento o un’arma in più, ma rappresenta una parte cruciale della reale ricerca di Superman di vivere l’avventura umana e vegliare sull’umanità dall’interno.
Batman ha iniziato la sua vita come Bruce Wayne, e solo dopo è diventato il Cavaliere Oscuro, ma questa seconda identità non è sorta da un qualche tragico incidente che ha misteriosamente comportato l’acquisizione di superpoteri, bensì da anni di sforzi intenzionali e dolorose trasformazioni. Batman è totalmente concentrato e dedito a combattere il crimine e l’identità del ricco Bruce Wayne è un mero espediente utile per portare avanti una vita da vigilante e supereroe. L’immagine di Bruce Wayne sembra essere diventata la vera maschera.
In entrambi questi casi, una dualità ha rimpiazzato una singolarità ma implicando una nuova unità in fusione, un nucleo di identità accresciuto in qualcosa di più complesso e interessante. L’identità personale non è qualcosa di così diretto e immediato come si potrebbe essere tentati di supporre. Il nucleo della nostra identità può crescere, svilupparsi, assumere nuovi elementi che ci rafforzino. Ogni maschera lascia una traccia nella persona che la indossa, e ogni maschera può diventare più reale di quanto immaginavamo. Chi siamo è sempre una questione di come agiamo e ciò che diventiamo è il risultato delle attività in cui ci impegniamo giorno per giorno.

(da Tom Morris, What's behind the mask? The secret of secret identities, in Superheroes and philosophy

sabato 19 marzo 2011

la verità su superman

La motivazione base di Superman: perché fa quello che fa? Quali sono le sue ragioni? Cosa lo spinge ad assumere il ruolo di protettore e difensore di tutti? Perché prova incessantemente a fare la cosa giusta? Per i ragazzi di oggi, vista la crescente fama di Batman, Spider-Man e Wolverine, Superman è diventato sempre più irrilevante: l’età moderna ha creato una nuova distanza tra Superman e la sua presunta audience, che ora non può evitare di chiedersi il “perché”, perché mai egli abbia anche solo considerato di intraprendere un percorso di altruismo. È un individuo che potrebbe avere qualsiasi cosa desideri, quindi perché impiega tutto il suo tempo per prendersi cura degli altri? Bisogna ri-narrare il mito di Superman per il pubblico moderno e rispondere alla domanda su chi egli veramente sia: è un essere alieno ed è probabilmente più solo in questo mondo di chiunque altro mai. E questa è la chiave.
Il desiderio di appartenenza è un aspetto fondamentale della natura umana e Kal-El (Superman) prova lo stesso basilare bisogno di comunità condiviso da tutti quelli che lo circondano. «La nostra più profonda paura è di essere potenti oltre misura. Chi sono io per essere brillante, meraviglioso, talentuoso, favoloso? Noi siamo fatti per brillare, per manifestare la gloria che è dentro di noi. E quando lasciamo la nostra propria luce risplendere, diamo inconsciamente agli altri il permesso di fare lo stesso. Quando ci liberiamo delle nostre stesse paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri» (Marianne Williamson, A Return to Love: Reflections on the Principles of “A Course in Miracles”). Come si connette Kal-El con il mondo intorno a lui? Non voltando le spalle alla sua eredità aliena, ma abbracciandola: solo agendo nel pieno del suo potenziale, piuttosto che nascondendosi nelle retrovie dietro un paio di occhiali finti, egli può autenticamente partecipare nel mondo. Solo essendo apertamente kryptoniano può anche essere terrestre. Quando vive come chi veramente è, pienamente e autenticamente, egli occupa il giusto posto nella comunità, nella quale può infine trovare appartenenza e soddisfazione. Indossando un’uniforme che con orgoglio celebra e onora la sua razza – essendo realizzata sulla base della bandiera che i suoi genitori gli hanno lasciato per accompagnare il suo viaggio – vola nei cieli saldo e senza vergogna.
Il paradosso risultante è che Superman può essere un lampante esempio del valore dell’eroismo altruistico, ma realizza ciò agendo nel proprio stesso interesse personale. Accanto al genuino altruismo c’è una sana autocoscienza, i propri bisogni interni si bilanciano con i bisogni degli altri in una maniera di cui beneficiano tutti. Superman è il vero e autentico individuo che accetta chi è nel profondo, celebrando questo vero sé e poi usando tutta la sua potenza per il bene tanto degli altri quanto suo.

(da Mark Waid, The real truth about Superman: and the rest of us, too, in Superheroes and philosophy)

 

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