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venerdì 13 maggio 2016

come nietzsche finì per brandire una katana

La storia di un armamento con cui il mio Nietzsche "riavviato" finisce per brandire una katana ha come evidente modello di riferimento - amiamo il citazionismo - la scena del film di Quentin Tarantino Pulp Fiction in cui Butch, interpretato da Bruce Willis, soppesa diverse possibili armi prima di andare a salvare Marsellus: prima un martello, l'arma filosofica con cui porre domande a quegli idoli che avrebbero voluto rimanere in silenzio costringendoli, invece, a risuonare fragorosamente rivelando il proprio inganno, il proprio vuoto; poi una mazza da baseball, pronta a una poderosa opera di pestaggio che spacchi tutto, che tutto faccia esplodere; una sega elettrica, sfogo e divertimento dell'abietto schizzare di brandelli che sfronda, pota, ringiovanisce; e infine la katana, la spada da samurai, gioiosa serenità di uno sfregiare che non si lascia terminare, di uno sfrontato affrontare e recare affronto.
Katana o pugnale, arco lungo o balestra, .44 magnum o mitragliatrice a canne rotanti, mazza chiodata o alabarda, artigli da mustelide o dito medio alzato: dare uno stile, una forma, alla totalità focalizzata della propria forza.

giovedì 23 gennaio 2014

(per)donare la morte - kill matsu'o (I)

La ninja e telepate X-Men nota come Psylocke è la protagonista della miniserie Kill Matsu'o. Se fin dal titolo l’avventura sembra una citazione del film del 2003 di Quentin Tarantino Kill Bill, questo omaggio citazionista è ulteriormente confermato e rafforzato all’interno della storia, che si presenta anch’essa come una furiosa ricerca di vendetta da parte di una donna armata di katana (Psylocke) nei confronti di un uomo per cui ha lavorato come assassina (Matsu’o Tsurayaba), e che ha tra i suoi momenti uno scontro “una contro molti” nel Club 77 di Tokyo (come La Sposa affronta in un locale giapponese gli 88 folli della Yakuza). Uno degli eventi che fa della vita di Psylocke qualcosa di spettacolare e terribile è l’essersi ritrovata «in un altro corpo. Con un’altra faccia»: cercando di salvare gli X-Men dai cyborg Reavers – che, come forse nessun altro mai, si sono avvicinati allo sterminio del gruppo mutante, tra l'altro crocifiggendo Wolverine – Psylocke ha attraversato quel Seggio Periglioso (di ispirazione arturiana) oltre il quale, finita su una spiaggia giapponese e lì trovata dall’organizzazione criminale – e secolare setta ninja legata al mondo dell’occulto – della Mano e prelevata da Matsu’o Tsurayaba, è stata trasformata da quest’ultimo – grazie all’unione di chirurgia, tecnologia e magia e nel tentativo di riportare in vita la donna che amava (Kwannon) – in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era. Per un po’ Psylocke è stata Kwannon – o meglio Lady Mandarin, assassina del Mandarino –, poi Wolverine l’ha riportata “indietro”: «Ho visto me stessa nella sua mente… e i suoi ricordi mi dissero chi ero».

La vicenda della miniserie dedicata a Psylocke prende avvio dalla decisione della mutante su «come disporre del proprio cadavere», ma non in vista di una futura morte, bensì nell’attualità inquietante di un cadavere su un tavolo di obitorio: «su quel tavolo c’è il mio vecchio corpo». Psylocke deve decidere cosa fare del suo corpo originale, quello che ha attraversato il Seggio Periglioso, quello che ora non è più il suo corpo, quello che ora non è più lei. Partita per il Giappone per inumarlo, la telepate viene però attaccata dai ninja della Mano che, su mandato di Matsu’o, inceneriscono il corpo, il suo cadavere, davanti a lei. Ciò che era, l’ultimo legame con la sua vita precedente, incenerito, andato, dissolto. Psylocke aveva fatto pace e perdonato Matsu’o per ciò che le aveva fatto, nonostante ciò che le aveva fatto, prenderle il corpo e l’anima era stato un gesto empio ma compiuto per amore, ma adesso? Adesso sembra non esserci possibilità di perdono, ma solo per lo scatenarsi di una furiosa vendetta: Matsu’o deve morire. Fra Psylocke e Matsu’o, però, si frappone un inaspettato ostacolo: Wolverine. Anch’egli ha ottimi motivi per odiare e vendicarsi di Matsu’o, essendo il responsabile della morte di Mariko Yashida, donna che è stata uno dei più profondi amori del mutante, ma la sua maniera di fare i conti con il capo della Mano non ne prevede la morte, bensì la lenta, continua, cerimoniale mutilazione: «Matsu’o non ha finito di pagare e quindi non deve morire. Mai»; «ogni goccia di sangue ripaga ciò che mi ha portato via. E non sarà mai abbastanza». Questo calcolo della vendetta e dell’imperdonabile è ben raffigurata da un poster che Wolverine tiene nella sua stanza, manifesto che riporta una citazione da Archiloco sull’arte di ricambiare il male a chi ci ha ferito: «Una sola cosa so, importante: ricambiare con mali terribili chi mi fa del male [I have a high art. I hurt with cruelty those who would damage me]».

Psylocke più di chiunque altro, probabilmente, può comprendere la decisione di Wolverine, la volontà di ricambiare con mali terribili chi ci ha fatto del male, di ferire crudelmente chi ci ha danneggiato, ma gli si oppone, lo affronta: «Matsu’o si è portato via la vita di Logan. Capisco la sua rabbia. Perché fermarlo? Cosa mi importa di Matsu’o Tsurayaba? Cosa sto facendo?». Non c’è anche in Psylocke la stessa volontà di vendetta e la stessa impossibilità di perdono presenti in Wolverine? «Ho distrutto la tua vita. E ora anche le tue ultime vestigia. C’è perdono nel tuo cuore? O solo vendetta?», domanda lo stesso Matsu’o. Uccidere i propri avversari è un comportamento che non ha mai fatto parte dell’etica degli X-Men. Non lo fa Tempesta, leader degli X-Men, con Magneto, eppure quello di Tempesta è un eroismo certo degno del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, dell'eroe postmoderno comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale – insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller – di cui Simone Regazzoni traccia i caratteri nel suo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi: Tempesta, eroe dalle infinite sfumature, è quello che è perché ha abbracciato il suo lato oscuro, la sua natura più cupa. Eppure c’è perdono nel suo cuore e non solo vendetta. Così è per Psylocke davanti a Matsu’o, sembra. Le due mutanti riconoscono – come Jacques Derrida – che quella del perdono è «un’esperienza estranea al regno del diritto, del castigo o della pena, dell’istituzione pubblica, del calcolo giudiziario ecc.», insomma, rappresenta «una sfida alla logica penale» che richiede una rottura di ogni possibile reciprocità o simmetria – quelle che, invece, inutilmente cerca Wolverine – e che «esige che il perdono sia accordato, se può esserlo, perfino a qualcuno che non lo domanda, che non si pente né si confessa, né rende migliore se stesso o si riscatta: al di là, pertanto, di ogni economia, al di là perfino di ogni espiazione» (Perdonare).


Il perdono, se ce n’è, ha senso e possibilità solo laddove esso è chiamato a fare l’im-possibile, cioè a perdonare l’imperdonabile, l’inespiabile, secondo Derrida, per non correre il rischio di essere contaminato da un calcolo che lo corrompe, prima colpa di ogni perdono che voglia essere veramente tale. Il perdono, come il dono, non vuole gratitudine: «Non devi ringraziarmi», dice infatti Psylocke a Matsu’o, perché il (per)dono non deve apparire come tale, né al donatario né al donatore. Sempre secondo Derrida «Nemmeno colui che dona deve vederlo o saperlo, altrimenti comincia, fin dall’inizio, fin dal momento in cui ha l’intenzione di donare, a ripagarsi di un riconoscimento simbolico, a felicitarsi, ad approvarsi, a gratificarsi, a congratularsi, a restituirsi simbolicamente il valore di ciò che ha appena donato, di ciò che crede di aver donato, di ciò che si appresta a donare» (Donare il tempo).

sabato 21 aprile 2012

l'urlo


domenica 18 marzo 2012

da qualche parte, oltre l'arcobaleno

Il volume Fiabe Marvel raccoglie una serie ri ri-narrazioni e rimediazioni di favole classiche con protagonisti gli eroi della Marvel. Le prime quattro storie hanno per protagonisti i Vendicatori: Capitan America è Peter Pan e guida i bambini perduti, i ragazzi che non crescono, Thor, Testa di Latta, Falco e Pantera; Visione è un figlio artificiale alla Pinocchio creato dallo scienziato Henry Pym; la giovane Vendicatrice Stature è Alice nel Paese delle Meraviglie; infine, She-Hulk finisce nel Regno di Oz dove scoprirà di avere sempre già avuto il potere dentro di sé , potere che deriva dal credere in se stessi, potere che consente di ottenere qualsiasi cosa finché ci si mette tutto il proprio impegno, e insieme a lei lo spaventapasseri Thor lottando scoprirà di avere la forza che deriva dalla fiducia in se stessi, l'uomo di latta Iron-Man che sacrificando se stessi per salvare i propri amici si dimostra di avere più cuore di quanto un uomo possa sperare, il leone Capitan America che è possibile, anche quando la speranza sembra ormai perduta, superare le proprie paure e raccogliere il coraggio che si ha dentro di sé.
La quinta storia trasporta il mondo di Spider-Man in quello di Cappuccetto Rosso. La sesta ed ultima, invece, narra il rapporto tra Xavier e Magneto degli X-Men ispirandosi alla strana amicizia di una tartaruga e di un'aquila raccontata in una fiaba africana.
Personalmente, solo la prima e l'ultima fiaba dei Vendicatori mi sembrano minimamente degne di nota narrativamente e graficamente parlando.



giovedì 12 gennaio 2012

un viaggio in occidente

Saiyuki, un manga di Kazuya Minekura, è una interpretazione/rimediazione della famosa leggenda cinese, dello scrittore Wu Ch' eng-en, dello scimmiotto di pietra Sun Wukong, narrata nel libro Viaggio in Occidente (in giapponese, appunto, Saiyuki): i protagonisti di questo fumetto sono, infatti, il monaco Sanzo, che equivarebbe appunto al monaco della storia inizale; Son Goku, appunto la scimmia protagonista della storia; Sha Gojyo e Cho Hakkai, coloro che accompagnano i due nel loro viaggio e che prendono i ruoli dei due accompagnatori della leggenda originaria (un demone fluviale, dai giapponesi recepito come affine al kappa, ed un maiale).
Uno dei kanji che la Minekura usa per scrivere Saiyuki è diverso da quello usato per "Viaggio in Occidente" e, con un gioco di parole, pur leggendosi allo stesso modo, cambia il significato in "Viaggio all'Estremo".



La leggenda cinese del Viaggio in Occidente era già stata ripresa da un vecchio anime, The Monkey, e il personaggio di Son Goku, con la sua potente arma, il nyoibo, un bastone che si allunga a suo piacimento, è alla base anche dell'omonimo personaggio protagonista della serie Dragon Ball.



Anche un anime fantascientifico, Starzinger, è una rimediazione della stessa storia cinese: narra, infatti, il viaggio verso il Grande Pianeta della principessa Aurora, accompagnata da Cogh (che lottare nello spazio sa, col cerchietto d'oro in testa e il bastone allungabile), Gorgo (che sotto i mari lotterà, come un kappa, creatura marina) e Hakka (che in terra ci difenderà, massiccio come un maiale).


Edito il post perché ieri mi è stata segnalata da un mio ex studente l'uscita di un altro manga che riprende la leggenda del viaggio in Occidente, Saiyukiden di Katsuya Terada. Oggi stesso l'ho comprato.


mercoledì 14 dicembre 2011

labirinti e doppelgänger

A ribadire insieme l'assurdità dell'esistenza umana e il carattere onirico della realtà, che sono a fondamento della filosofia del fumetto Dylan Dog, e ad aggiungere ulteriori livelli di lettura e interpretazione, è la metafora dell'uomo come labirinto, che viene espressa nel settimo speciale della serie, Sogni, in cui la figura onirica del Matto afferma: «Guardate! Ecco il destino dell'umanità dolente, fantasmi nella luce accecante del niente! Il niente che vi aspetta nel labirinto senza uscita di sogni e di dolore che chiamate vita! Ma il sogno è solo uno, senza senso, sibillino, e lo sogno io, il Matto, vostro unico destino». E ancora, in seguito, si parla de «la vita, il sogno, il labirinto di cui tutti noi cerchiamo il centro».
Nel suo saggio Roberto Manzocco riconosce i riferimenti filosofici di questa idea dell'uomo – come «strana cosa che, pur vivendo e pensando ogni giorno, non ha idea di che cosa sia, di come si origini e da dove venga quel flusso di pensieri tramite i quali essa si rapporta al mondo e a se stessa» – in Nietzsche, il quale scrive ad esempio, ne La gaia scienza, che «chi guarda in se stesso come in un immenso universo e porta in sé le sue vie lattee, sa anche quanto irregolari siano tutte le vie lattee; esse conducono fino al caos e nel labirinto dell'esistenza», ed Eraclito, il quale in uno dei suoi frammenti scrive che «i confini dell'anima non li potrai mai raggiungere, per quanto tu proceda fino in fondo nel percorrere le sue strade: così profonda è la sua ragione».
Altro simbolo della fluidità e instabilità della natura umana è quello del doppio che cammina al nostro fianco, nostro compagno di strada, del doppelgänger termine coniato nel 1796 dallo scrittore e pedagogista tedesco Jean-Paul Richter in aperta ispirazione alla filosofia idealistica e romantica di Fichte, che prevedeva una sorta di raddoppiamento dell'io tra uno assoluto, originario e quello empirico. La duplicità impersonata dal classico romanzo di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è esplicitamente interpretata in un albo della serie dylaniata – Jekill! – secondo l'idea che «il filtro malefico è solo un artificio letterario. Lo sdoppiamento, la trasformazione in Hyde è possibile per tutti». Un altro albo – L'uomo che visse due volte – rende omaggio ad altri due classici del genere: il film di David Lynch Strade perdute e il romanzo Il fu Mattia Pascal di Pirandello (un personaggio dell'episodio si chiama, infatti, Matthew Pascal).

giovedì 8 dicembre 2011

fumetti klimtiani

Mi è ricapitato tra le mani un vecchio numero di Thor & i Nuovi Vendicatori, il 102, testata all'epoca da me mai comprata e serie da me mai seguita. Perché allora la presi? Per le magnifiche tavole, segnalatemi da Shelidon, alla Klimt realizzate da Alex Maleev nella prima storia dell'albo. Davvero uno spettacolo.



martedì 6 dicembre 2011

esercizi di stile fumettosi

Sulla scia degli Esercizi di stile letterari di Queneau, il fumettista Matt Madden parte, in Esercizi di stile. 99 modi di raccontare una storia, da una semplicissima e banale storia e poi la rinarra ancora e ancora e ancora, ogni volta con uno stile fumettistico diverso, cambiando il numero di vignette, il punto di vista delle tavole, lo stile del tratto o del colore, il genere, decontestualizzando i personaggi, cambiandoli, etc...


lunedì 5 dicembre 2011

universi paralleli, sogni, fantasie surrealiste

In seguito alla rivoluzione della meccanica quantistica, alla teoria per cui a livello sub-atomico la realtà non è solida e fissa, ma ha una struttura di tipo probabilistica, così che ogni volta che una determinata particella si trova a dover "prendere una decisione" l'universo intero finisce per ramificarsi in più linee spazio-temporali distinte, la letteratura fantascientifica ha finito per produrre e sviluppare il concetto di universo parallelo. 
Così – ci ricorda Roberto Manzocco nel suo saggio – ne La svastica sul sole di Philip K. Dick abbiamo un mondo in cui il Terzo Reich nazista ha vinto la guerra, ne I mondi dell'Impero di Keith Laumer un mondo in cui i neanderthaliani hanno sterminato l'homo sapiens, nel Ciclo degli Ylanè di Harry Harrison una Terra in cui i dinosauri hanno sviluppato l'intelligenza e sono la specie dominante. Anche il mondo dei comics – aggiungo io – non è rimasto insensibile al fascino degli universi paralleli e alternativi: ne sono esempi il crossover Marvel L'Era di Apocalisse, in cui si narra ciò che sarebbe successo se il prof. Xavier fosse morto prima di creare gli X-Men – sostituendo la linea temporale di Terra 616 con quella alternativa di Terra 295, di recente ripresa dalla serie Uncanny X-Force – e la serie Exiles, in cui supereroi Marvel di varie dimensioni – tra cui, per un certo periodo, anche Psylocke –  vigilano sui rapporti tra linee spazio-temporali parallele – un po' come in Lord Kalvan d'Altroquando di H. Beam Piper, ricordato da Manzocco.
Anche nella serie di Dylan Dog non mancano gli albi in cui sono presentate realtà di questo tipo: in Storia di Nessuno e Gente che scompare entrano in azione delle versioni alternative dell'Indagatore dell'Incubo, in L'ultimo uomo sulla Terra e I killer venuti dal buio compare, invece, un Dylan Dog del futuro, o di un possibile futuro.
Oltre alla presenza di universi paralleli, a rendere meno solida la realtà dell'universo dylaniato è l'idea, messa in pratica nella serie a fumetti, che il sogno non costituisca un fenomeno esclusivamente interiore, ma sia alla radice stessa della realtà. Dylan Dog presenta una visione onirica dell'essere che Manzocco accosta a quella del drammaturgo spagnolo Pedro Calderòn de la Barca, autore di La vita è sogno, di Jorge Luis Borges, di Macedonio Fernàndez, autore di No toda es vigilia la de los ojos abiertos, dello psicanalista Ignacio Matte Blanco, che ne L'inconscio come insiemi infiniti distingue tra la logica asimmetrica e aristotelica della coscienza e quella simmetrica peculiare dell'inconscio e dei sogni. Si può continuare l'elenco, ad esempio, ricordando l'idea del filosofo tedesco Schopenhauer, che argomenta «non è forse tutta la vita un sogno? – o piú precisamente: esiste un criterio sicuro per distinguere sogno e realtà, fantasmi ed oggetti reali? L’unico criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà è in effetti quello affatto empirico del risveglio, col quale in verità il nesso causale fra le circostanze sognate e quelle della vita cosciente viene espressamente e sensibilmente rotto», e poeticamente esprime la similitudine secondo cui «la vita e il sogno sono le pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama la vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è terminata e giunge il tempo del riposo, allora noi spesso seguitiamo ancora pigramente, senza ordine e connessione, a sfogliare ora qua ora là una pagina: ora è una pagina già letta, ora una ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro. Una pagina letta cosí isolatamente è invero senza connessione con la lettura ordinata: tuttavia non rimane molto indietro a questa, se si pensa che anche il complesso della lettura ordinata comincia e finisce parimenti all’improvviso, e si deve quindi considerare solo come un’unica pagina più lunga. Siamo cosí costretti a concedere ai poeti che la vita è un lungo sogno» (Il mondo come volontà e rappresentazione).
Nella serie a fumetti si realizza, secondo l'autore, una «sovrapposizione tra concezione dei sogni e teoria degli universi paralleli» e la produzione di un infinito novero di mondi possibili, il cui scopo viene riconosciuto nella rappresentazione della fantasia come strategia esistenziale per sfuggire agli orrori della vita reale: «Ho bisogno di un mistero!» – sostiene Dylan Dog ne La bellezza del demonio – «Che cos'è la vita, la mia vita, senza la speranza che un incubo diventi realtà?». La fantasia è la sensibilità superiore e aliena – attrattiva e repulsiva insieme – tipicamente infantile, un pensare il mondo in termini di categorie essenzialmente diverse da quelle adulte che rappresenta uno status gnoseologica privilegiato, un «momento di unità stuporosa più profonda con il reale» perché – secondo le parole di Elémire Zolla – «è nell'esperienza dell'infanzia che nasce la conoscenza senza dualità, la filosofia spinta al di là delle parole» (Lo stupore infantile). Il riferimento più diretto presente in Dylan Dog ad un metodo d'indagine alternativo a quello razionale e ad una apertura verso il mondo onirico e fantastico è probabilmente quello al movimento artistico del surrealismo, citato in più di un'occasione in tavole e copertine della serie, come quella dell'albo Golconda!, in cui il rimando piuttosto esplicito è a Magritte, o come nelle tavole de La clessidra di pietra in cui un personaggio entra nel quadro di Dalì La persistenza della memoria.

domenica 27 novembre 2011

l'indagatore dell'incubo

More about Dylan Dog«Se, come noi, avete passato l'adolescenza a intossicarvi regolarmente con le avventure dell'Indagatore dell'Incubo» – Dylan Dog – e se, diversamente dal suo assistente Groucho, non ritenete proprio che la filosofia sia quella «scienza con la quale o senza la quale tutto resta tale e quale», allora il saggio di Roberto Manzocco, Dylan Dog. Esistenza, orrorre filosofia, è sicuramente una buona e interessante lettura, capace di far emergere la sensibilità poetica e filosofica, di stampo esistenzialista, con cui la serie Bonelli tratta della condizione umana e delle sue situazioni più "estreme" – l'angoscia, l'amore, la morte, la ricerca della verità, l'assurdità della vita – «fino a guardare nietzscheanamente nell'abisso, con la speranza che quest'ultimo, in un momento di distrazione, non si accorga di noi». 
Tanti sono gli ingredienti che fanno di Dylan Dog un fumetto tanto apprezzato da pubblico e critica. L'autore, nel primo capitolo del suo saggio, tenta un'analisi proprio della materia di cui sono fatti gli incubi della serie.
Innanzitutto ciò che Umberto Eco definisce la "sgangherabilità", ossia l'essere composto da una serie di elementi, di punti fissi, che «possono essere isolati e riproposti all'infinito, ricombinati in modo diverso e con l'aggiunta di sempre nuove variabili». Come Nero Wolfe ha le sue orchidee e Colombo il suo impermeabile sgualcito, il suo cane, sua moglie, come serie televisive come Star Trek hanno i loro "pezzi" ricomponibili a piacere, così è anche per la serialità fumettistica dell'Indagatore dell'Incubo.
Poi c'è il citazionismo, ovvero il disseminare di omaggi a film, opere letterarie, musica, i racconti dei vari albi: l'immaginario collettivo, gli elementi "mitologici" sedimentati nella cultura popolare, sono non solo citati ma adoperati, prelevati, trasfigurati, cioè rielaborati e reinterpretati.
Altri elementi sono l'oltrepassamento del "quarto muro" e l'auto-referenzialità. Come nelle opere teatrali di Bertold Brecht, in cui gli attori si rivolgono direttamente al pubblico producendo un effetto straniante e stridente, di alienazione, come nei comics di She-Hulk o Deadpool, coscienti di essere personaggi dei fumetti e quindi capaci di interagire direttamente con i lettori e di sfondare gli spazi bianchi tra le vignette, in Dylan Dog questo elemento metafinzionale è rappresentato soprattutto da Groucho, le cui battutte sono rivolte ai lettori. Nel numero 25 della serie, Morgana, accade invece che Dylan Dog si ritrova a leggere il proprio fumetto, il cui disegnatore ha, tra l'altro, le medesime fattezze di Angelo Stano (illustratore della serie).
Rilevante anche il fatto che la serie affronti tematiche sociali, assumendo posizioni anti-borghesi: dopo «un ciclo di storie più spiccatamente horror, con mostri, depressione esistenzialista, sangue e crudeltà» e un altro «di tipo onirico, che mescola surrealismo e universi paralleli, il tutto allo scopo di fuggire dalla banalità quotidiana», arriva per la serie «un processo di normalizzazione o di autocensura» cui corrisponde «lo slittamento verso il sociale e l'edulcorazione dell'horror». È però da sottolineare «la possibilità che Dylan, grazie a buonismo, animalismo, coscienza sociale e quant'altro, si sia guadagnato un posto nella inquietante "Grande Chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa" teorizzata da Jovanotti». In questo processo, come sostiene anche Claudio Paglieri, il problema di Dylan Dog è quello di «non essere più "contro". La sua rabbia si è annacquata: non fa venire mal di fegato ai bourgeois con le sue accuse, non fa più nascere voglie di censura ai politici né scandalizza i genitori con i nudi e lo splatter. È stato assorbito, è entrato a far parte della maggioranza» (Mi chiamo Dog. Dylan Dog).
L'ultimo e definitivo ingrediente è la capacità di lasciar filtrare nella coscienza dei lettori «la consapevolezza del morire e gli interrogativi ad essa legati», l'offrire «la possibilità di parlare di qualcosa che la contemporaneità ha fatto di tutto per rimuovere, di parlare dell'esistenza umana in tutti i suoi aspetti strutturali, di gettare una nuova luce, insolita e inquietante, sulla vita quotidiana, di vedere da un'angolatura spaesante lo scorrere e il ripetersi dei nostri giorni».
Quest'ultimo elemento è, probabilmente, il più propriamente filosofico. La condizione umana così com'è descritta in Dylan Dog sembra effettivamente rispecchiare l'inappellabile definizione che ne dà il filosofo Albert Caraco, citato nell'introduzione da Manzocco: «nudi fuori e vuoti dentro, con l'abisso sotto i piedi, il caos sopra la testa» (Breviario del caos). E gli strumenti filosofici con cui l'autore conduce la sua analisi sono fondamentalmente quelli presi a prestito dall'esistenzialismo di Karl Jaspers e del cosiddetto primo Heidegger. Dal primo il concetto di "situazione limite", che comprende strutture fondamentali della nostra esistenza quali la nascita, la morte, il dolore, l'amore: «nei confronti del nostro esserci hanno un carattere di definitività. Sfuggono alla nostra comprensione, così come sfugge al nostro esserci ciò che sta al di là di esse. Sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo» (Filosofia). Dal secondo, invece, quello di "tonalità emotiva", condizione emotiva generale e profonda – di disperazione, noia o stupore – che ci spinge a interrogarci sul senso ultimo di tutte le cose: «"perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?" È la prima di tutte le domande. Capita a ciascuno di noi di essere sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda. In certi momenti di profonda disperazione, quando ogni consistenza delle cose sembra venir meno e ogni significato oscurarsi, la domanda risorge» (Introduzione alla metafisica).

venerdì 18 novembre 2011

raiden crossover

Trovato per caso sul blog di Em1x, questo video mi ha divertito moltissimo: dal videogioco Mortal Kombat esce Raiden che affronta/attraversa molti altri videogiochi e i loro personaggi in una incredibile sequela di citazioni e parodie.
Ne risulta un collage d'azione e di spasso.

venerdì 11 novembre 2011

l'apprendista stregone

«La moderna società borghese, che ha evocato come per incanto così colossali mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che si trovi impotente a dominare le potenze sotterranee che lui stesso abbia evocate», scriveva Marx nel Manifesto del Partito Comunista, utilizzando, per spiegare come l'avvento del socialismo sarebbe stata una necessità storica prodotta dallo stesso sviluppo dialettico del capitalismo – che aveva generato gli stessi uomini e armi che lo avrebbero abbattuto – una metafora tratta dalla ballata di Goethe L'apprendista stregone.
Composta nel 1797 e ispirata a un episodio de L'amante del falso di Luciano di Samosata, la ballata di Goethe racconta di un giovane apprendista che, ricevuto dal maestro l'ordine di pulire le stanze durante la sua assenza, si serve di un incantesimo  per dare vita a una scopa che compia il lavoro al posto suo. La scopa agisce come le è stato ordinato, ma finisce per allagare le stanze, senza che l'apprendista sappia come fermarla se non provando a spezzarla in due con l'accetta, ma ottenendo il solo risultato di raddoppiarla. Solo il ritorno del maestro stregone rimedierà al disastro.
Dall'opera letteraria, il compositore francese Paul Dukas ricavò l'impianto di un poema sinfonico, e alla storia si è ispirato anche un episodio del film d'animazione Disney Fantasia  con protagonista Topolino , a sua volta parodiato da Grattachecca e Fichetto in un episodio de I Simpson.

domenica 23 ottobre 2011

filosofo o supereroe?

«È da folli pensare a troppe cose in successione o a una cosa in modo troppo esclusivo», diceva Voltaire, ma forse il filosofo francese non ha mai avuto un incarico tanto gravoso come quello di Fantomex, uno degli eroi che, insieme a Wolverine e Psylocke, tenta di salvare il mondo nella serie a fumetti Uncanny X-Force.


La citazione è tratta dalla prima parte della saga Deathlok Nation (Uncanny X-Force 5 dell'aprile 2011, in Italia in X-Men Deluxe 199 dell'ottobre 2011).


un weekend postmoderno (3)

patti smith, horses
La terza tappa di lettura del testo di Tondelli comprende le pagine più narrative di Un weekend postmoderno, in perfetto stile tondelliano, e gli Affari militari, che mi hanno fatto una certa impressione per come siano quasi riusciti a farmi rimpiangere di non aver vissuto certe esperienze.
Ma è la sessione sulla Fauna d'arte che si sta d
imostrando, per quanto mi riguarda, la più interessante: una perfetta descrizione e narrazione della postmodernità, una perfetta riflessione storica e filosofica su questo periodo, portata avanti attraverso il racconto del costume (anche nel senso di abbigliamento) e della cultura popolare.
Così ritroviamo insieme la cravatta indossata da Patti Smith nella foro per la copertina dell'album Horses, la nascita di una musica da guardare e toccare e vestire oltre che da ascoltare, il nuovo fumetto italiano
di Andrea Pazienza il James Joyce del fumetto che raccoglie sulle sue tavole «narcisismo e autobiografia, giochi di parole e slang giovanile, tecnica rivoluzionaria nel disegno e nella composizione della tavola, talento inverosimile nella coniugazione di stili opposti, ma sempre riconducibili a un tratto personalissimo, politica e Movimento, droga e sballi, donne e amici e branchi e gruppuscoli, deliri e paranoie» e del selvaggio RanXerox  «l'automa e macchina compiuterizzata, in grado di trasferirsi, senza brusche rotture, nei travestimenti dell'uomo primitivo o di quello spaziale e galattico».
Quello che viene narrato è un nuovo ellenismo in cui tutto è mischiato, confuso, fluttuante, stratificato, sovrapposto, coesistente, simultaneo, centrifugato, contaminato; che dà il senso
«di trovarsi nei chip di memoria di un computer di fronte all'avventura umana ricapitolata in vista della fine del millennio»; in cui la ricetta appare la seguente: «mischiare & citare & confondere»; la cui protagonista è «una generazione che, nell'impossibilità di offrire a se stessa una ben precisa identità culturale, ha preferito non darsene alcuna, o meglio, mischiare i generi, le fonti culturali, i padri putativi, fino ad arrivare alla compresenza degli opposti. Una generazione in cui i linguaggi si confondono e si sovrappongono, le citazioni si sprecano, gli atteggiamenti e le mode si miscelano in un cocktail gradevole e levigato che forse è il succo di questa tanto chiacchierata postmodernità».
Chi ha mai spiegato meglio la condizione postmoderna e i piaceri dell'era elettronica?




sabato 22 ottobre 2011

sognando la vendetta

«Poiché la vita è quel che è, sogniamo la vendetta». Con questa citazione dell'artista Paul Gauguin inizia la storia di Uncanny X-Force numero 5.1 (numero speciale pensato per presentare il fumetto anche a chi non ne ha mai sentito parlare). E quello della vendetta è probabilmente uno dei temi di fondo più caratteristici di questa testata della Marvel.
Uccidere i Reavers cyborg che in passato si sono, come forse nessun altro mai, avvicinati allo sterminio degli X-Men, tra l'altro crocifiggendo Wolverine e spingendo Psylocke ad attraversare quel Seggio Periglioso, di ispirazione arturiana, oltre il quale è stata trasformata in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era, e che ora stanno progettando un attentato all'isola-Stato mutante di Utopia – è la missione del gruppo in questa occasione. È lecito, per uno degli eroi, dei "buoni", provare gioia per l'opportunità di farla pagare a quei demoni, o è giusto essere spaventati di se stessi se all'idea di uccidere si inizia a provare piacere?
È la questione morale che incarna qui Psylocke  il punto filosofico di questo numero, e uno dei punti di forza di questa serie.

lunedì 10 ottobre 2011

il quarto stato

In tutta la sua produzione artistica il pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo sembra presentare un concetto pessimistico della vita. Nella sua opera rari sono i momenti gioiosi, se anche in quello che dovrebbe essere un Idillio primaverile (1896-1901) echeggiano i passi sottolineati dall'autore nel romanzo dell'epoca Nell'ignoto (1896): «l'anima del sensibile adolescente schiudesi di repente all'amore e tra i due cugini, quasi inconsciamente incomincia l'eterno idillio». Il presentimento d'una futura e ineludibile sofferenza si proietta sulla scena d'un amore nascente e vagamente incestuoso. Presentimento di sofferenza che si concreta, invece, in Il morticino o Fiore reciso (1895-1906).
Il pittore si concentra con ostinazione sulla rappresentazione di sé e della sua famiglia, come dimostrano i numerosi autoritratti e ritratti svelando una certa ossessione del nido, dell'idea che non c'è "io" senza famiglia , l'irruzione della moglie Teresa e la rapida intensificazione del tema della donna col bambino, come in Donna seduta con bambino (1888), Pensieri o Teresa (1891), Mammine e Sacra famiglia (1892). In questo si mostra un processo di idealizzazione della figura femminile ma anche l'introduzione di innovazioni iconografiche: nella Sacra famiglia la figura della Madonna arriva in primo piano con un gesto che è, innanzi tutto, il rifiuto di conservare un ruolo passivo e gregario; la Madonna è giovane e protagonista, laddove san Giuseppe, confinato sullo sfondo, è vecchio e stanco, in una posizione assolutamente subordinata, e tutto questo quando la dimensione di quotidianità è ancor più accentuata dal fatto che le figure sono prive di aureola. il movimento di quella Madonna col bimbo in braccio anticipa quello della donna in primo piano del Il Quarto Stato (1901).
Oltrepassando decisamente la rigidità allegorica che la rappresentazione del femminile aveva conosciuto nella Francia rivoluzionaria giacobina nei quadri di Jean-Baptiste Regnault (La libertà o la morte, 1795) e Antoine-Jean Gros –, Teresa che nel Quarto Stato simbolicamente avanza verso il futuro rappresenta la realizzazione finalmente concreta, plausibile, popolare di quei valori di libertà, uguaglianza e fraternità di cui le tele francesi sono state il memorabile ma astratto paradigma. La contraddizione tra le simbologie culturali di una ben codificata tradizione relativa alla rappresentazione della donna e le opzioni politiche recepite dalla cultura del tempo, è sintetizzata da Pellizza nell'ambivalenza simbolica d'un femminile sospeso tra tradizione ed emancipazione, famiglia e partecipazione alla scena pubblica, forza e indipendenza, maternità e individualità, dimostrando una tenace volontà d'aggiornamento da parte del pittore sulla questione femminile.
Posizione socialista, anche se il socialismo di Pellizza è umanitario e pacifico come quello del Giovanni Pascoli che scrive «io mi sento socialista, ma socialista dell'umanità, non d'una classe» (1899), e che compone i versi della poesia La voce dei poveri (1902): «Non dateci ilo pane, ma i pani, sì d'oggi, e sì pur di domani, di sempre, o pie genti! Non dateci il vostro buon cuore cambiandolo in nostro rossore; voi uno, noi venti. Non pane soltanto ch'è nulla, ma vesti e la casa e la culla: non rame, ma oro: non ciò che a più chiedere invita, ma tutto: non vitto, ma vita: lavoro! lavoro!». Il socialismo di Pellizza si realizza in una decennale e costante rielaborazione tematica che va da Ambasciatori della fame (1892) ad, appunto, Il Quarto Stato.  
Se in una nota di diario del 1891 Pellizza segna «Scioperi – anche le donne possono prendervi parte – una donna nel quadro può venire in prima linea con essi», ecco che in Fiumana (1895-98) il garzoncello in primo piano di Ambasciatori della fame viene sostituito dalla donna col bimbo in braccio, la quale conquista la scena e la parola. In un'altra nota, del 1896, l'autore scrive: «passa la fiumana dell'umanità, genti correte ad ingrossarla. Il restarsi è delitto, filosofo, lascia i libri tuoi corri a metterti alla sua testa. Artista, con essa ti reca ad alleviarle i dolori colla bellezza che saprai presentarle. Operaio, lascia la bottega in cui per lungo lavoro ti consumi. La moglie e il pargoletto teco conduci ad ingrossare la fiumana dell'Umanità assetata di giustizia».
Anche Giovanni Verga ne I Malavoglia (1881) presenta il nesso tra fiumana e progresso, parlando del «movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso», ma sostenendo che «il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano», perché a questo progresso generale della specie si contrappone la rovina del singolo individuo. Nella novella rusticana Libertà (1883), sui fatti sanguinosi di Bronte dell'agosto 1860, la metafora fluviale serve infatti a Verga per condannare implicitamente l'immaturità politica e la violenza gratuita, modello replicato da De Roberto ne I Viceré (1894) e da Pirandello ne I vecchi e i giovani (1913).
Da Fiumana a Il Quarto Stato c'è il passaggio da una massa che s'ingrossa come un fiume in piena a una schiera contenuta nel numero e compattamente solidale, con tensioni smorzate, sublimate, compresse, latenti.
Nell'incedere dei lavoratori di Pellizza, come nei poveri di Pascoli che chiedono in coro, si può ravvisare  determinazione, consapevolezza della propria forza, ma la figura a grandezza naturale di una massa di contadini è insieme imponente e composta, è distribuita per file ordinate e avanza con dignità verso il futuro, in una forma di protesta silenziosa, cosciente di sé e delle proprie ragioni. L'ardore e la fede nell'avvenire e la coscienza di classe – le stesse del Metello (1955) di Vasco Pratolini, romanzo la cui vicenda abbraccia un arco cronologico che va dal 1873 al 1902 e coincide quindi quasi esattamente con la non lunga vita di Pellizza – sono mostrate con un carattere solenne ed emblematico, e la statuarietà di tutta la grande famiglia dei figli del lavoro è l'icona di un'umanità in cammino verso un destino ineluttabile di libertà, giustizia ed eguaglianza.
In una nota del 1892 su Ambasciatori della fame Pellizza scrive di voler raffigurare «la massa del popolo senza schiamazzi tranne laggiù in fondo dietro a tutti un pugno alzato, solo un pugno, che è come un avvisamento qualora il caso fosse disperato e la fame pervenisse all'insopportabilità». E ancora, in una nota del 1895, scrive: «vengono a reclamare ciò che di diritto – sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta –, è l'ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione». L'intento del pittore è dunque quello della nobilitazione, dell'elevazione morale, della sublimazione, quello di mostrare i lavoratori come dovrebbero essere.
Ma anche nel dipinto Il Quarto Stato, culmine di questa sublimazione, traspare tutta la difficoltà di conciliare un socialismo gradualista e antirivoluzionario alla Turati con l'immagine maestosa e terribile della folla. Tutti i dubbi sul titolo definitivo da attribuire all'opera –  da Ventre vuoto, Budella vacue, Marcia dei Titani, Fiumana famelica a Fratelli-Prossimo, Marcia del Trionfo, Alla conquista dell'ideale, Redenzione emergono nel senso di terribile incombenza, di ansiosa e paradossale calma che precede il precipitare di una situazione, di intenzione congelata ma non meno minacciosa, di aggressività appena dissimulata, che trapela dall'indignazione dei lavoratori.
Questo forse spiega anche perché, nel 1992, Gianfranco Manfredi nel romanzo Magia rossa trasformi i personaggi del quadro di Pellizza in zombi, e, nel 1993, Tiziano Sclavi faccia marciare il suo eroe Dylan Dog alla testa d'un corteo di orride creature, esemplato sul modello del dipinto di Pellizza, così da confessare il versante notturno e rimosso della massa, per nulla redento dagli esibiti valori di civiltà e progresso attraverso cui il pittore aveva tentato di sublimarla.
Resta la relazione tra gli intenti di glorificazione che il quadro pretende d'avere e gli impliciti presagi che continua a proiettare, tra ciò che il quadro vuole essere e quello che rimuove sotto la sua coscienza ideologica ma che preme nella materialità del segno
Del resto, le pecore e i greggi lavorati da Pellizza in contemporanea all'impresa che l'avrebbe condotto a Il Quarto Stato, molto ci possono dire della massa di lavoratori che vi si celebra. Volendo attribuire alla transumanza di pecore de Lo specchio della vita (1895-98) il titolo simbolico di Verso la luce, la stessa luce del radioso avvenire verso cui i lavoratori sono incamminati, Pellizza fa sì che ai lavoratori venga associato lo stesso crudele destino che tutti i greggi si portano dietro «i cavalli son fatti per esser venduti; come gli agnelli nascono per andare al macello» (Verga, Jeli il pastore).



venerdì 30 settembre 2011

tom sawyer e bart simpson

Una piacevolissima lettura è il Tom Sawyer di Mark Twain: spassosissimo, divertente, ironico, e si apprezza ancor di più se lo si legge ad alta voce in compagnia e, secondo me, se si è un fan dei Simpson serie che, del resto, contiene spesso citazioni da questo pilastro della cultura popolare americana –, perché si proietta retrospettivamente tutto lo humor della famiglia gialla e cattiva su questo romanzo dell'Ottocento.


lunedì 1 agosto 2011

simpson + saint seiya

domenica 31 luglio 2011

calvin&hobbes vs naruto

venerdì 29 luglio 2011

d'oh!

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