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giovedì 30 giugno 2016

letture di giugno

In preparazione del prossimo mese, che da un po' di anni è quello del festival del contemporaneo PopSophia - dove la filosofia indaga il pop e il pop racconta la filosofia -, un po' di letture in cui filosofia e cultura popolare si ibridano, si affrontano e si scoprono. Ovviamente si inizia dal tema di quest'anno del festival, Il Ritorno della Forza, con Star Wars and Philosophy: libertà e predestinazione nella famiglia Skywalker, stoicismo e filosofie orientali nel culto Jedi, ambiguità morali, il problema del male e della sua giustificazione, l'etica della guerra, la questione della tecnica, i dilemmi dell'intelligenza artificiale, la dialettica hegeliana, interrogativi politici su tirannide, democrazia e repubblica.
Due letture per Sherlock Holmes - tema anche dei buoni apocrifi di Luca Martinelli Il palio di Sherlock Holmes e Sherlock Holmes e la morte del cardinale Tosca - con il mediocre The Philosophy of Sherlock Holmes e con il migliore Sherlock Holmes and Philosophy: Holmes come lo spinoziano uomo saggio capace di non essere affetto dalle passioni che rendono schiavi - modello che pone le basi per eroi moderni come Dr. House, Bones, Spock -, le regole del ragionamento logico deduttivo, induttivo e abduttivo, uno studio sull'amicizia, il tema della noia, i rapporti con la fortuna, l'azione, l'immaginazione, l'inganno e la menzogna.
Ancora filosofia e letteratura con il bel Stephen King and Philosophy: Dio e il male, la costruzione dell'identità femminile in un confronto tra Carrie e Simon de Beauvoir, la sfida tra transumanismo e bioconservatorismo, Roland della serie La Torre Nera e il nicciano eterno ritorno - ma anche l'etica utilitaristica -, l'analisi aristotelica dell'amicizia e i racconti di Stagioni diverse, l'Overlock Hotel di Shining come foucaultiana eterotopia, utopia e distopia in L'uomo che corre e La lunga marcia, il genere horror e la compassione schopenhaueriana, viaggi nel tempo e preveggenza. 
Passando ai fumetti, Batman Unauthorized: il realismo e il grottesco, sovversione e conservatorismo, l'essenza del Joker, la figura paterna di Ra's al Ghul, la (im)possibilità di un ritiro per Bruce Wayne, la follia di Arkham.

In Deadpool Killustrated il mercenario chiacchierone dei fumetti Marvel, consapevole di essere solo un personaggio dei comics e di vivere in una dimensione perciò fittizia, e vista l'impossibilità di liberarsi e di liberare gli altri da tale realtà di finzione perché gli autori continuano a riscriverli, decide di andare alla fonte del problema, a quella realtà prima e ideale da cui il suo mondo finto deriva, cioè la letteratura classica e si mette a ucciderne tutti i protagonisti (Moby Dick, Don Chisciotte, Dracula, etc.) cosicché il mondo dei fumetti non possa più essere riscritto perché ne è venuto a mancare il modello, l'archetipo, l'idea. Deadpool uccide i classici per porre fine a quel mondo falso, di favola, di finzione, che sa essere la sua realtà. Più che un fumetto un saggio filosofico.

Da aggiungere: il non splendido ma lunghissimo romanzo di Yehoshua Kenaz Non temere e non sperare, sul servizio militare nello Stato di Israele; il thriller Un finale perfetto del sempre affidabile John Katzenbachfinito il seminario a scuola sulle Meditazioni metafisiche di Cartesio; molto interessante e ricco di spunti, suggestioni e temi da approfondire il saggio di David Graeber sul perché ci perseguita e insieme ci rende felici la Burocrazia; i saggi di Gianni Vattimo raccolti in Le avventure della differenzaquelli di Carlo Sini su semiotica e filosofia di Eracle al bivio, quelli di Claudio Magris sul "grande stile" nella letteratura moderna in L'anello di Clarisse.

Inizia, infine, un periodo di letture su Nietzsche con la biografia di un'apolide dell'esistenza scritta da Massimo Fini, l'introduzione di Gianni Vattimo e uno dei primi saggi critici sul filosofo, Il culto di Nietzsche di Ferdinand Tönnies.

lunedì 29 febbraio 2016

letture di febbraio

La nuova avventura del duo Hap e Leonard scritta da Joe R. LansdaleHonky Tonk Samurai, vede i due improbabili detective metter su una sgangherata squadra - dei "samurai" pronti a andare fino in fondo, a rischiare la vita, ma desiderosi di salvare la pelle - per risolvere un caso la cui verità, alla fine, forse si sarebbe preferito non conoscerla. 

Lettura seriale anche per Fabio Geda che, insieme a Marco Magnone, dà inizio alla saga adolescenziale Berlin con il primo volume, I fuochi di Tegel.

Il ritratto di Descartes realizzato da Steven Nadler con il suo Il filosofo, il sacerdote e il pittore è piuttosto inconsistente e superficiale dal punto di vista filosofico e, insieme, molto poco attraente dal punto di vista letterario e narrativo: una piatta e ridotta biografia concentrata sull'incontro tra il filosofo francese residente nell'Olanda del secolo d'oro e il sacerdote cattolico Bloemaert, e sul probabile ritratto del suo amico che quest'ultimo avrebbe fatto realizzare al famoso Frans Hals, in un'epoca e in un luogo agitato da una febbre ritrattistica, prima della partenza del filosofo per la Svezia, in modo da averne sempre un caro ricordo. Così Nadler ricostruisce la genesi della più nota opera pittorica che ritrae Descartes. E il libro è tutto qui. Deludente.
Lettura derivata dal seminario sulle cartesiane Meditazioni metafisiche che sto tenendo a scuola, e da cui derivano anche le letture dirette dei testi del filosofo francese: Discorso sul metodo e i due trattati Il Mondo. L'uomo. Per questo e per gli altri seminari, la Guida alla lettura delle Meditazioni metafisiche di Descartes di Emanuela Scribano, la Guida alla lettura della Metafisica di Aristotele di Giovanni Reale e la Guida alla lettura della Nascita della tragedia di Nietzsche di Gherardo Ugolini.

Sempre in ambito filosofico, le piacevoli Lettere persiane di Montesquieu, il breve intervento di Jacques Derrida sui temi di Incondizionalità e sovranità e quello su sovranità e crudeltà in Stati d'animo della psicanalisi di cui ho già scritto, come ho già scritto anche del libricino popfilosofico di Monia Andreani su Peppa Pig e la filosofia.

Molto gradevoli, soprattutto per gli splendidi disegni di Philippe-Henri Turin, i due volumetti per bambini scritti da Alex Cousseau e con protagonista Carlo, piccolo drago poeta dalle ali e zampe troppo grandi che lo fanno essere impacciato a terra e perciò deriso dai suoi simili ma in grado di oscurare il sole mentre vola, alle prese prima con la scuola di draghi e poi con il ciclope Polifemo

Dal mondo dei fumetti, oltre all'omaggio di Hugo Pratt all'ultimo volo di Saint-Exupéry, continuano i primi cicli narrativi delle nuove testate della Marvel: buoni i debutti del Dottor Strange, scritto da Jason Aaron e disegnato da Chris Bachalo, sulla Via della stranezza e del primo volume del nuovo Capitan America, Sam Wilson, di Nick Spencer, mentre pessimi i New Avengers di Al Ewing dove Tutto è nuovo ma il team non ha la minima attrattiva e le storie non appassionano.
Inoltre, bella l'avventura di Batman e Joker in Europa scritta da Brian Azzarello e disegnata da Matteo Casali e che vede i due percorrere le strade di alcune capitali del vecchio continente - Berlino, Praga, Parigi, Roma - per scoprire di essere intimamente legati ed essenzialmente necessari l'uno all'altro, reciprocamente e insieme veleno e medicina l'un per l'altro.

mercoledì 6 agosto 2014

crisi d'identità

Su segnalazione e suggerimento di Marco, lettore di questo blog, ho provveduto a recuperare - rintracciare e colmare una lacuna - Crisi d'identità, miniserie in sette albi della DC - i cui fumetti, lo so, frequento troppo poco - scritta da Brad Meltzer e disegnata da Rags Morales nel 2004. Devo quindi un grazie a Marco per questo, perché mi ha regalato una splendida esperienza di lettura - essendo la trama della storia a fumetti estremamente complessa ma ben intrecciata, ricca di suspense, climax, colpi di scena, svolte e risoluzioni brillanti -, una riconferma del processo di decostruzione dell'eroe classico in corso da decenni nei fumetti (e non solo) - questi "buoni" hanno diversi lati oscuri, segreti inconfessabili, sono mossi da pulsioni ed etiche quantomeno ambigue -, la possibilità di veder brillare personaggi forse un po' minori dell'universo fumettistico - insomma, non i soliti Batman e Superman ma, ad esempio, un ottimo Freccia Verde -, l'occasione di riflettere sull'incredibile filosofia dei fumetti - un tema su tutti, quello del rapporto padre/figlio o maestro/allievo, con un Freccia Verde orgoglioso del figlio che in allenamento gli ha appena fatto un occhio pesto, o un Jack Drake che ricorda al proprio figlio Tim di come essere Robin sia qualcosa di degno, per cui vale la pena soffrire (far soffrire?), nonostante tutto il dolore.
Quindi, ancora un grazie a Marco senza cui non ci sarebbe questo post, e io mi sarei perso un gran bel fumetto.


venerdì 17 gennaio 2014

la fortezza della solitudine


In ambito di romanzi, di racconti di formazione e di fumetti, Jonathan Lethem ne La fortezza della solitudine (2003) racconta la storia della crescita e dell’amicizia di due ragazzi, Dylan e Mingus, uno bianco e uno nero, negli Stati Uniti tra gli anni Settanta e Novanta, accomunati, tra le altre cose, da una grandissima passione per i fumetti (elemento vero anche per l’autore del libro). Fin dal titolo, emerge chiaramente come uno dei fattori che maggiormente caratterizza l’adolescenza dei protagonisti, soprattutto di Dylan, sia la solitudine: l’auto-esilio nella propria stanza, il «ripiegamento sul segreto potere dei suoi libri e delle sue matite», che fa sì che Dylan «conosceva la Londra di David Copperfield, conosceva persino Narnia meglio di quanto avrebbe mai conosciuto Brooklyn a nord di Flatbush Avenue». Ma ancor più della solitudine, un altro è l’elemento che accomuna tutti i ragazzi, tutti gli adolescenti, ma anche tutti gli adulti incontrati da Dylan nel suo percorso di crescita e formazione: «Non incontrò mai nessuno che non fosse sul punto di trasformarsi in qualcun altro. Era una sua specialità incontrare persone pronte a disfarsi di un’identità o di un travestimento per assumerne un altro».

È il continuo e costante cambiamento, il fattore mutante, il proprio dell’uomo, tanto che non è possibile incontrarne uno che non sia sul punto di trasformarsi, di disfarsi della sua data e passata identità. Questo fattore è più marcato ed evidente, certamente, nell’adolescente, ma mai comunque sopito o superato. Da ragazzo «evolvevi alla luce del sole e segretamente al tempo stesso», continuamente, ma soprattutto d’estate, quando i ragazzi «sono liberi dalla pagina ‘colora-secondo-i-numeri’ dei loro giorni di scuola, dai loro ruoli prestabiliti di carnefici o vittime, pronti per un’estate incontaminata, quel terreno invitante per crogiolarsi nell’autotrasformazione. Chissà come finirà, a che cosa assomiglieranno quando sarà finita? Dylan sa solo che è in preda alla vertigine, sciolto, in volo».

Nel caldo crogiolo estivo, quando è la temperatura esterna stessa ad invitare a fondersi, a disciogliersi, a liquefarsi e ad auto-trasformarsi, l’organismo e l’identità dell’adolescente, più predisposta, cede in preda alla vertigine di possibilità e libertà che la sua esistenza gli presenta e, tra angoscia ed esaltazione, tra paura ed eccitamento, spicca il suo volo di ri-creazione. L’adolescente è innanzitutto un mutante.

«L’adolescenza era innanzitutto un’identità segreta. A tredici anni si cominciava a lasciare tracce, nomi arcani e segni proliferanti, lenzuola che ti ostinavi a volerti lavare da solo. Come una rotella dello Spirograph, la tua traiettoria incerta combinava casini. Aeroman era una via più audace, solo che sembrava restio a uscire dal guscio di felpa». 

A tredici anni l’identità è un segreto, da custodire e da svelare insieme, e in questo incerto tentare, provare, saggiare – folle e incasinato come la traiettoria della rotella di uno spirografo – si produce un proliferare di tracce, segni, resti, residui, fluidi, e si inventano e lasciano nomi. 

«”Non hai ancora un tag, tu? Inventatene uno.”
I fumetti Marvel avevano ragione, il mondo era fatto di nomi segreti, tu dovevi solo scoprire il tuo».


Aeroman, l’uomo volante, è il nome, l’identità segreta, che Dylan, imparando dai fumetti Marvel, inventa per sé e che si cuce addosso. Che letteralmente si cuce, visto che crea questa identità nuova e segreta – che vorrebbe audacemente emergere e differenziarsi dalla massa degli altri adolescenti, ma allo stesso tempo teme ed è restia ad uscire dal protettivo guscio dell’uniformante e anonima felpa – realizzando per sé un costume da supereroe dei fumetti. 

«Dylan, il ragazzino volante. Si sarebbe cucito un costume e sarebbe andato sui tetti, per piombare addosso al crimine. Per quel giorno la cosa doveva essere camuffata: la Scoperta del Volo, proprio sotto il loro naso. Al suo balzo inaugurale, però, lui sentiva già amore e simpatia per tutti mentre nuotava nell’aria, il suo orizzonte riorganizzato».

«Il mantello, ritagliato da un logoro lenzuolo del Dr. Seuss con il leone che lecca un lecca-lecca al limone, era attaccato in due punti del collo della maglietta celeste che formava il corpo del costume. Dylan aveva fatto in modo di collocare il leone, logo adeguatamente enigmatico, quanto più possibile al centro del mantello. Le maniche della maglietta le aveva prolungate con le gambe a strisce sgargianti tagliate da un paio di pantaloni a zampa abbandonati da sua madre, trafugati dalla cima del mucchio sul fondo del suo armadio dove solo Dylan era mai andato a guardare. Pendevano maestose, le mani di Dylan che sbucavano tra le frange di fili come il batacchio di una campana. Era poco pratico, ma quello era solo un prototipo. Un pezzo da esposizione. Il petto della maglietta l’aveva teso su un cartone e decorato con lo Spirograph, le punte arrugginite, le ruote recalcitranti, un lavoro maldestro dagli esiti imperfetti. L’emblema era un cerchio oscillato, la traiettoria sempre più ampia di un atomo tracciata un migliaio di volte nello spazio a formare fasci di energia. Da una qualche distanza, però, sfumava in uno zero un po’ ciccione». 


Un primo tentativo, una prova, un (as)saggio. Un esperimento forse maldestro e dall’esito ancora imperfetto, quasi uno zero, ma simbolico ed emblematico. Un individuo traccia la propria personale, incerta e oscillante traiettoria di crescita nello spazio che lo circonda, come un atomo o un fascio di energia. Cucito il costume, creata la propria nuova, vera, identità, questa va inizialmente camuffata, celata, nascosta proprio sotto il naso degli altri, di chi ci circonda. Ma è pronto il balzo inaugurale di questa nuova creatura: riorganizzato il proprio orizzonte, un nuovo essere è pronto a spiccare il volo. Il tema del cucirsi o comunque prepararsi il proprio costume, soprattutto legato a figure di adolescenti, è piuttosto un luogo comune dei fumetti: giusto due esempi, particolarmente significativi sia in sé sia per le opere da cui sono tratti.
In The Dark Knight Returns (1986) di Frank Miller, la giovanissima Carrie spende due settimane della propria paga per potersi permettere il vestito che le consenta di essere un buon nuovo Robin, che affianchi il Cavaliere Oscuro sulle strade di Gotham City. In una tavola del secondo capitolo del suo graphic novel, Miller ce la mostra mentre lo indossa e lo prova davanti allo specchio prima del suo “balzo inaugurale”, del primo volo di questo piccolo pettirosso. 
In Kick-Ass (2008), Mark Millar sceglie come protagonista un ragazzo a cui non servono traumi personali (l’omicidio dei genitori, come nel caso di Batman), raggi cosmici o anelli di potere per decidere di realizzare e indossare un costume che davanti allo specchio lo faccia sentire «davvero fighissimo» e che gli faccia passare le sere «a pensare a qualche nome figo da supereroe», tanto da sentirsi così bene da non guardare «porno su internet per quasi sette settimane». A muovere David “Dave” Lizewski che, «come la maggior parte della gente» della sua età – né atleta, né nerd, né buffone della sua classe –, esiste e basta, è «una perfetta combinazione di solitudine e disperazione».

venerdì 4 ottobre 2013

la filosofia della guerra al terrorismo

Con Stato di legittima difesa, Simone Regazzoni prova a pensare la politica di Obama e la guerra al terrorismo al di là di ogni sterile panico libertario e di ogni critica alla guerra mossa da astratte posizioni pacifiste, riconoscendo al Presidente statunitense la capacità di "agire politicamente misurandosi con il reale del momento storico presente", di "rispondere a ciò che accade" anche a costo di dover "rompere con un certo orizzonte di sapere, di norme e di valori" decostruendo l'abituale discorso progressista e reinventando la democrazia. Questa reinvenzione passa attraverso l'elaborazione di un nuovo paradigma politico, giuridico e militare che l'autore chiama, appunto, stato di legittima difesa e che la cui articolazione comprende la dichiarazione di uno stato di emergenza, il rafforzamento del potere esecutivo, l'uso della forza letale (nella forma privilegiata dell'omicidio mirato, eventualmente anche preventivo) contro un nemico assoluto (Carl Schmitt) che deve essere annientato in una guerra apparentemente permanente.
A meno di non giudicare il terrorismo una strategia di lotta legittima, argomenta Regazzoni, non è possibile attribuire al terrorista la qualifica di combattente per la libertà (freedom fighter); gli spetta, piuttosto, quella di nemico combattente (enemy combatant) o combattente illegittimo (unlawful combatant) o ancora nemico combattente non privilegiato (unprivileged enemy belligerant), designando in ogni caso il suo statuto come al di là del civile e del militare. È necessario, invece, abbandonare una certa cultura delle scusanti e delle giustificazioni tipica degli anni Sessanti e Settanta e riconoscere il terrorista quale "minaccia assoluta" e "male assoluto", quale "nemico trascendentale della democrazia", perché "incorpora in sé lo spettro del weapons of mass destruction", dell'arma terrificante che viene dall'avvenire, lo spettro del peggio a venire (Jacques Derrida), perché "minaccia la democrazia in quanto spazio di apertura all'Altro". Per annientare un tale nemico assoluto occorre "una guerra legittima di difesa ossessionata dallo spettro della distruzione totale a venire" (ossessione e forse una certa paranoia che non sono mali ma spinte immunitarie della democrazia); guerra che possiede la qualità ideale di essere perpetua, di non poter essere vinta e perciò di non dover essere mai terminata (Peter Sloterdijk), così da decostruire l'opposizione tra guerra e pace.
La forza letale-vitale di legittima difesa che tale guerra dispiega dispone di non convenzionali ma necessarie e appropriate strategie quali la prevenzione contro minacce imminenti e future (pre-emption e prevention), l'attacco anticipato (strike first, anticipatory attack), la pianificazione su larga scala e lungo periodo delle operazioni di omicidio mirato (targeted killing, kill list).
Ora che la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt appare come nuovamente invertita (Slavoj Žižek), Obama per Regazzoni è quindi "il nome di questa forza letale-vitale di legittima difesa della democrazia, di questa forza della democrazia che dà il meglio di sé facendo appello al proprio rimosso" (cioè l'uso della forza letale, una forza crudele e disumana ma al contempo giusta), di questa forza che non è "un fenomeno transitorio legato a una situazione di emergenza ma l'invenzione di un nuovo paradigma della democrazia".
Il rimosso che ritorna con Obama è anche quello della giustizia come vendetta, riparazione di un torto, momento catartico: torna quello "spettro che ossessiona il potere americano" che è la pulsione eroica che minaccerebbe la democrazia. Questa riattualizzazione "di una certa forma di violenza - al contempo assolutamente crudele e giusta - incarnata nella figura del giustiziere", porta Regazzoni a trattare nell'ultimo capitolo del suo saggio la trilogia che Christopher Nolan ha dedicato a Batman, il Cavaliere Oscuro (Dark Knight), saga cinematografica assillata proprio dallo spettro del peggio a venire, dell'imminenza "di un avvenire peggiore di tutto quello che è già accaduto". 
Le pellicole di Nolan rappresentano il montaggio e messa in scena della risposta attraverso una forza di legittima difesa a tale infestante spettro (dell'annientamento di Gotham attraverso armi di distruzione di massa), incorporato nel trauma dell'omicidio dei genitori del piccolo Bruce Wayne, e al contempo dei "rischi autoimmunitari di questo dispositivo eccezionale di difesa che rischia sempre di sopprimere ciò che vorrebbe salvare". Il corpo del Cavaliere Oscuro si presta quale trasfigurazione cinematografica di questo lavoro sul dark side della politica, di questa "pulsione eroica incriptata al cuore della democrazia" che non va esorcizzata come fascista (pur rimanendo "il fascismo una delle sue pericolose declinazioni possibili") ma pensata "in termini politici come forza, al di là della legge, di difesa della democrazia nel contesto di un nuovo tipo di guerra", come supplemento di forza insieme fuorilegge e al servizio della legge, che la sospende e conserva a un tempo, che la minaccia e protegge, come "una giustizia - al di là della legge - che coincide con la salvezza, con la salvezza della democrazia".
Il saggio di Regazzoni ha l'audacia di pensare tutto ciò, di non limitarsi a criticare la guerra. Regazzoni ha l'indubbio merito di non essere un pensatore pusillanime, di non cercare nel politicamente corretto l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a farsi carico di pensare un fenomeno come la guerra al terrorismo nella sua dimensione perturbante.



sabato 3 novembre 2012

dell'eroismo e del godimento

Comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale. Insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller. Ecco quelli che sembrano essere i caratteri del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, del vero eroe, tracciati da Simone Regazzoni nel suo ultimo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi.
Contro una pussy generation, una generazione di femminucce e pusillanime, che trova nel politicamente corretto niente altro che l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a «farsi carico dell’etica nella sua dimensione perturbante e conflittuale: la dimensione dell’eroismo», appunto; contro il buonismo morale di quello che può essere chiamato "l'idiota della morale", ligio alla Legge e al dovere, preoccupato di venire sempre e comunque a patti con il mondo e con gli altri, di restare all'interno della moralità di branco, delle buone maniere, regole e norme sociali; contro la risposta reattiva alle trasformazioni in corso oggi – lette come catastrofi e apocalissi –, risposta consistente nell'«intento di ricostruire le fondamenta del mondo perduto: la Morale, il Padre, la Comunità, la Verità, la Realtà – e altre buone cose di pessimo gusto (i grandi ideali moderni) che costituiscono la cifra di un tono vintage adottato recentemente dall’intellighenzia cosiddetta colta incapace di elaborare il lutto per il crollo dell’ancièn regime della modernità» e in grado, invece, di produrre solo un discorso che oscilla tra invettiva moralistica e lamentela senza però mostrarsi all'altezza di rispondere alla complessità della situazione; nel suo saggio sull'etica dell'eroismo, Regazzoni non ha né sensi di colpa né vergogna nello sparare – con una .44 Magnum – contro tutto questo, facendo fuori l'idiota della morale e proponendo, al suo posto, un'etica dell'eroismo e del godimento.
Un'etica eroica è una forma di "morale superiore" che non tenta di addomesticare e asservire la virtù del coraggio  – incarnata dall'eroe – all'idea di bene della comunità, che non accetta le parole del Superman tratteggiato da Frank Miller nel suo Il ritorno del Cavaliere Oscuro, secondo cui «noi che viviamo nel mondo degli uomini dobbiamo considerare il bene comune e venire a patti con lo stato delle cose», perché «è proprio quando si agisce in nome del bene, di un supposto bene universale o dell’altro, quando si vuole realizzare il bene, che il male è pressoché assicurato». Quello su cui riflette Regazzoni è, al contrario, «un eroismo senza una Causa per cui combattere, che non chiede sacrifici per il bene comune, il bene dell’altro, la patria, l’umanità intera». Un eroismo non messo al servizio del legale rappresenta il fondamento di un'etica non essenzialmente e meramente restrittiva, proibitiva, ma di una, invece, che sappia misurarsi con il suo aspetto potente e creativo. Questa creatività dell'atto etico presuppone la capacità dei suoi eroi di fare uso di quelle che in Critica della ragion cinica Peter Sloterdijk definisce come brevi e telegrafiche ricette linguistico-comportamentali grazie a cui si può dire di 'no' al momento giusto e restare liberi e non divenire dei socializzati integrali: ‘embe’?’ e ‘perché no?’(ecco il let's go / why not? del film Mucchio selvaggio) sono due esempi. Questo rifiuto fa sì che l'etica dell'eroismo non abbia in sé nulla di rassicurante o edificante, ma anzi presenti tratti di perturbante e fa sì, quindi, che gli atti di questi eroi possano sembrare ed evocare il male, l'al di là della Legge, la trasgressione, il crimine, mostrandosi, «come minimo, insensibili alla richiesta etica del volto Altro di fronte al quale, all’occasione, sembrano disposti, come Lacan, a mostrare il tirapugni – o il coltello per lo scalpo» come i Bastardi senza gloria del film di Tarantino.
Ma questo rifiuto, questa necessità di essere criminali rivendicata dal Batman di Miller, è anche l'unico fondamento possibile per «ogni atto genuino, ogni atto che non sia solo agitazione, movimento, scarica motrice, ogni atto vero, ogni atto che segna, che conta» (Jacques-Alain Miller, Vita di Lacan), che risulta essere, quindi, trasgressione, infrazione, superamento di un codice, di una legge, di un insieme simbolico. Gli eroi presentati da Regazzoni, quindi, sono l'espressione di «una straordinaria possibilità per l’affermazione di nuove pratiche di libertà e di azione – al di là dei limiti della morale e delle vecchie ideologie moderne di cui oggi si lamenta la scomparsa».
Se a muoverli, però, non è il Bene, la Legge, una Causa, è perché quello che nell'etica dell'eroismo è messo in gioco è solo il proprio singolarissimo godimento. Un'etica dell'eroismo è un'etica del godimento. Esso «non ha nulla a che fare con il nostro piacere, la nostra felicità, il nostro benessere o il nostro personale interesse. Il godimento, nella sua portata etica, è qualcosa come un desiderio fuori-norma, fuori-Legge. Un desiderio assoluto e pericoloso, eccessivo», una Cosa oscura che alimenta l'eroismo. Eroismo che assume, allora, il significato di non cedere sul proprio desiderio assoluto come godimento, di essere se stessi, fedeli a se stessi, o, in termini nietzschiani, di diventare ciò che si è senza cercare alibi. Questi eroi non mettono in atto pratiche di rinuncia e sacrificio, non sono asceti, e cifra di questo eroismo del godimento che si nutre e si alimenta dell'eccesso è il cibo – l'hot dog dell'ispettore Callaghan o il bulimico Po di Kung Fu Panda
Questi eroi sono, però, esclusi dalla comunità, sono singoli, folli:  Batman custodisce in sé una Cosa oscura, una "creatura" che ringhia, si contorce e vuole tornare in libertà, ma per lui non esiste nessuna Causa, «solo la propria singolare, oscura, ossessione. Batman rinasce come il Cavaliere Oscuro proprio perché, a differenza di Superman, è un eroe senza Causa, fedele solo alla sua ossessione, alla sua Cosa oscura. In altri termini: al suo godimento, al di là della Legge». E quando indossa la maschera, egli ci fa vedere, ci rende visibile la Cosa-Altro, oscura, notturna, primordiale, che lo abita e lo assilla e lo decide come eroe. «Batman è il divenire eroe come divenire-pipistrello, divenire extra-umano del soggetto. La Cosa oscura ha una dimensione animale, extra-umana o inumana. Ma ciò significa che l’eroismo del godimento non è propriamente umano, perché spinge il soggetto fuori dall’orizzonte simbolico dell’umanità. Batman, supereroe senza nessun potere particolare, non è semplicemente un uomo travestito da pipistrello; bensì un uomo-pipistrello, un uomo che mette in gioco la Cosa oscura inumana o extra-umana, un uomo che si spinge oltre i limiti dell’umano: un Übermensch, potremmo dire con una famosa formula di Nietzsche che designa precisamente un andare al di là dell’umano. La Cosa oscura non ha nulla di rassicurante: il divenire-pipistrello come divenire-eroe del soggetto è già, anche, un divenire-mostro e criminale».
Anche Dirty Harry e il maniaco omicida, in fondo, si distinguono solo per il distintivo.



 

sabato 21 aprile 2012

l'urlo


martedì 17 aprile 2012

liberatore o terrorista

Ma cos'è Joker nel film di Christopher Nolan Il Cavaliere Oscuro? Cos'è Joker, con il suo desiderio di svelare la verità sotto la Maschera, convinto che questo distruggerà l'ordine sociale? È un liberatore o un terrorista?





domenica 1 aprile 2012

il cavaliere oscuro e la filosofia

Il volume Batman and Philosophy è probabilmente uno dei migliori della serie Pop Colture and Philosophy che io abbia letto, sia probabilmente per una mia personalissima predilezione per questa creazione fumettistica, sia però anche per una innegabile affinità tra il Cavaliere Oscuro e le sue storie e alcune tematiche e tonalità emotive tipicamente filosofiche.
Nella prima parte del testo gli autori si interrogano sul quesito se il Cavaliere Oscuro agisca sempre bene. Perché, ad esempio, Batman non uccide il Joker? “Lasci morire tante persone perché non ne uccidi una?”, chiedono Jason Todd e Hush a Batman. L’argomento in favore dell’uccisione del Joker sarebbe tipicamente utilitarista, ma i supereroi in genere non sono utilitaristici. Come si può essere sicuri che ucciderà ancora, e quindi che si stanno salvando delle vite? Sarebbe lecita una sorta di pre-punizione come quella narrata nelle vicende di Rapporto di minoranza da Philip K. Dick. Altre possibili questioni poste sono se sia giusto o meno formare e addestrare un Robin, se l'odio di Batman verso i cattivi possa essere definito virtuoso – egli si preoccupa che possa piacergli troppo, procurargli soddisfazione personale e gioia, anche se al contempo lo porta a sacrificare cose essenziali alla felicità della vita.
Gli interventi della seconda parte sono incentrati sul rapporto tra legge, giustizia e ordine sociale. Nell'arco narrativo di No Man's Land (Terra di nessuno) – che segue Contagio e Cataclisma , in cui la situazione sembra quella dello stato di natura descritto da Hobbes, si mette in luce come il principale nemico di Batman sia il caos, l’anarchia, come egli si presenti quale il difensore dell’ordine sociale. Egli è anche, però, il simbolo della giustizia e dell’ordine al di là dei diritti e della legge, contro il monopolio dello Stato, quale detentore dell'autorità e della legge, dell’uso legittimo della violenza: ne Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller si afferma esplicitamente che “Un uomo è sorto per mostrarci che il potere è, ed è sempre stato, nelle nostre mani. Siamo sotto assedio – Ci sta mostrando che possiamo resistere”.
Nella terza parte del volume si affrontano i temi etici che stanno alla base delle origini del crociato incappucciato. Ad esempio, la promessa che è a fondamento delle origini di Batman, la missione assunta sui cadaveri dei propri genitori, fa sì che il suo desiderio non sia semplice vendetta, che sia meno personale, e lo porta, invece, ad assumere un ruolo analogo a quello svolto dal padre come medico, il tutto per assicurare un’eredità alle vite dei suoi genitori: il Cavaliere Oscuro non prova solo a distruggere le forze malvagie di Gotham, ma anche a costruire qualcosa, e questo scopo costruttivo lo distingue da altri eroi come il Punitore o Rorschach
Nella quarta sezione, invece, la domanda è sull'identità di Batman, interrogandosi ad esempio sulla decisione consapevole da parte di Bruce Wayne di creare l’identità di Batman, nata dall'incontro tra Bruce e il pipistrello e dalla scelta di abbracciarlo, che ricorda un po' la parabola del pastore e del serpente nello Zarathustra di Nietzsche,  oppure chiedendosi se Batman avrebbe potuto essere il Joker.
La quinta parte presenta un tono esistenzialista, affrontando i temi della morte, dell'angoscia e della libertà. Viene analizzato, ad esempio, il senso di colpa per la morte dei genitori provato da Bruce. Sentito come soffocante, esso inizialmente dischiude ad un livello fondamentale dell’esistenza come colpa dell’essere, a un senso di nullità. Questa fragilità ha però il potere di trasformare la vita: la colpa si trasforma da semplice biasimo a comprensione che ognuno è colpevole perché deve prendere una posizione e dare testimonianza su chi è e come vive. Scegliendo di liberare se stesso dalla tipica risposta alla sua personale tragedia, cioè rabbia cieca e vendetta, Bruce interpreta l’evento della morte dei propri genitori come un richiamo a ribellarsi contro una vita di vittimizzazione, commiserazione e cinismo. Così facendo Bruce redime una tragedia senza senso affrontando l’insensatezza della violenza in sé, così la colpa che inizialmente lo aveva condannato diventa un richiamo ad essere se stessi, e così Batman diventa l’autentica coscienza di Bruce, accettando che essere è essere ansiosi su chi si è.
Nella sesta ed ultima parte, infine, il tema è quello dei molti ruoli dell'Uomo Pipistrello. Si affronta il tema della natura dell'amicizia analizzando il rapporto tra il Cavaliere Oscuro e Superman. Superman e Batman sono amici, ma danno all’amicizia l’un per l’altro un diverso significato, poiché il primo ne ha un concetto che sembrerebbe ripreso da Aristotele (amicizia come rapporto tra due eguali, tra due uomini buoni che si amano puramente e semplicemente per quello che sono, per i rispettivi caratteri, spingendosi a migliorarsi  senza false adulazioni: se venisse il momento, Superman sa che Batman sarebbe l’unico ad usare volontariamente l’anello di kryptonite contro di lui, e questo anello è allora una testimonianza di questo aspetto dell’amicizia, che serve a mantenere Superman buono), mentre il secondo una visione più simile a quella nietzschiana fondata sul rispetto dovuto a un rivale, e considerando Superman un suo pari ma in quanto a potenza, ammirando in lui un monumento vivente di ciò che l’uomo potrebbe essere, ma a cui deve insegnare (e la lotta è il terreno migliore) a non credere alla propria invulnerabilità, a non essere arrogante, impartendogli la lezione imparata dall’assassino dei suoi genitori.

martedì 25 ottobre 2011

la lunga strada della vendetta

More about La lunga strada della vendettaVista la passione per Batman, visto che dopo Mucho Mojo volevo leggere qualcos'altro di Joe R. Lansdale, non ho potuto non intrattenermi con La lunga strada della vendetta. Una lettura leggera e piacevole, in cui emerge la figura del Cavaliere Oscuro così come piace a me, come una grande ombra piena di angoli acuti e nervature che emerge fulminea dall'oscurità del vicolo, come una chiazza di notte, un demone oscuro con le orecchie appuntite.


Le ombre si ammassavano ai suoi piedi e attorno al suo viso come un sudario. Il suo mantello volteggiava nella brezza come un brandello vivente di tenebra. Stava sorridendo. Sembrava folle. Scivolò verso l'uomo con un movimento così fluido che fu come vedere uno spettro sorvolare la terra. Come un rettile intento ad attaccare.

martedì 20 settembre 2011

revenge comics

Il classico tema del racconto di vendetta – rappresentato in film quali Kill Bill e Old Boy e in fumetti come la miniserie di Psylocke Kill Matsu'o (che ovviamente e postmodernamente strizza l'occhio al citato film di Tarantino) – è affrontato da Mark Millar nel suo Nemesis – dopo aver avuto una certa influenza anche nella saga Vecchio Logan, con Wolverine come protagonista – in maniera tale da decostruirne la tradizionale presenza che ha nel mondo dei fumetti. 
Batman dedica tutta la sua vita a combattere il crimine dopo l'omicidio dei suoi genitori e il Punitore è animato da origini e da una sete di vendetta simili  – seppur con meno scrupoli e paletti morali: in entrambi i casi l'idea è quella per cui la vittima di una violenza è dalla parte del giusto. Con Nemesis la prospettiva appare capovolta, rovesciata: il protagonista della storia di vendetta è un supercriminale internazionale, intento a sfidare i più abili poliziotti del mondo. 
Violenza, humor, sequenze cinematografiche e, appunto, filosofico lavoro di decostruzione. Sempre ottimo Millar.

lunedì 2 maggio 2011

oltre la maschera: il segreto delle identità segrete

Superman non mira a proteggere il mondo come un alieno, o come il Dr. Manhattan di Alan Moore (Watchmen), in tutta la sua distante alterità, non vuole essere un dio alla Aristotele, un motore immobile del mondo, isolato nella sua autonoma indipendenza. Egli desidera una connessione esistenziale con gli uomini, vuole proteggerli come uno di loro. La sua identità segreta come Clark Kent non è un normale stratagemma da supereroe, uno strumento o un’arma in più, ma rappresenta una parte cruciale della reale ricerca di Superman di vivere l’avventura umana e vegliare sull’umanità dall’interno.
Batman ha iniziato la sua vita come Bruce Wayne, e solo dopo è diventato il Cavaliere Oscuro, ma questa seconda identità non è sorta da un qualche tragico incidente che ha misteriosamente comportato l’acquisizione di superpoteri, bensì da anni di sforzi intenzionali e dolorose trasformazioni. Batman è totalmente concentrato e dedito a combattere il crimine e l’identità del ricco Bruce Wayne è un mero espediente utile per portare avanti una vita da vigilante e supereroe. L’immagine di Bruce Wayne sembra essere diventata la vera maschera.
In entrambi questi casi, una dualità ha rimpiazzato una singolarità ma implicando una nuova unità in fusione, un nucleo di identità accresciuto in qualcosa di più complesso e interessante. L’identità personale non è qualcosa di così diretto e immediato come si potrebbe essere tentati di supporre. Il nucleo della nostra identità può crescere, svilupparsi, assumere nuovi elementi che ci rafforzino. Ogni maschera lascia una traccia nella persona che la indossa, e ogni maschera può diventare più reale di quanto immaginavamo. Chi siamo è sempre una questione di come agiamo e ciò che diventiamo è il risultato delle attività in cui ci impegniamo giorno per giorno.

(da Tom Morris, What's behind the mask? The secret of secret identities, in Superheroes and philosophy

martedì 26 aprile 2011

da grandi poteri derivano grandi responsabilità

Secondo una prospettiva utilitaristica la giustezza o meno di un’azione è determinata interamente dalle sue conseguenze: nello specifico è determinata dalla quantità di bene  e di felicità prodotta dall’atto mediamente, non solo per la persona che lo ha compiuto. Si tratta di massimizzare il piacere e minimizzare il dolore. In accordo con questa filosofia, gli individui dotati di superpoteri hanno il dovere morale di essere supereroi: Peter Parker è obbligato ad essere Spider-Man, perché la possibilità di grande dolore personale è compensata dal bene che la sua attività da supereroe produce nel mondo.
Ma può essere vero che Peter Parker è obbligato ad essere Spider-Man, anche a qualunque costo personale? L’utilitarismo non riesce a dar conto degli atti supererogatori, che vanno al di là del richiamo del dovere, atti che è bene compiere ma che non è malvagio non compiere. Un altro problema dell’utilitarismo è il suo rapporto con la giustizia. In Joker: L'avvocato del diavolo, Joker si ritrova nel braccio della morte perché ritenuto colpevole di un crimine che non ha commesso. Batman sa che il Joker non ha commesso tale crimine, ha le prove per dimostrarlo: dovrebbe lasciare che il Joker paghi per un crimine che non ha commesso? Secondo una prospettiva utilitaristica sì, ma Batman si rifiuta di far giustiziare il suo nemico sulla base di un errore giudiziario.
Le teorie non-consequenzialiste, invece, negano che il valore morale delle azioni sia interamente determinato dalle loro conseguenze. Immanuel Kant ritiene che si debba agire per il dovere e che quindi siano le intenzioni ad avere un ruolo cruciale nel determinare il valore morale di un’azione. Kant, in una delle sue tre formulazioni dell’imperativo categorico che dovrebbe essere la guida delle nostre azioni morali, esprime la necessità di trattare gli altri esseri umani sempre come fini e mai unicamente come mezzi, ponendo una maggiore enfasi sull’importanza di non trattare mai gli individui come semplici mezzi che su quella di trattarli come fini in se stessi. Così, i non-consequenzialisti distinguono  tra doveri negativi e positivi, ponendo una maggiore enfasi su quelli negativi, e poiché questi sono più forti, ci è proibito adempiere ai nostri doveri positivi violando quelli negativi. Se nessun dovere negativo è violato dalla scelta di Peter Parker se essere o meno Spider-Man, entrambe le scelte sono moralmente ammissibili e optare per essere un supereroe è un atto supererogatorio, che va oltre il richiamo del dovere, e proprio per questo è ancor più degno di lode. La grande responsabilità che deriva dall’avere grandi poteri non è tanto il dovere di usare quei poteri come supereroe, quanto l’obbligo di non usarli a fin di male.
Un’altra questione che merita una riflessione è come, nella loro lotta al crimine, i supereroi dovrebbero interagire con la legge e le istituzioni che la applicano. Batman non è un ufficiale di polizia: non ha mandati per irrompere nei covi dei criminali, usa tattiche di intimidazione fisica per ottenere informazioni, spesso arresta criminali senza avere prove legalmente sufficienti contro di essi e certamente non legge loro i propri diritti. Dovrebbe e potrebbe Batman fare queste cose? Come mostra l’esame della prospettiva utilitaristica, delle azioni che producono il bene più generale potrebbero ancora essere ingiuste. I supereroi non dovrebbero avere delle esenzioni speciali, a meno che non pensiamo che anche gli agenti di polizia dovrebbero averle: il potere da solo non giustifica uno speciale trattamento legale. Delle esenzioni dalla legge potrebbero essere ammissibili se queste leggi non esprimono i nostri doveri negativi, che sono i più importanti doveri morali che abbiamo: potrebbe essere possibile esentare Superman dal rispetto di una zona interdetta al volo, o Batman da quello del codice della strada (la batmobile va piuttosto veloce), ma non è ammissibile esentarli dalle leggi che esprimono i nostri doveri negativi fondamentali.

(da Christopher Robichaud, With great power comes great responsibility: on the moral duties of the super-powerful and super-heroic, in Superheroes and philosophy)

mercoledì 13 aprile 2011

aristotele e gli amici del cavaliere oscuro

Nell’Etica Nicomachea Aristotele fa un’affermazione che è stata utilizzata da Jeph Loeb nella sua saga di Batman intitolata Hush: «Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche avesse qualunque altro bene». Bruce Wayne è un miliardario la cui vita è assolutamente piena di beni materiali. Ma anche lui ha bisogno di qualcos’altro.
Il concetto greco di amicizia è un po’ più vasto della categoria relazionale cui si fa adesso riferimento con quel termine. Aristotele sostiene che esistono tre differenti tipi di amicizia. Un’amicizia di utilità, in cui per entrambe le parti in causa deriva un beneficio pratico dalla relazione, che è stretta proprio per quel beneficio. Un’amicizia di piacere, fondata su un mutuo godimento tratto dalla compagnia l’un dell’altro. Un’amicizia perfetta o completa, un’amicizia di virtù, stretta tra persone veramente virtuose, unite da ciò che è bene e che sono tra loro dei pari, senza interessi egoistici e con, invece, l’altruismo che fa volere di donare all’altro e vederlo fiorire: «Un anima in due corpi».
Il rapporto tra Batman e Robin contiene evidentemente degli aspetti di un’amicizia di utilità e piacere, ma manca di una certa egualità o bilanciata reciprocità: infatti, Robin decide di assumere una nuova identità come Nightwing e lasciare sia Batman sia Gotham City. Così può nascere una nuova forma di amicizia fra pari, o quasi pari, basata primariamente sul piacere e volta nella direzione di un’amicizia completa – pur se non sembra mai arrivare alle altezze di un tale livello. Il rapporto tra Harvey Dent e Batman si sviluppa come un’amicizia di utilità, prima che un tragico evento mandi le cose in tutt’altra direzione. Anche il rapporto col tenente di polizia James Gordon è un esempio di amicizia di utilità. Mentre il rapporto con Catwoman è chiaramente un’amicizia di piacere. Con Alfred è forse il forte senso di missione provato da entrambi ad impedire alla loro amicizia di essere del più alto livello: Alfred è devoto nel suo essere il maggiordomo, e Bruce sarà quindi sempre il signore, così che l’egualità non potrà mai essere raggiunta.
Tutti questi sono amici di Batman, ma qualcuno riesce a soddisfare i requisiti per la più elevata forma di amicizia? Nel diventare Batman, Bruce Wayne ha sacrificato alcune cose, una delle quali è la possibilità di donarsi interamente a un’altra persona. Aristotele ha detto che gli uomini buoni, in un certo senso, sono amici a se stessi. Se c’è una specie di amicizia perfetta disponibile per Bruce, o Batman, è forse questa, la solitudine della relazione con se stesso. Non un’anima in due corpi, ma un’anima in due identità.

(da Matt Morris, Batman and friends: Aristotle and the Dark Knight's inner circle, in Superheroes and philosophy)


martedì 12 aprile 2011

barbara gordon e la perfettibilità morale

La storia di Barbara Gordon illustra i temi chiave della perfettibilità morale, teoria filosofica rintracciabile ovunque ci siano vicende relative al progresso morale di individui. Il tema centrale della perfettibilità morale è che il sé può migliorare e che una vita veramente morale è quella in cui il sé tenta continuamente di progredire. Altre tematiche riguardano il ruolo che i modelli e gli amici giocano nella propria ricerca di un progresso morale, e i continui pericoli di un inappropriato conformismo nella propria avventura morale, nello sviluppo di un sé morale ben distinto.
In Batgirl: Anno uno, abbiamo un accesso diretto ai pensieri di Barbara Gordon: «Voglio entrare in azione. Qualcosa che mi faccia uscire da dove sono, da dove non voglio essere». Questo momento nella vita di Barbara è accostabile a un passaggio del saggio Sulla libertà del filosofo John Stuart Mill: «In questi tempi, dalle classi più alte alle più basse della società, ognuno vive come sotto l’occhio di un ostile e terribile censore. Non ci si chiede cosa preferisco? Cosa si adatta al mio carattere e alle mie attitudini? Cosa permetterebbe al meglio che c’è in me di avere spazio e possibilità per crescere e prosperare?». La via di uscita da questa condizione meno che desiderabile è porre attenzione ai propri desideri. Barbara Gordon chiaramente fa esperienza di una pressione a conformarsi a ciò che suo padre vuole e che la società in generale si aspetta da una giovane donna della sua età, e trova questa condizione indesiderabile: «Devo trovare un altro cammino. Indovinare il mio proprio futuro, uno unicamente mio. Non una pagina del libro di un altro. Posso diventare qualcosa di più, qualcosa di più alto. Uscita dal guscio in cui ero, emergerò migliore. Mi alzerò con nuove ali. Come una falena, o un pipistrello».
Barbara ha bisogno, come tutti, di un modello, un paradigma, un mentore che la aiuti a rappresentarsi chi è, o meglio chi vorrebbe essere. Il ruolo di un modello nella ricerca per una vita morale ha una lunga storia che può essere fatta risalire almeno a Socrate e ai suoi seguaci. Questi erano essenzialmente giovani che percepivano nella vita di Socrate un orientamento verso il bene verso cui anche loro erano trascinati. Ma ci sono dei pericoli nel basarsi su un simile rapporto. Fondamentale è che il modello non deve essere emulato. Friedrich Nietzsche nel suo saggio su Schopenhauer come educatore afferma: «È difficile creare in qualcuno una condizione di intrepida autoconoscenza perché è impossibile insegnare l’amore; perché è solo l’amore che può concedere all’animo non solo una visione chiara, discriminante e auto-sprezzante di sé, ma anche il desiderio di guardare oltre se stesso e ricercare con tutte le proprie forze un più alto sé ancora celato». Ricercare un sé più alto ma ancora celato è esattamente ciò che Barbara Gordon sta facendo. La parola iniziale di Batgirl: Anno uno è “maschere”. La maschera rivela l’identità. La maschera metaforica che indossa all’inizio è precisamente quella che nasconde il suo più alto sé. È ciò che potremmo chiamare la maschera da “Barbara Gordon”, il guscio che circonda la bibliotecaria e nipote del tenente James Gordon. È solo quando indossa la maschera da Batgirl che inizia il suo viaggio verso un più alto sé, il sé futuro, quello che non conosce ancora. È in Batman che Barbara cerca un riconoscimento, gli chiede di accettare il suo desiderio per un sé migliore. Ha bisogno che il suo desiderio venga riconosciuto, ha bisogno di sapere che esso ha un senso per gli altri come sorta di conferma che ne abbia per lei. Allo stesso tempo, mentre è chiaro che Batman è il suo modello, è altrettanto chiaro che il cammino individuale di Barbara non può essere semplicemente una copia di quello di Batman. il percorso di ognuno deve essere radicato nelle esperienze e nei desideri individuali, e il ruolo di Batman come modello è quello di rimandare indietro a Barbara l’immagine della legittimità e della specificità del suo proprio desiderio per un sé migliore.
Sarebbe un malinteso, però, ritenere che esista un unico giusto sé, un unico sé più alto e migliore che è l’obiettivo finale della ricerca, che la ricerca possa finire, il gioco terminare. Perché tanta gente dovrebbe lottare con forme inappropriate e in autentiche di conformismo se la genuina individualità fosse così chiara e semplice da raggiungere? Barbara – anche una volta divenuta Batgirl – riconosce che il sé che spera di raggiungere, che è in cammino per raggiungere, è provvisorio. L’ultima frase di Batgirl: Anno uno esprime la fragilità del presente e ironicamente presagisce il futuro: «Nonostante il mio grande e immutato rispetto per gli oracoli, ho deciso di rinunciare a predizioni e portenti. C’è ciò che potrebbe essere e c’è la vita che conduco in questo momento». In Oracle: Anno uno, Barbara inizia il lungo processo di recupero dalle ferite inferte dal Joker – sulla graphic novel di Alan Moore The Killing Joke – al suo corpo e alla sua mente e di trasformazione in Oracolo, e questo passa necessariamente attraverso un allontanamento da Dick Grayson, precedentemente assistente di Batman come Robin che ha ora assunto la nuova identità di Nightwing. Barbara decide che non può più vederlo, avendo compreso che Dick è diventato semplicemente un altro Batman. Barbara ha diagnosticato la possibilità latente in una versione deformata della perfettibilità morale, quella in cui la ricerca per un sé più alto si trasformi nel divenire niente più che una semplice copia del sé più alto di un’altra persona. Vedere Nightwing non smette di ricordarle ciò che era prima, le presenta qualcosa come un modello retrogrado che la spinge indietro verso il cammino passato. Così Barbara riconosce il modo in cui il passato stesso può intrappolarci in una sorta di conformismo, o ciò che John Stuart Mill chiamava un costume, uno schema  abituale.
A volte non è il riconoscimento e la guida di un modello ciò di cui abbiamo bisogno, ma qualcuno che semplicemente ascolti i nostri tentativi di capire noi stessi, di arrivare a una qualche misura di autocoscienza. Un amico è precisamente quella persona che in ogni momento sa accompagnarti nel tuo viaggio ascoltandoti con orecchie limpide, incoraggiandoti e supportandoti quando è ciò che ti serve. L’amicizia stimola a migliorare, spinge nella direzione della crescita, verso un sé non raggiunto ma raggiungibile.

(da James B. South, Barbara Gordon and moral perfectionism, in Superheroes and philosophy)

 

sabato 2 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (2di2)

La narrazione di Watchmen (1986-87) di Alan Moore analizza le ramificazioni psicologiche, etiche e politiche del vigilantismo. Una delle maniere in cui Watchmen ci obbliga a ripensare i supereroi è ritraendone diversi come psicologicamente problematici. Rorschach, per esempio, è rimasto traumatizzato da un’infanzia abusata. Egli è assolutamente crudele nella sua volontà di usare la violenza per combattere il crimine, eppure il suo impegno per la giustizia sembra reale e senza compromessi. È stato l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto sotto gli occhi di trentotto testimoni che sono rimasti a guardare senza fare nulla mentre veniva pugnalata a morte in un luogo pubblico, a stimolare Rorschach all’azione, farlo vergognare dell’umanità e ispirarlo a indossare una grottesca maschera con macchie d’inchiostro, «una faccia che potesse sopportare di guardare allo specchio». Diversamente da Superman e Spider-Man, né Rorschach né Batman possiedono superpoteri. Eppure scelgono di votare le proprie vite a combattere il crimine. Sono psicopatici guidati dalla vendetta, oppure ognuno di noi che prende le distanze da loro dovrebbe essere considerato come quegli ordinari mostri che sono stati i vicini di Kitty Genovese, la cui complicità nell’orrore consiste in un’assoluta inazione? O potrebbero entrambe queste ipotesi essere vere? L’epigrafe al capitolo VI di Watchmen è un aforisma di Friedrich Nietzsche: «Chiunque combatta i mostri deve stare attento che nel farlo non diventi egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te» (Al di là del bene e del male). Hanno Rorschach o Batman fallito nel seguire questo avviso? O è il resto di noi ad essere troppo conservatore, troppo spaventato, o troppo debole per prendere il nobile rischio di affrontare i mostri? L’atteggiamento fondamentale dei supereroi sembra essere che, al contrario di quanto sostenuto da Locke, è diritto di tutti, se non dovere, combattere il crimine, e fare tutto il possibile per ricercare la giustizia per noi stessi e la nostra comunità. Spider-Man notoriamente riconosce che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», ma Rorschach ci mostra che il “potere” di combattere il crimine è più che altro una questione di volontà, di scelta, che sembra comportare una grande responsabilità per noi tutti.
Un altro personaggio di Moore è Ozymandias, un individuo chiaramente megalomane che prende niente meno che Alessandro Magno come modello personale. Egli organizza una finta intrusione aliena a New York comprendente un’esplosione che sa ucciderà milioni di persone. La sua spiegazione è che l’improvvisa apparizione di una minaccia aliena che mette a rischio la vita umana spingerà tutte le altrimenti bellicose nazioni verso una pacifica collaborazione contro il nuovo nemico comune. Il piano ordito da Ozymandias ha successo. La questione che viene posta non è semplicemente se Ozymandias sia impazzito o divenuto malvagio, o entrambe le cose. Bisogna chiedersi se qualcuno nella sua posizione potrebbe mai aver diritto a fare qualcosa di analogo. Bisogna inoltre confrontarsi con la questione se chi si dissocia da una tale azione potrebbe a sua volta essere in qualche modo biasimato per essere troppo debole da fare ciò che sarebbe necessario per salvare il pianeta. Questo uomo, questo supereroe intelligente e popolare, è diventato un mostro, o è solo un saggio incompreso? È lo sconnesso e trasandato Rorschach – che a questo piano ha tentato di opporsi – un testardo, a causa della sua ossessiva fissazione su ciò che considera essere giusto, o ha ragione nel rifiutare l’etica utilitaristica usata per razionalizzare l’omicidio di milioni di persone? Moore e Miller ci obbligano a rivedere il nostro sguardo sui supereroi, e in ultima analisi anche quello su noi stessi e il nostro ruolo nel mondo.
È la prospettiva olimpica, con cui una persona si posiziona sopra gli altri come giudice di come e se dovrebbero vivere, buona e ragionevole per progettare un’azione nel mondo? Un uomo, che potrebbe essere dai suoi poteri, intelligenza e posizione, inclinarlo ad essere grandiosamente interessato al “mondo”, potrebbe essere ritenuto affidabile nel fare la cosa giusta per gli individui nel mondo? Uno dei principali pericoli affrontati da ogni supereroe consiste proprio in questo: la limitazione di ogni prospettiva in un mondo immensamente complesso, la potenziale inesattezza di ogni credenza anche attentamente formata, e la legge delle conseguenze involontarie, potrebbero facilmente destinare i tentativi di un vigilante alla perpetrazione di tremendi disastri piuttosto che all’ottenimento di una giustizia cosmica, e questo mina l’intero concetto di supereroe. Siamo preparati a fare tutto il possibile, in modo ordinario, per rendere il mondo tale da non aver bisogno della salvezza straordinaria di un qualche supereroe che agisca al di là dei limiti di ciò che riteniamo essere moralmente accettabile? Alan Moore lancia la responsabilità del senso e della giustizia su di noi, mostrandoci cosa potrebbe succedere se abdicassimo questa responsabilità, lasciandola a pochi, o a chiunque volesse usurpare a tutti gli altri il diritto di decidere come essere protetti e tenuti in salvo.
La revisione dei supereroi nelle opere di Moore e Miller ci obbliga a ripensare la nostra etica, il nostro ruolo nel mondo, la nostra visione della legge e dell’ordine sociale. Moore e Miller ci chiedono di guardare nell’abisso e usarlo come specchio per guardare dentro di noi più chiaramente.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


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