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lunedì 14 luglio 2025

fascismo liberale

Il volume Trump e il fascismo liberale raccoglie e riunisce una serie di scritti di Slavoj Žižek composti tra il giugno 2024 e l'aprile 2025 e dedicati alla figura di Donald Trump e al concetto di fascismo liberale. Quello che sembra essere descritta e analizzata è l'emersione di un progetto politico che punta a ridefinire l'ordine geopolitico mondiale secondo una nuova logica di potenza, scavalcando le mediazioni diplomatiche e le forme multilaterali. Trump non sarebbe allora un imprevedibile outsider - come magari nel 2016 - ma il sintomo maturo di una trasformazione strutturale dell'ordine politico occidentale: dagli attacchi alla stampa al rifiuto di ogni mediazione istituzionale, fino alla normalizzazione di pratiche apertamente autoritarie, il femonemo trumpiano non appare dunque come eccezione ma come forma estrema di ciò che è già diventato norma. Trump non è allora una frattura rispetto all'ordine liberale, ne è piuttosto la radicalizzazione grottesca: libertà come obbedienza volontaria, eccesso come autenticità, violenza come diritto. Perché liberalismo e fascismo funzionano assieme, sono le due facce della stessa medaglia, e l'autoritarismo di Trump è anche il sogno di consentire al mercato di funzionare liberamente nella sua forma più distruttiva, nel più brutale perseguimento del profitto e nel discredito per ogni moderazione etica.

Trump è un leader iperpresente, la cui autorità si fonda sulla volontà, e che disprezza apertamente la cultura, ed è proprio questo teatro ribelle, antisistema, a costituire per molti il punto principale d'identificazione. Ecco perché gli insulti seriali di Trump e le sue menzogne plateali, per non parlare del fatto che sia un criminale condannato, funzionano a suo favore: il suo trionfo ideologico sta nel fatto che i suoi seguaci vivono la propria obbedienza come una forma di resistenza sovversiva. Si può sostenere un leader fascista in ascesa con un atteggiamento di totale obbedienza e sentendosi allo stesso tempo radicali.
Trump non prova nemmeno a mascherare le contraddizioni o i continui cambiamenti di posizione: giorno dopo giorno, dice di getto ciò che gli passa per la mente come risultato della sua pienamente consapevole assunzione del ruolo di Maestro al di là della legge e della logica, un maestro che afferma il proprio potere cambiando continuamente ciò che sostiene. L'opacità assoluta di questi atti rende la sua autorità assoluta.
Lo stile della performance pubblica
di Trump - dire qualunque cosa gli passi per la testa, insultare, infrangere ogni regola di buona educazione - non ha nulla di liberatorio, ma serve solo a rafforzare l'oppressione e la mistificazione sociale: le vere questioni politiche, economiche e ideologiche sono più invisibili che mai. Il problema non è che Trump sia un clown, il problema è che dietro le sue provocazioni c'è un programma, c'è un metodo nella sua follia. Le sue oscenità sono parte di una strategia populista per vendere questo programma fatto di tagli alle tasse per i ricchi, meno sanità e protezioni per i lavoratori ecc
Trump promette libertà, deregolamentazione, più, ovviamente, l'assenza di libertà per chiunque critichi la sua politica, stabilendo ciò che si può definire totalitarismo liberale. Proprio perché il limite istituzionale della nostra libertà è la forma stessa della nostra libertà, conta come questo limite è strutturato, qual è la forma concreta di questo limite. L'inganno di chi detiene il potere consiste nel presentare la propria forma di questo limite come la forma della libertà in quanto tale, così che ogni lotta contro di loro appaia come una lotta contro la società libera in quanto tale. Trump presenta la sua forma di libertà come la forma della libertà in quanto tale, così che qualsiasi critica possa essere rappresentata come un attacco alla libertà stessa, ed egli avrebbe pertanto pieno diritto di difenderla da questi attacchi con ogni mezzo necessario, inclusi il licenziamento dei dissidenti, la loro esclusione dallo spazio pubblico o persino il loro arresto. La libertà trumpiana richiede così un intervento statale ancora più forte di quello invocato dalla cancel culture - di cui i trumpiani sono grandi oppositori -, finendo per fare esattamente la stessa cosa, in modo molto più brutale.

Il regno di Trump non rischia di portare a eventi catastrofici, ma - peggio - il rischio è che la vita continui passando però attraverso una serie di misure che minerà il patto sociale liberal-democratico trasformando il tessuto profondo che tiene insieme ciò che Hegel chiamava Sittlichkeit e Lacan il "Grande Altro": l'insieme non scritto di costumi e regole riguardanti cortesia, verità, solidarietà sociale, diritti delle donne ecc. Questo nuovo mondo apparirà come la normalità, e in questo senso il regno di Trump potrebbe davvero segnare la fine del mondo, di ciò che di più prezioso la nostra civiltà aveva costruito - e questo nuovo mondo sarà multipolare, nel senso che un pugno di Stati forti definiranno ciascuno la propria sfera di influenza e limiteranno la sovranità dei vicini più piccoli: una realtà che ricorda in modo inquietante 1984 di George OrwellIl discorso trumpiano rappresenta dunque una minaccia per la sostanza stessa della nostra vita sociale, contribuendo direttamente alla disintegrazione sociale. La mancanza di buone maniere esclude semplicemente l'altro dalla comunicazione.

Che fare? Secondo il filosofo sloveno, per quanto riguarda l'Europa, essa dovrà (ri)definirsi chiaramente - e qui già sorgono problemi con gli Stati e le forze populiste contrarie all'Europa unita e alla sua eredità emancipatrice. Di questa ridefinizione fanno parte anche l'autonomia militare e la riformulazione della sua politica economica in direzione di un maggior coordinamento e della pianificazione su ampia scala.
Per quanto riguarda la sinistra, il populismo trumpiano è una reazione allo Stato sociale liberal-democratico che si è avviato verso la propria autodistruzione (oltre che verso l'impotenza) nel momento in cui ha concentrato la propria attenzione sulle politiche identitarie: la pseudo-lotta di classe trumpiana è il ritorno del rimosso della sinistra liberal incentrata sulle identità. Il compito è dunque raccogliere gli obiettivi generali dalla sinistra, senza il suo spirito censorio e rancoroso, e dal populismo trumpiano, invece, la volontà irriverente di cambiamento, perché comunque solo attraverso un diverso investimento passionale può emergere qualcosa di nuovo.

venerdì 31 luglio 2015

letture di luglio

Viaggi, studio e caldo tolgono tempo ed energie per la scrittura, quindi solo un piccolo e breve resoconto delle letture mensili. Di alcune di esse, magari, ne parlerò più diffusamente il mese prossimo.

Classici della letteratura: La donna in bianco di Wilkie Collins, Henry James con Lo scolaro, La fiera delle vanità di William Thackeray, Samuel Richardson con Pamela, Passaggio in India di Edward Morgan Forster
E letteratura contemporanea con Neil Gaiman, The Ocean at the End of the Lane, The Silkworm di Robert Galbraith/J.K. Rowling.
Ancora Aristotele, questa volta con l'Etica Nicomachea. E, sempre in ambito filosofico, Slavoj Žižek con il suo ultimo Problemi in paradiso, Canone inverso di Tommaso Ariemma, Stefan Zweig con Il demone di Nietzsche e La porta stretta di Umberto Curi.
Perla del mese, la Star Wars Trilogy (ri)scritta in stile shakespeariano - quindi in pentametro giambico - da Ian Doescher.

martedì 31 marzo 2015

letture di marzo

Molto meglio del romanzo d'esordio, C.U.B.A.M.S.C., questa seconda prova d'autore di Marco Cubeddu, Pornokiller. L'arte scrittoria è stata meglio celata, il citazionismo postmodernista meglio amalgamato nella narrazione, gli eccessi prima stridenti sono stati limati, i personaggi risultano più credibili pur nella loro eccentricità ed estremizzazione. Una pecca, forse, l'eccessiva brevità.

Rimanendo in tema di trilogie, come il mese scorso: concludo con il libro 3 1Q84 di Murakami e con Il male non dimentica la trilogia del male di Costantini; continuo e concludo la saga di Dashner Maze Hunter con il secondo volume La fuga e il terzo La rivelazione; e inizio e concludo anche quella della Roth con Divergent-Insurgent-Allegiant. Murakami Haruki non è davvero al meglio di sé, ma resta in ogni caso un'ottima lettura. Roberto Costantini conclude ottimamente le vicende del suo commissario Balistreri, intrecciando ancora una volta passato e presente, rivelando inattese verità, mostrando prospettive inedite di eventi già narrati. La seconda parte delle avventure dei "corridori di labirinti" di James Dashner non decolla, è meno avvincente della prima, un mero intermezzo verso il finale (tanto perché si devono scrivere trilogie), e la terza e conclusiva non risolleva le sorti di una saga sfilacciata e incoerente, i cui unici elementi positivi sono le numerose morti e l'ambiguità morale. La saga di Veronica Roth, che potenzialmente poteva interessarmi maggiormente di quella di Dashner per i plausibili risvolti filosofico-politici, ha in maniera eccessiva i toni di un dramma adolescenziale.

Jo Nesbø mi piace sempre di più. La ragazza senza volto conferma la capacità dello scrittore norvegese di raccontare storie complesse e avvincenti, tessere trame rizomatiche e fatte anche di sentieri che si perdono o interrompono e false piste, costruire e far evolvere personaggi, affrontare temi. Harry Hole è un vero eroe, rotto dalle decisioni, un non-criminale per circostanze e sfumature, non un uomo retto per pigrizia ma capace, invece, di indagare la differenza e lo scarto tra giustizia e legge - pagandone le conseguenze in termini di responsabilità, colpa, ingratitudine. Non è solo un autore di thriller.

E ancora letteratura di genere e seriale, con EX² - Patrioti, di Peter Clines, seguito di Supereroi vs. Zombie che si rivela un po' meglio del primo capitolo e che lascia possibilità per eventuali seguiti; con la seconda avventura dell'agente segreto di Ian Fleming, James Bond, alle prese in Vivi e lascia morire con voodoo, tesori pirata, squali, emancipazione negra nel mondo criminale; e con il secondo volume della saga di Tom Ripley, Il sepolto vivo, di Patricia Highsmith.


Ottima la mia personale prima esperienza di lettura con John Steinbeck, che ho voluto cominciare con il titolo di ispirazione sheakespeariana L'ìnverno del nostro scontento. Insieme leggero e riflessivo, ironico e amaro, lo scrittore americano racconta di Ethan Hawley, discendente di gloriosi balenieri e nobili primi pellegrini, ridotto a mero commesso di negozio d'alimentari, e del suo tentativo di trasformare l'inverno dello scontento suo e, forse soprattutto, della propria famiglia nella radiosa estate del successo, del prestigio, dell'onore e, quindi, del denaro: perché non dovrebbe prendersi anche lui la sua parte di bottino, come fanno tutti? Lo spirito della pirateria è ancora vivo nell'impulso dei tempi moderni ad arraffar grana, non importa come; e se i soli a star a sentire i dubbi di coscienza del protagonista sono i barattoli di sottaceti nel negozio in cui lavora, mentre moglie, figli, amici, gli chiedono cosa aspetta a diventar ricco, quali scelte potrà mai fare lo scontento Hawley per garantire ai suoi l'estate che forse meritano?

Saggi filosofici: Hegel, probabilmente di Gianfranco Dalmasso; Contro i diritti umani di Slavoj Žižek; Iron Man and Philosophy, a cura di Mark D. White.

sabato 28 febbraio 2015

letture di febbraio

Il più letale cecchino della storia americana, lo sniper Chris Kyle, nella propria autobiografia American Sniper mostra la cifra di un’etica del desiderio, sempre a rischio di scuse per il dovere e di un osceno godimento – visto il divertimento che prova, che gli procura il combattimento, confessa che "magari era solo che stavo cercando una buona scusa per fare a botte", e di certo ne ha avute di opportunità di menar le mani –, di un’etica della responsabilità e della colpa – in occasione dell’uccisione di un compagno: "non m’interessa quello che dicono, io mi sentivo responsabile per quello che era successo" –, di un’etica dell’inadeguatezza – "mi sentivo uno che si arrende, che non aveva fatto abbastanza". Si mostra, insomma, eroe non classico ma moderno, più cattivo dei cattivi (un vero stronzo), riparatore di torti e ingiustizie, vendicatore e punitore (Punisher), pronto all'uso della forza e della violenza.  

Dopo Inseguimento, un altro thriller di ambientazione italiana per Patricia Highsmith, la giallista preferita del filosofo sloveno Slavoj Žižek: Il talento di Mr Ripley. Il protagonista, il talentuoso giovane Tom, è uno psicotico ma non un folle, anzi è razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma proprio per questo, quale prezzo da pagare, è anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale, un cinico al quale ci si affeziona durante la lettura, un uomo alla cui spalla si adatta perfettamente il bracciolo di un divano, meglio di quanto potrebbe mai fare il braccio di una persona, di chiunque.

Continua anche la mia lettura della saga del detective Harry Hole, di Jo Nesbø, che con La stella del diavolo mantiene l'ottimo livello raggiunto con il precedente volume, Nemesi: una serie che col tempo migliora invece che scadere non è cosa dappoco. 

Anche James Patterson entra nella lista dei thriller da leggere in questa mia immersione nel genere iniziata nell'ultimo anno. Lo fa, e piuttosto bene, con il primo volume della saga di Alex Cross, Ricorda Maggie Rose.

Nessun delitto nelle storie raccolte da Gilbert K. Chesterton in Il club dei mestieri stravaganti, ma mistero, suspense, intelligenza e tanta ironia grazie ad agenti immobiliari arborei, attaccabottoni professionisti, fornitori di avventure romanzesche, giudici di tribunali morali volontari e, come protagonista, un anti-sherlockiano indagatore-filosofo, Basil Grant, che reputa i fatti, simili a strani animali remoti, solo in grado di oscurare la verità.

Troppe le aspettative, forse, per un romanzo che Ernest Cline, autore del bellissimo Player One, definiva come l'incontro tra The Avengers e The Walking Dead. Ex - Supereroi vs. Zombie di Peter Clines è comunque una piacevole lettura di genere, e il suo sequel lo leggerò senz'altro a breve.

Ripreso in mano dopo oltre tre anni, il libro 2 della trilogia di Murakami Haruki 1Q84.

E, in vena di trilogie, inizio quella di James Dashner Maze Runner con il primo volume, Il labirinto.

La monografia di Valentino Sergi su Frank Miller. Il Cavaliere Oscuro di Hollywood ripercorre l'intera produzione dell'autore statunitense, dalla decostruzione e ridefinizione dell'eroismo nei comics con le sue rivoluzionarie scritture di Devil e Batman, alla sua rivoluzione anche formale nello storytelling e nella composizione grafica del medium fumetto, dalle sue distopie quasi fantascientifiche e la sua produzione fuori dalle due grandi case editrice del fumetto americano (Marvel e DC), alla sua esperienza con il mondo del cinema. Saggio piuttosto compilativo, poco di analisi, approfondimento, interpretazione.

Il classico L'arte della guerra di Sun Tzu.

lunedì 19 gennaio 2015

letture di gennaio (I)

Il secondo volume della trilogia di Roberto Costantini, Alle radici del male, ci porta dapprima nell'adolescenza del futuro commissario Balistreri, negli anni della sua crescita e prima formazione in Libia, tra sabbia e sangue, precoci violenze che ne segnano - o semplicemente induriscono - il carattere cui rimarrà fedele crescendo. Alle radici del suo demone, del male suo, ma non solo, che torna a infestarlo, ossessionarlo, nella seconda parte del romanzo, anche nei suoi primi passi come commissario nell'Italia degli anni '80. Ottimo, con ancora nodi da sciogliere.

Un ritorno di lettura anche per Michael Connelly. Dopo l'avvincente Il poeta non ho saputo attendere e seguire tutta la saga di Harry Bosch dall'inizio e in ordine cronologico, ma mi sono direttamente gettato sul suo decimo volume, ovvero Il poeta è tornato, troppa era la curiosità. Non all'altezza del precedente, ma non posso dire deluse le mie aspettative, si tratta comunque di un gran bel thriller.

E anche per Trevanian una seconda lettura. Dopo quel capolavoro di Shibumi, il primo romanzo, Assassinio sull'Eiger, in cui il protagonista del successivo libro - Nicholaj Hel - è già in embrione in quel Jonathan Hemlock professore e scalatore di chiara fama internazionale, collezionista d'arte e prestante amante, propenso alle lingue e assassino letale (come il veleno di cui porta il nome, la cicuta) per un'agenzia spionistica statunitense. Alla suspense e al thriller, però, qui Trevanian mescola l'umorismo e la parodia, facendo del suo romanzo un gradevole incrocio tra avventure alla James Bond e sketch alla Agente Smart (protagonista della serie tv anni '60 sceneggiata da Mel Brooks e che è stata una divertente satira del genere spionistico).

Piacevole passatempo tra lo storico e l'antropologico Il piccolo libro dei colori di Michel Pastoureau, tra il filosofico e il letterario l'ancor più breve Il segreto sessuale della chiesa di Slavoj Žižek.

Ottimi il secondo, il terzo e il quarto volume in cui proseguono le avventure cosmiche della "famiglia mista" protagonista di quella Saga le cui storie sono sceneggiate da Brian K. Vaughan e disegnate da Fiona Staples.

venerdì 14 novembre 2014

letture di novembre (I)

Prima parte del mese dedicata a brevi letture di saggistica filosofica.
Il saggio di Umberto Curi su La forza dello sguardo indaga l'intreccio tra visione e potere, e la sua costitutiva e ineliminabile ambivalenza, che sembra caratterizzare lo sviluppo della storia culturale dell'Occidente, in cui la volontà di conoscenza e il desiderio di appropriazione sembrano saldarsi nella riproposizione di immagini della "rapacità dell'occhio che tutto vuole vedere-conoscere, che tutto vorrebbe rinserrare nel proprio orizzonte" e della figura dell'onniveggente-invisibile.
Il percorso di Curi si apre con Freud e la sua analisi psicoanalitica della vista quale fondamento del perturbante e si chiude con Foucault e l'organizzazione degli spazi, la sorveglianza nella società disciplinare, la dittatura orwelliana dello sguardo panotiico dei dispositivi del Grande Fratello, ma è tutto lo sviluppo centrale a costituire la parte più interessante del saggio, sviluppo il cui tragitto si svolge tutto all'interno del mito e della filosofia antichi: dallo sguardo potente della terribile Medusa al potere dell'invisibilità dell'anello di Gige, dalla tragedia di Edipo e il mito di Narciso al racconto di Platone della caverna in cui l'educazione filosofica emerge quale lotta e combattimento, afflizione e costrizione verso la luce (e con ritorno finale nelle ombre), allenamento dell'occhio e dello sguardo.

Giuliano Torrengo offre una piacevolissima e competente (dal funto di vista scientifico e fantascientifico, filosofico e letterario) guida a I viaggi nel tempo. Dopo aver presentato le diverse teorie sul tempo che si contrappongono nel dibattito odierno (visione dinamica o statica del tempo, nelle loro varie formulazioni moderate e più radicali), valutando quali di esse rappresentano uno sfondo metafisico più favorevole alla posizione dei viaggi nel tempo e quali, invece, sembrano inconciliabili con essi, l'autore chiarisce l'idea della quadridimensionalità dello spaziotempo, le implicazioni della relatività speciale sul concetto di simultaneità e quindi di presente e quelle della relatività generale sulla curvatura gravitazionale dello spazio quadridimensionale. Poi vengono illustrati macchine e tunnel spaziotemporali, costruiti o ottenuti sfruttando le caratteristiche di particolari oggetti cosmici. Infine si affrontano i paradossi del viaggio nel tempo (catene causali circolari, autorapimenti, oggetti provenienti dal nulla, tentativi di cambiamento del passato), mostrando come sia scorretta l'idea che viaggiare nel tempo è impossibile perché ne nascerebbero delle vere e proprie contraddizioni. Il tutto in maniera piana ma non superficiale, da buona guida, efficacie anche nell'uso di esempi e di riferimenti a prodotti dell'immaginario fantascientifico popolare.

Inoltre, di quel femonemo di Slavoj Žižekle cronache del mondo rimosso Distanza di sicurezza e la filosofia dell'Evento; la Piccola filosofia dello Zombie di Maxime Coulombe.

domenica 9 novembre 2014

evento

Salendo a bordo del saggio di Slavoj Žižek sull'Evento, si transita per diverse stazioni attraverso le quali il filosofo sloveno riflette sulla definizione dell'oggetto in esame, partendo da prime approssimazioni quali quella di effetto che sembra eccedere le proprie cause, di mutamento nel modo in cui la realtà ci appare, di trasformazione sconvolgente della realtà stessa.
L'evento è un mutamento o disgregazione della cornice (frame) stessa attraverso la quale la realtà ci appare, percepiamo il mondo e ci impegniamo in esso; esso è un re-incorniciamento (reframing), dato che solo una cornice fantastica, fantasmatica, ci rende capaci di esperire il reale delle nostre vite come una totalità significante: l'incorniciamento (enframing) è l'atteggiamento propriamente umano verso la realtà, il nostro relazionarci con essa. L'evento rappresenta quindi una nuova apertura epocale in senso heideggeriano, l'emergere di un nuovo mondo, di un nuovo orizzonte di significato.
Ancora, l'evento è la rottura del normale corso delle cose, è caduta quale peccato felice (felix culpa) che è condizione stessa del bene; è, in senso hegeliano, ferita autoinflitta che tenta di curarsi, che mina, nega e trasforma l'intera realtà inerte e stabile, che crea - quale assoluto contraccolpo - ciò da cui si ritira, ciò che si lascia indietro, come lama nella carne. L'evento è, allora, anche rottura della simmetria, in cui le cose emergono quando l'equilibrio è distrutto, quando qualcosa va storto.
In campo filosofico, secondo Žižek esistono tre eventi nella storia del pensiero occidentale, tre intrusioni traumatiche di qualcosa di nuovo che risulta inaccettabile per la visione predominante, tre momenti di follia e tre tentativi di contenere e controllare questo eccesso, di ri-normalizzarlo e re-inscriverlo nel normale corso delle cose: Platone e l'istantaneo e improvviso incontro con la verità dell'Idea, una verità che fa male e che sconvolge la vita quotidiana, evento fragile e fuggevole, da trattare con la delicatezza di una farfalla, che ci appare attraverso esperienze fugaci, in momenti miracolosi in cui un'altra dimensione trapela nella nostra realtà. Cartesio e l'emergere della pura soggettività da una rottura nella grande catena dell'essere, da un radicale auto-ritrarsi - quasi psicotico o mistico - nella "notte del mondo" in cui l'immediato contesto naturale della realtà si eclissa, esperienza di un abisso traumatico. Hegel e l'Assoluto come auto-sviluppo, come risultato della propria stessa attività, come crimine universale che pone se stesso come ordine e legge, come rivolta tenebrosa e audace che congiura per essere moralità e civiltà, in definitiva come evento che include nella propria verità anche la finzione o fantasia, che modifica il passato creando retroattivamente la propria stessa possibilità, le proprie cause e condizioni.
Per la psicanalisi di Lacan, invece, l'evento è l'irrompere del Reale, il ritrovarsi a tu per tu con la Cosa, un trauma in grado di destabilizzare l'ordine simbolico; e, ancora, l'insorgenza improvvisa di un nuovo ordine simbolico, di un nuovo "Significante-Padrone", cioè di un significante che struttura un intero orizzonte di significato, creando il proprio stesso passato.
Come per Alain Badiou, un evento è una contingenza che i trasforma in necessità, dando origine a un principio universale che richiede fedeltà e duro lavoro per un nuovo ordine, che si tratti di un innamoramento personale o di una rottura politica radicale.

giovedì 6 novembre 2014

cronache del mondo rimosso

Gli articoli di Slavoj Žižek raccolti in Distanza di sicurezza sono una cronaca del mondo contemporaneo e dei tempi interessanti in cui viviamo oggi. Sono cronache di guerra, una guerra in cui sembrano essersi affermate la violenta logica paranoica del controllo totale su ogni minaccia futura e dell'attacco preventivo contro tali minacce (una logica alla Minority Report di Philip K. Dick), l'esportazione della libertà, la democrazia armata e la giustizia infinita (non però nel senso reale di Jacques Derrida per il quale nessuno è mai politicamente incolpevole e bisogna sempre riferirsi a se stessi, includere se stessi nel discorso della responsabilità). Sono cronache di un mondo in cui il fondamentale diritto umano è diventato quello di non essere molestati, in cui l'apertura verso l'Altro e l'alterità del tollerante atteggiamento liberale nasconde la paura ossessiva di essere infastiditi dal veramente Altro, un Altro intrusivo da cui si desidera essere tenuti a distanza di sicurezza.Sono cronache di un mondo in cui, fallite tutte le soluzioni pragmatiche standard, l'invenzione utopica di un nuovo spazio sembra essere l'unica scelta realistica, nell'urgenza di tempi che richiedono un evento fuori dai parametri del possibile.
In tali cronache, trovano spazio anche riflessioni apparentemente meno legate all'oggi, come l'accostamento operato da Jacques Lacan tra Kant e Sade, sulla base dell'interpretazione per cui il nocciolo della rivoluzione etica kantiana sarebbe l'idea che l'eccesso assoluto è quello della legge stessa, la cui ingiunzione è la trasgressione ultima di una vita stupida fatta di piaceri modesti, rispetto alla quale il pervertito sadiano insegnerebbe che persino la più eccessiva sregolatezza criminale non può avvicinarsi all'eccesso infinitamente violento, alla rottura traumatica, della legge morale. Sade costringerebbe così Kant a confrontarsi con l'inaudita radicalità della sua stessa posizione: il soggetto di Sade è puro, al di là del principio del piacere, di sogni, passioni, emozioni, nella sfida alla libertà umana a compiere un atto contro natura, come il soggetto di Kant deve mostrare di essere capace di un atto autonomo, non condizionato dalla catena causale naturale e psicologica.
O, ancora, una riflessione sui thriller di Patricia Highsmith, sul suo Mr. Ripley psicotico ma non folle, anzi razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma, proprio per questo, quale prezzo da pagare, anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale.

martedì 7 gennaio 2014

more than human

Il romanzo More Than Human (in italiano tradotto come Più che umano o anche Nascita del superuomo) di Theodor Sturgeon, pubblicato per la prima volta nel 1953 (esattamente dieci anni prima dell’uscita del fumetto Uncanny X-Men), «narra la storia - ci dice Slavoj Žižek in Vivere alla fine dei tempi - dell’incontro di sei persone straordinarie con strani poteri, che sono in grado di “blesh” (blend-mesh, miscelare-intrecciare) le loro capacità e, in questo modo, agiscono come un solo organismo e raggiungono l’homo gestalt, il prossimo passo dell’evoluzione umana». Queste sei straordinarie persone dagli strani poteri, miscelando e intrecciando le proprie capacità risultano «più strambi e “individualistici” degli uomini ordinari – il loro riunirsi in un nuovo Uno crea le condizioni perché le loro peculiarità fioriscano. Questo bizzarro collettivo non ricorda la tesi di Marx che in una società comunista la libertà di tutti sarà fondata nella libertà di ogni individuo?». 
Qualche brano scelto dal testo di Sturgeon:

«"Ascolta," disse lei con passione, "noi non siamo un fenomeno da baraccone. Siamo l'Homo Gestalt, capisci? Siamo un'entità unica, un nuovo tipo di essere umano. Non siamo stati inventati. Ci siamo evoluti. Siamo lo stadio successivo. Siamo soli; non c'è nessun altro come noi. Non viviamo nel genere di mondo in cui vivi tu, con dei sistemi morali o dei codici etici a guidarci. Viviamo su un'isola deserta insieme a un gregge di capre!"
"Io sono la capra."
"Sì, sì, lo sei, non lo vedi? Ma noi siamo nati sull'isola senza nessuno che potesse esserci di insegnamento, dirci come comportarci. Possiamo imparare dalle capre tutto ciò che rende una capra una buona capra, ma questo non cambierà mai il fatto che noi non siamo capre! Non puoi applicare a noi lo stesso insieme di regole che valgono per gli esseri umani qualunque; noi non siamo la stessa cosa!"
Stava per interromperla, ma lei gli fece cenno di aspettare: "Ascolta, hai mai visto uno di quei musei che espongono una fila di scheletri, poniamo di cavalli, a partire dal piccolo Eohippus fino ad arrivare, dopo altri diciannove o venti, allo scheletro di un Percheron? C'è una differenza enorme tra il numero uno e il numero diciannove. Ma che differenza c'è tra il numero quindici e il numero sedici? Una differenza minima!"».

L’Homo Gestalt si presenta come un’entità unica e nuova, non certo un banale fenomeno da baraccone, non il prodotto o l’invenzione di qualcuno, ma lo stadio successivo dell’evoluzione, un essere più che umano. Ma per questo si sente solo, come su un’isola deserta abitata solo da capre, da esseri con cui di certo non può condividere niente di simile a un senso di appartenenza e di comunità. Tra due stadi successivi dell’evoluzione, due stadi prossimi e vicini, certo non c’è tutta la differenza che passa tra un piccolo Eohippus e un Percheron, è riscontrabile una differenza minima. Però non sono la stessa cosa. L’uomo sull’isola deserta potrà imparare dalle capre, forse, come fare ad essere una buona capra, ma questo non cambierà mai la circostanza che egli non è una capra, non farà mai di lui una capra. Straordinari questi sei individui, più che umani, ma anche strani e soli, non c’è nessun altro come loro. Come dovrebbero comportarsi? Come regolare la loro condotta di vita, lo loro esistenza?

«Janie dice che hai bisogno di una morale. Sai cos'è una morale? La morale è l'obbedienza a regole che le persone stabiliscono per aiutarti a vivere tra loro. Tu non hai bisogno di una morale. Nessun sistema di regole morali può valere per te. Tu non puoi obbedire a regole stabilite da quelli della tua specie, perché non esiste nessuno della tua specie. Tu non sei una persona qualunque, perciò la morale delle persone qualunque non ti servirebbe più di quanto potrebbe servire a me la morale di un formicaio. Perciò nessuno ti vuole e tu sei un mostro. Ma Gerry, c'è un altro tipo di codice a tua disposizione. È un codice che richiede fede più che obbedienza. Si chiama ethos. Anche l'ethos ti fornirà un codice per la sopravvivenza. Ma si tratta di una sopravvivenza più generale di quella della tua persona, della mia specie o della tua specie. Si tratta del rispetto delle tue origini e della tua posterità. Si tratta di riflettere sulla corrente principale che ti ha creato e in cui quando verrà il momento tu creerai qualcosa di ancora più grande. Aiuta l'umanità, Gerry, perché ora l'umanità è tua madre e tuo padre; tu non li hai mai avuti prima. E l'umanità aiuterà te producendo altri esseri come te, così che non sarai più solo. Aiutali a crescere. Aiutali ad aiutare l'umanità e a ottenere molti altri come te. Perché tu sei immortale, Gerry. Tu ora sei immortale. E quando la tua specie sarà abbastanza numerosa, il tuo ethos diventerà la loro morale. E quando la loro morale non sarà più adatta alla specie, tu o qualche altro essere etico ne creerete una nuova capace di fare un ulteriore balzo in avanti lungo la corrente principale, senza dimenticare il rispetto per te, il rispetto per coloro che ti hanno dato alla luce e per coloro che hanno dato alla luce loro, sempre più indietro fino alla prima creatura selvaggia, che era diversa perché il suo cuore sussultava quando vedeva una stella. Io sono stato un mostro e ho scoperto questo ethos. Tu sei un mostro. Ora tocca a te».


Nessun sistema di regole morali umane, troppo umane, potrebbe essere semplicemente seguita da questo nuovo essere come cui non c’è nessuno al mondo. Sarebbe come pretendere che un uomo obbedisse al comportamento delle capre o alle regole di un formicaio. Questo fa dei sei straordinari individui dei mostri, dei reietti, dei mutanti, perseguitati e temuti. Ma c’è speranza anche per un mostro. O meglio, bisogna un po’ riconsiderare il concetto di “mostro”. Per come è presentato qui da Sturgeon, il termine mostro sembra indicare qualsiasi essere nuovo e diverso che si presenti come creatore e portatore di un nuovo ethos, inadatto alle normali regole morali del mondo in cui nasce. Ma compito del mostro è aiutare l’umanità in cui vive a crescere, proprio creando nuovi modi di vita, mostrando nuove possibilità esistenziali e potenzialità d’essere. La differenza tra umanità e normalità da una parte, e mostruosità dall’altra, sembra essere una questione solo numerica, descrittiva e non prescrittiva. Questi mostri più che umani non sono fenomeni da baraccone, non sono errori o incidenti della vita, ma rappresentano, invece, una possibilità positiva per l’umanità. Piuttosto che un rischio per l’uomo, questi esseri nuovi, strani, diversi, straordinari, costituiscono un faro per i momenti di difficoltà e pericolo dell’umanità stessa.

«Ed ecco, anche, la guida, il faro per i momenti in cui l'umanità poteva trovarsi in pericolo; ecco il Custode che ogni uomo conosceva – non una forza esteriore e neppure un terrificante Occhio nel cielo, ma una cosa ridente con un cuore umano e un grande rispetto per le proprie origini, odorante di sudore e di terra appena arata, e non soffusa dal pallido odore della santità».

Non inviati da una qualche divinità o provvidenza trascendente, da una qualche forza esterna, celeste, pallida e terrificante, questi esseri più che umani sono il risultato di un fattore tutto umano, di uno spirito ridente e profondamente rispettoso della sua natura immanente e umana, e che odora di sudore e terra. 

venerdì 4 ottobre 2013

la filosofia della guerra al terrorismo

Con Stato di legittima difesa, Simone Regazzoni prova a pensare la politica di Obama e la guerra al terrorismo al di là di ogni sterile panico libertario e di ogni critica alla guerra mossa da astratte posizioni pacifiste, riconoscendo al Presidente statunitense la capacità di "agire politicamente misurandosi con il reale del momento storico presente", di "rispondere a ciò che accade" anche a costo di dover "rompere con un certo orizzonte di sapere, di norme e di valori" decostruendo l'abituale discorso progressista e reinventando la democrazia. Questa reinvenzione passa attraverso l'elaborazione di un nuovo paradigma politico, giuridico e militare che l'autore chiama, appunto, stato di legittima difesa e che la cui articolazione comprende la dichiarazione di uno stato di emergenza, il rafforzamento del potere esecutivo, l'uso della forza letale (nella forma privilegiata dell'omicidio mirato, eventualmente anche preventivo) contro un nemico assoluto (Carl Schmitt) che deve essere annientato in una guerra apparentemente permanente.
A meno di non giudicare il terrorismo una strategia di lotta legittima, argomenta Regazzoni, non è possibile attribuire al terrorista la qualifica di combattente per la libertà (freedom fighter); gli spetta, piuttosto, quella di nemico combattente (enemy combatant) o combattente illegittimo (unlawful combatant) o ancora nemico combattente non privilegiato (unprivileged enemy belligerant), designando in ogni caso il suo statuto come al di là del civile e del militare. È necessario, invece, abbandonare una certa cultura delle scusanti e delle giustificazioni tipica degli anni Sessanti e Settanta e riconoscere il terrorista quale "minaccia assoluta" e "male assoluto", quale "nemico trascendentale della democrazia", perché "incorpora in sé lo spettro del weapons of mass destruction", dell'arma terrificante che viene dall'avvenire, lo spettro del peggio a venire (Jacques Derrida), perché "minaccia la democrazia in quanto spazio di apertura all'Altro". Per annientare un tale nemico assoluto occorre "una guerra legittima di difesa ossessionata dallo spettro della distruzione totale a venire" (ossessione e forse una certa paranoia che non sono mali ma spinte immunitarie della democrazia); guerra che possiede la qualità ideale di essere perpetua, di non poter essere vinta e perciò di non dover essere mai terminata (Peter Sloterdijk), così da decostruire l'opposizione tra guerra e pace.
La forza letale-vitale di legittima difesa che tale guerra dispiega dispone di non convenzionali ma necessarie e appropriate strategie quali la prevenzione contro minacce imminenti e future (pre-emption e prevention), l'attacco anticipato (strike first, anticipatory attack), la pianificazione su larga scala e lungo periodo delle operazioni di omicidio mirato (targeted killing, kill list).
Ora che la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt appare come nuovamente invertita (Slavoj Žižek), Obama per Regazzoni è quindi "il nome di questa forza letale-vitale di legittima difesa della democrazia, di questa forza della democrazia che dà il meglio di sé facendo appello al proprio rimosso" (cioè l'uso della forza letale, una forza crudele e disumana ma al contempo giusta), di questa forza che non è "un fenomeno transitorio legato a una situazione di emergenza ma l'invenzione di un nuovo paradigma della democrazia".
Il rimosso che ritorna con Obama è anche quello della giustizia come vendetta, riparazione di un torto, momento catartico: torna quello "spettro che ossessiona il potere americano" che è la pulsione eroica che minaccerebbe la democrazia. Questa riattualizzazione "di una certa forma di violenza - al contempo assolutamente crudele e giusta - incarnata nella figura del giustiziere", porta Regazzoni a trattare nell'ultimo capitolo del suo saggio la trilogia che Christopher Nolan ha dedicato a Batman, il Cavaliere Oscuro (Dark Knight), saga cinematografica assillata proprio dallo spettro del peggio a venire, dell'imminenza "di un avvenire peggiore di tutto quello che è già accaduto". 
Le pellicole di Nolan rappresentano il montaggio e messa in scena della risposta attraverso una forza di legittima difesa a tale infestante spettro (dell'annientamento di Gotham attraverso armi di distruzione di massa), incorporato nel trauma dell'omicidio dei genitori del piccolo Bruce Wayne, e al contempo dei "rischi autoimmunitari di questo dispositivo eccezionale di difesa che rischia sempre di sopprimere ciò che vorrebbe salvare". Il corpo del Cavaliere Oscuro si presta quale trasfigurazione cinematografica di questo lavoro sul dark side della politica, di questa "pulsione eroica incriptata al cuore della democrazia" che non va esorcizzata come fascista (pur rimanendo "il fascismo una delle sue pericolose declinazioni possibili") ma pensata "in termini politici come forza, al di là della legge, di difesa della democrazia nel contesto di un nuovo tipo di guerra", come supplemento di forza insieme fuorilegge e al servizio della legge, che la sospende e conserva a un tempo, che la minaccia e protegge, come "una giustizia - al di là della legge - che coincide con la salvezza, con la salvezza della democrazia".
Il saggio di Regazzoni ha l'audacia di pensare tutto ciò, di non limitarsi a criticare la guerra. Regazzoni ha l'indubbio merito di non essere un pensatore pusillanime, di non cercare nel politicamente corretto l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a farsi carico di pensare un fenomeno come la guerra al terrorismo nella sua dimensione perturbante.



lunedì 28 gennaio 2013

lenin è (non) morto

Provando a interpretare il sogno che Trotskij stesso annota nel suo diario relativo a un incontro e dialogo con Lenin, da tempo morto, Slavoj Žižek, in uno scritto contenuto in Politica della vergogna, riconosce che possono esistere due diversi modi di leggerlo.
Un prima possibile lettura è quella per cui «Lenin morto che non sa di essere morto rappresenta il nostro ostinato rifiuto di rinunciare ai grandiosi progetti utopistici e di accettare le limitazioni della nostra situazione: Lenin era mortale e fece errori come chiunque altro, perciò è giunto per noi il momento di lasciarlo morire, di mettere a riposo questo osceno fantasma che ossessiona il nostro immaginario politico, e di affrontare i problemi in modo pragmatico e non ideologico».
Ma c'è un anche un altro senso in cui «Lenin è ancora vivo: è vivo in quanto incarna ciò che Alain Badiou chiama, in modo sfacciatamente platonico, l'"Idea eterna" dell'emancipazione universale, l'immortale lotta per la giustizia che nessuna disfatta e nessuna catastrofe riescono a uccidere».
Come Hegel poté definire la Rivoluzione francese "una splendida aurora" (Lezioni sulla filosofia della storia) senza che ciò gli impedisse una fredda analisi di come quell'esplosione rivoluzionaria di libertà dovesse necessariamente trasformarsi in un terrore autodistruttivo, così Žižek vuole fare con la Rivoluzione d'ottobre, non ritornare a Lenin ma ripetere Lenin. «Ripetere Lenin è accettare il fatto che "Lenin è morto", che la sua soluzione particolare è fallita, e anche in modo mostruoso, ma che c'era in essa una scintilla d'utopia degna di essere salvata. Ripete Lenin significa che si deve distinguere tra quanto Lenin ha effettivamente fatto e il campo di possibilità che ha aperto, la tensione tra ciò che fece concretamente e un'altra dimensione. Significa ripetere non ciò che Lenin HA FATTO, ma ciò che NON È RIUSCITO A FARE, le sue possibilità PERDUTE».  


giovedì 24 gennaio 2013

educazione o cortesia?

Se il desiderio di sottomettere le persone a un ideale etico considerato come universale è una tentazione morale di cui sbarazzarsi, è una criminosa e brutale imposizione della propria prospettiva agli altri, questo dignitoso rifiuto delle utopie però, ci ricorda Slavoj Žižek in uno dei suoi scritti contenuto in Politica della vergogna, culmina nell'impasse del "politicamente corretto", «in un soffocante moralismo, in un'esplosione di norme legali e morali, in un processo infinito di legalizzazione/moralizzazione chiamato "lotta contro tutte le forme di discriminazione"».
La paradossalità di tale condizione la mostra, secondo Žižek, la possibilità di trovare in una stessa persona la coincidenza degli opposti per cui questa vigili contro l'imposizione dei valori eurocentrici ad altre culture e, nello stesso tempo, argomenti che romanzi classici come Tom Sawyer o Huckleberry Finn di Mark Twain dovrebbero essere esclusi dalle biblioteche scolastiche perché insensibili al razzismo per il modo in cui l loro interno ritraggono neri e nativi americani – altri esempi recenti di tale paradossalità sono rappresentati dalla volontà del Dipartimento di educazione della città di New York di eliminare e bandire dai testi scolastici alcuni termini e riferimenti ritenuti "sensibili" quali "dinosauro" (potrebbe contrariare i creazionisti?), "compleanno" (offende i testimoni di Geova?), "Halloween" (può suggerire il paganesimo?), "divorzio" (può evocare sentimenti di disagio?), "peperoni" (cibi che alcune religioni o culture non possono concedersi?); o ancora, dall'interruzione della produzione e vendita delle bambole che raffigurano i personaggi dell'ultimo film di Quentin Tarantino, Django, perché offensive degli afroamericani rappresentati come schiavi (non è forse esistita la schiavitù negli Stati Uniti?).
«Cosa c'è di sbagliato nei tentativi "politicamente corretti" di moralizzare o addirittura penalizzare direttamente modi di comportamento (come ferire gli altri con volgari oscenità verbali ecc.) che dovrebbero fondamentalmente riguardare l'educazione»? Il fatto è che essi minano questa stessa buona educazione, perché penalizzando la maleducazione si perde la "sostanza etica", la buona educazione è qualcosa di sostanziale, esperito, e non può essere una forma imposta o istituita da leggi ed esplicite regole normative. Come lo stesso Žižek evidenzia anche in Vivere alla fine dei tempi, la cortesia supplisce alla mancanza o al collasso della sostanza etica, e quanto più manca il "profondo" contesto etico sostanziale, tanto più abbiamo bisogno di una cortesia "superficiale".

 

giovedì 19 aprile 2012

catastrofe morale

È facile compiere un atto nobile per la patria, fino a sacrificare la propria vita per essa; molto più difficile è commettere un crimine per la patria... Nella Banalità del male Hannah Arendt ci ha fornito una descrizione precisa di questo dilemma. La maggior parte dei carnefici nazisti non erano semplicemente malvagi, erano ben coscienti che le loro azioni avrebbero causato umiliazione, sofferenza e morte alle loro vittime. La via d'uscita da questa situazione era che, «invece di pensare: che cose orribili faccio al mio prossimo!, gli assassini pensavano: che cose orribili devo vedere nell'adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle!».
Come sapeva Arendt, lungi dal riscattarli, il fatto stesso che essi siano in grado di conservare una tale normalità mentre commettono questi atti è la prova definitiva della loro catastrofe morale.
La serie tv 24 fa vedere la confusione etica della posizione di Bauer, privo di alcuna pace interiore: Jack confessa di avere dei dubbi, non sa se ha fatto la cosa giusta, e tutto quello che può fare è rassegnarsi a vivere con l'ossessione delle sue azioni passate fino alla fine dei suoi giorni. Qui non viene offerta alcuna soluzione semplice del tipo "Ho agito per il bene comune", non c'è alcun modo di "sentirsi a posto" moralmente.

(da Slavoj Žižek, Benvenuti in tempi interessanti)

 

martedì 17 aprile 2012

liberatore o terrorista

Ma cos'è Joker nel film di Christopher Nolan Il Cavaliere Oscuro? Cos'è Joker, con il suo desiderio di svelare la verità sotto la Maschera, convinto che questo distruggerà l'ordine sociale? È un liberatore o un terrorista?





giovedì 12 aprile 2012

benvenuti in tempi interessanti

More about Benvenuti in tempi interessanti!Finito il secondo volume della saga I canti di Hyperion, passo in libreria lo stesso giorno per comprare i seguenti due e, girando nel reparto filosofia, mi imbatto tra le novità nel nuovo libro di Slavoj Žižek, Benvenuti in tempi interessanti, di cui decifro subito il riferimento del titolo alla maledizione cinese contro qualcuno che si odia davvero (e a cui, quindi, si augura di vivere in un periodo di irrequietezza, guerre e lotte) proprio perché l'avevo giusto letta il giorno stesso nel finale della saga fantascientifica di Dan Simmons.
Dopo l'apocalittico Vivere alla fine dei tempi, il "filosofo più pericoloso d'Occidente" ci invita a riflettere sull'era postpolitica dell'economia naturalizzata, che si crede ormai libera da ogni forma di ideologia perché la scienza economica ci mostra ormai i fatti e perché la forma istituzionale dello Stato è ormai un dato ovvio, scontato, garantito, assodato, insomma, naturale – «la cornice democratica dello Stato (borghese) rimane la vacca sacra che anche le forme più radicali di "anticapitalismo etico" non osano mettere in discussione». Ma in realtà «non c'è nulla di "naturale" nella presente crisi» e «il sistema economico globale esistente si basa su una serie di decisioni politiche».
Per affrontare i tempi interessanti che la crisi ci propone e in cui ci sarà da divertirsi, resta invece valida, secondo Žižek, l'intuizione chiave di Marx, secondo cui «la questione della libertà non deve essere situata in primo luogo nella sfera politica vera e propria» perché «il cambiamento di cui abbiamo bisogno non è una riforma politica, ma una trasformazione dei rapporti sociali», il che comporta che la soluzione non possa derivare da elezioni democratiche o da qualche altra misura politica in senso stretto, bensì dalla lotta di classe rivoluzionaria. L'autore concorda con Badiou nel sostenere che il nome del nemico supremo odierno non è tanto capitalismo, o impero, o sfruttamento, ma piuttosto democrazia, intesa come l'accettata e diffusa illusione «che siano i meccanismi democratici a fornire la sola cornice di ogni possibile cambiamento, il che impedisce qualsiasi trasformazione radicale dei rapporti capitalistici».
Non una semplice opposizione alla democrazia parlamentare è però l'invito di Žižek per questi tempi interessanti, ma qualcosa che si muove a un livello radicalmente altro, un impegno non limitato al solo atto di voto, ma che comporti anche «una fedeltà continua a una Causa, un paziente e collettivo "atto d'amore"». Questa Causa l'autore, riprendendo ancora Badiou, la chiama comunismo, inteso come idea regolatrice che è possibile immaginare come la continuativa e «lunga tradizione del millenarismo radicale e delle rivolte egualitarie», come un'eterna idea dello «spirito egualitario mantenuto vivo nell'arco di migliaia di anni in rivolte e sogni utopici, nei movimenti radicali da Spartaco a Thomas Müntzer, incluso all'interno delle grandi religioni», come «un progetto emancipativo condiviso» che ha dato alimento «alla democrazia dell'antica Grecia, alla rivoluzione francese e a quella russa».
Con un collettivo atto d'amore impegnarsi e lottare per «prendere in modo eroico qualsiasi potere sia accessibile e, controcorrente, fare quello che si può»; una scommessa senza alcuna garanzia esterna, un correre «il rischio di compiere passi nell'abisso del Nuovo in situazioni completamente inaudite».

sabato 3 settembre 2011

sui bottoni degli ascensori

È risaputo il fatto che il bottone di chiusura delle porte nella maggior parte degli ascensori è un placebo del tutto privo di funzione, che è posto là solo per dare agli individui l'impressione che stanno in qualche modo partecipando, contribuendo alla velocità del viaggio dell'ascensore.
E questo è occasionalismo al suo stato più puro: secondo Malebranche, noi per tutto il tempo premiamo simili bottoni, ed è l'incessante attività di Dio che coordina i bottoni e gli eventi che seguono (la chiusura delle porte), mentre noi pensiamo che gli eventi siano il risultato del nostro premere il bottone.

(da Slavoj Žižek, The Matrix o i due volti della perversione. Riflessioni sulla virtualità cinematografica, in Deleuze e il cinema francese)

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