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Visualizzazione post con etichetta psylocke. Mostra tutti i post
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venerdì 11 luglio 2025

claremont run

Tra gli impegni di fine anno scolastico e gli Esami di Stato - conclusi venerdì scorso -, giugno mi ha visto incapace di pubblicare post, neanche un rapido resoconto finale delle letture del mese. A fine luglio pubblicherò quindi un post con le letture di questi ultimi due mesi. Intanto provo a fare qualche altro post, a partire da questo che è relativo al saggio The Claremont Run. Subverting Gender in the X-Men, scritto da J. Andrew Deman.

Avendo scritto Uncanny X-Men dal 1975 al 1991 (dal numero 97 al numero 278), Chris Claremont vanta una posizione preminente e un'influenza sulla cultura popolare - essendo durante la sua gestione quello degli X-Men il fumetto più venduto - uniche. Uno dei grandi punti di forza della scrittura di Claremont è stata l'ampia cosmologia di personaggi maschili e femminili che è stato capace di presentare, e i vari modi in cui marcatori identitari quali etnia, nazionalità, religione, età, classe e sessualità si sono intrecciati tra di loro e con le prestazioni di genere di ogni personaggio. In questo modo la lunga gestione dell'autore ha saputo rappresentare una forte messa in discussione della fissità di ruoli di genere che il mondo del fumetto ancora rappresentava.

La prima parte del saggio è dedicata all'analisi e all'esplorazione di alcuni dei personaggi femminili principali della gestione di Claremont. Jean Grey/Fenice rappresenta il fondamentale ritratto dell'agency femminile, cioè della capacità femminile di agire, prendere decisioni e avere un impatto sul proprio ambiente e sulla propria vita, della capacità di essere un agente causale, di fare accadere le cose attraverso le proprie azioni. Ororo Munroe/Tempesta è stata la prima leader di un gruppo supereroistico donna e la prima leader di colore, nonché portatrice di comportamenti di genere non normativi, garantendo così una particolare enfasi su un femminismo intersezionale. E, nella seconda generazione di personaggi femminili, abbiamo Betsy Braddock/Psylocke, che dialoga con il concetto lacaniano di mascherata femminile esprimendo la propria in senso ironico, e Alison Blaire/Dazzler, che permette di esplorare le forme tossiche della mascolinità.

La seconda parte, invece, indaga gli altrettanto interessanti personaggi maschili. Scott Summers/Ciclope impersona l'ansia culturale del cambiamento del paradigma patriarcale come risposta diretta alla seconda ondata del femminismo, ma dal sentirsi minacciato riesce poi progressivamente a distanziarsi dall'egemonia maschile di cui era emblema. Logan/Wolverine, da una parte connesso a archetipi maschili della cultura popolare quali il cowboy e il samurai, si dimostra capace di minare quella stessa mascolinità di cui sembra essere fatto. Infine, Kurt Wagner/Nightcrawler e Alex Summer/Havok sono personaggi piuttosto refrattari rispetto alla rappresentazione della mascolinità, minando la connessione tra il ruolo del supereroe e tale ideale.

domenica 19 aprile 2015

bookteaser (III)

"Sola. Armata. Alle prese con una sfida impossibile... Crepa d'invidia, Bruce Willis!"

Così scriveva Chris Claremont nel gennaio 1991 su Uncanny X-Men #272: i suoi mutanti sono eroi moderni, comici, gaudenti, nichilisti, sporchi, oscuri ma profondamente etici.

Proprio per questo, nel maggio 2015, gli X-Men affronteranno - con i pensatori Lacan, Derrida e altri incredibili alleati - questioni morali e filosofiche: per un'etica indagata in stile mutante.

Così Psylocke potrà affermare: "Fedele al mio desiderio. Illimitatamente responsabile. Senza alcun ringraziamento... Crepa d'invidia, Immanuel Kant!"


lunedì 24 novembre 2014

il fine...

"A volte il fine giustifica i mezzi. Non importa quale sia il prezzo per la tua anima. Difficile non trovare soddisfazione nel lavoro. Nonostante la posta in gioco, nonostante la missione ti occupi la mente, nonostante tutto questo, è sempre bello fare un'entrata spettacolare. State certi che Fener sogghigna in segreto, ogni volta che parte quella marcetta. Difficile non godersi il brivido. Fortunato colui che ama il proprio lavoro. Proprio fortunato" (da X-Force #2 del maggio 2014, in Italia su Gli Incredibili X-Men #15 del novembre 2014).
Così il nuovo leader dell'almeno quinta incarnazione del gruppo mutante X-Force, Cable. A conferma di come temi centrali nei comics siano le questioni morali. Questo ciclo narrativo mette alla prova la disponibilità a commettere il male in funzione del bene dei membri di questo team mutante - composto tra gli altri, oltre che dal viaggiatore temporale Cable, da Psylocke,  con i due che sono probabili prossimi protagonisti di narrazioni/trasposizioni cinematografiche dell'universo mutante Marvel -, mette in scena la possibilità che il rifiuto radicale del mondo come è possa rovesciarsi repentinamente nella ricerca di una sua definitiva e finale trasformazione, che un’etica dell’assenza dei fini possa sfociare in un’etica del fine ultimo, in cui al rigido cinismo dei mezzi si intrecci il non meno duro moralismo dei fini (come sostiene Peter Sloterdijk in Critica della ragion cinica). Ancora, questa serie affronta le questioni dell'osceno godimento - quel "brivido" - nel compiere il proprio lavoro/missione e la scusa del dovere che si dà alle proprie azioni. Lettura da continuare.

lunedì 27 gennaio 2014

in segreto trema l'identità dell'io - kill matsu'o (II)

Il filosofo francese Jacques Derrida collega l'impossibile, paradossale, aporetica, eccessiva, esagerata – che passa la misura e si espone alla dismisura – esperienza del (per)dono, la follia del (per)dono, che «mette in crisi logos e nomos, ma forse anche topos» – ed è, quindi, atopos, che «significa ciò che non è nel suo luogo e al suo posto (“mezzodì alle quattordici”), ed è dunque lo straordinario, l’insolito, lo strano, lo stravagante, l’assurdo» (uncanny) –, al costituirsi del soggetto: «La semplice intenzione di donare, in quanto comporta il senso intenzionale del dono, basta a ripagarsi. La semplice coscienza del dono si rinvia subito l’immagine gratificante della bontà o della generosità, dell’essere-donante che, sapendosi tale, si riconosce circolarmente, specularmente, in una sorta di auto-riconoscimento, di approvazione di se stesso e di gratitudine narcisistica. E ciò si produce dal momento in cui c’è un soggetto. Il divenire-soggetto tiene allora conto di se stesso, entra come soggetto nel regno del calcolabile. Lì dove ci sono soggetto e oggetto, il dono sarebbe escluso. Un soggetto non donerà mai un oggetto a un altro soggetto. Ma il soggetto e l’oggetto sono effetti arrestati del dono: arresti del dono. Alla velocità nulla o infinita del circolo» (Donare il tempo).


Il soggetto sarebbe un effetto arrestato del dono, si auto-riconoscerebbe circolarmente, sarebbe una pausa, una stasi, un arresto, ma la alla velocità nulla o infinita del circolo che «non lascia riprendere il respiro, né riposo. Può sempre sconvolgere, almeno, il ritmo istituito di tutte le pause (e il soggetto è una pausa, una stasi [stance], l’arresto stabilizzatore, la tesi o piuttosto l’ipotesi di cui si avrà sempre bisogno), può sempre perturbare i sabati, le domeniche… e i venerdì» («Il faut bien manger» o il calcolo del soggetto). Senza pause – né sabati, né domeniche, né venerdì – e «in segreto trema l’identità dell’“io”» (Donare la morte). Questo tremore derridiano presenta una evidente differenza rispetto alla formazione del soggetto per come è presentata da Hegel. La lezione hegeliana ci insegna che il soggetto, nella qualità di autocoscienza, «consiste nel mostrarsi come negazione pura della propria modalità oggettiva, cioè nel mostrare di non essere legato a nessuna esistenza determinata» – anche mettendo alla prova la propria libertà e a rischio la propria vita, arrivando a dimostrare di non tenere alla vita, di disprezzarla in un certo senso, a «dar prova di sé, a se stesso e all’altro, mediante la lotta per la vita e la morte» –, così che in esso «la coscienza è stata intimamente dissolta, ha tremato fin nel suo più remoto recesso, e tutto quanto c’era in essa di fisso è stato scosso», è stato fatto vacillare, tanto che l’essenza stessa dell’autocoscienza è «questo assoluto divenire-fluida di ogni sussistenza», il lavorio di un «dileguare trattenuto» (Fenomenologia dello Spirito). Ma le vicende dei mutanti e la filosofia di Derrida ci insegnano che la questione della costituzione del soggetto non si arresta ad una lotta a morte in cui «un trionfo conserva in sé le tracce di una battaglia» o «una vittoria viene strappata nel corso di una guerra tra due avversari al fondo inseparabili» (Donare la morte) per cui di tale guerra conserva la memoria.

La vera questione del soggetto non è nell’autonomia e nella libertà, quanto piuttosto «nell’eteronomia del «ciò mi (ri)guarda» anche laddove io non vedo niente, non so niente, non ho l’iniziativa, laddove non ho l’iniziativa su ciò che mi ingiunge di prendere delle decisioni – che nondimeno saranno le mie, e che dovrò assumermi da solo» (Donare la morte). Psylocke si chiede il perché della sua pulsione a fermare Wolverine, il cosa le importasse di Matsu’o, cosa ciò le (ri)guardasse, cosa stava facendo; confessa di aver visto se stessa nella mente di Wolverine e che i ricordi di lui le dissero chi era, ed anche in questa avventura è proprio dalle parole di Matsu’o che è determinata quella pausa, quell’arresto, quella stasi che è il soggetto, quando egli le rivela: «Sapevo che saresti stata tu, Elizabeth. Gli inglesi sono sempre affidabili». Non solo per queste parole, ma per quello che ha fatto e fa del corpo e dei resti di Psylocke, Matsu’o è per la mutante degli X-Men l’altro per eccellenza. L’altro dispone di me, di un io senza difese, e proprio questo sarebbe l’io, sarei io: vulnerabilità, esposizione incondizionale all’altro, quasi impotente, disarmata, senza protezione alcuna. Il soggetto non è sovrano, non è indipendente, autonomo, pienamente presente a sé, ma quello del godimento pieno e puro di sé non sarebbe altro che un sogno, una fantasia, un fantasma. La sovranità del soggetto libero – nel suo concetto più e meglio accreditato –, autodeterminato, emancipato, affrancato, dall’illimitato potere, onnipotente, è decostruita.

Ciò significa aprire la possibilità di pensare in maniera diversa il sé. Oltre ad essere la storia di una furiosa ricerca di vendetta, Kill Matsu’o è anche la ricerca di un nuovo soggetto, della natura dell’identità. «Ora so chi sono»: sul flash-forward, che anticipa la fine del fumetto, di queste parole interiori che Psylocke dice a se stessa, intese senza alcun apparente rumore, articolate senza movimento apparente, come nel circuito chiuso di un serpente che si morde la coda, tutta la vicenda che viene a spiegarsi e dibattersi si apre e si chiude allo stesso tempo ma con stacco e non senza danni. E la tavola finale dell’ultimo capitolo del fumetto mostra la mutante intenta a spazzolarsi i capelli e bere una tazza di tè: «il tè non ha l’arroganza del vino, né la supponenza del caffè, e neppure la leziosa innocenza del cacao», e rappresenta «una gradita opportunità di tregua a fieri guerrieri», che entrano nella stanza del tè solo dopo aver lasciato «la spada nella rastrelliera»  – come l’immagine mostra aver fatto anche Psylocke –, giacché tale luogo è sopra ogni altra cosa la Dimora della Pace, oltre che della Fantasia, del Vuoto e dell’Asimmetrico (in quanto consacrata al culto dell’Imperfetto, e perciò si lascia in essa volutamente qualcosa di incompiuto). Deposta, dunque, la katana dell’hegeliana lotta a morte per il desiderio di riconoscimento e di signoria, di sovranità, Psylocke si mostra esposta alla decostruzione del proprio io, dell’assolutamente se stessa. Ora sa chi è, cos’è l’io, che l’io è questa pausa, questa stasi nella stanza del tè, è il perenne mutamento che ritorna su se stesso come un serpente che si morde la coda, che «si ritorce su se stesso come il drago» o «si addensa e si squarcia come fanno le nuvole» (Kakuzo Okakura, Lo zen e la cerimonia del tè) – «il fiume scorre, e l'acqua non è mai identica a se stessa. Anche le nuvole sono in continuo movimento; e il sole e la luna sono eterni viaggiatori», puoi leggere nel capitolo intitolato Drago di nuvola, tigre di vento del manga scritto da Kazuo Koike e disegnato da Goseki Kojima Lone Wolf & Cub (Lupo solitario e il suo cucciolo). Ora sa che l’io è ospitalità incondizionata all’altro da sé, che l’io trema, si ritorce, si squarcia, affetto da un fattore di mutazione che non è assoluta, libera, sovrana, autonoma, ma piuttosto eteronoma, guidata e diretta come da un gene X, da una “cosa” se non sconosciuta certo mal conosciuta dal cosiddetto io. L’uomo sarebbe, quindi, l’essere più perturbante, «il più unheimlich», afferma Derrida, perché «qualcosa che ci espelle dall’Heimliche, dalla tranquillità rassicurante del domestico. Il proprio dell’uomo sarebbe insomma quel modo di non essere a casa propria con sicurezza (heimisch), fosse anche presso di sé nel senso della propria essenza» (La Bestia e il Sovrano. Volume I).

giovedì 23 gennaio 2014

(per)donare la morte - kill matsu'o (I)

La ninja e telepate X-Men nota come Psylocke è la protagonista della miniserie Kill Matsu'o. Se fin dal titolo l’avventura sembra una citazione del film del 2003 di Quentin Tarantino Kill Bill, questo omaggio citazionista è ulteriormente confermato e rafforzato all’interno della storia, che si presenta anch’essa come una furiosa ricerca di vendetta da parte di una donna armata di katana (Psylocke) nei confronti di un uomo per cui ha lavorato come assassina (Matsu’o Tsurayaba), e che ha tra i suoi momenti uno scontro “una contro molti” nel Club 77 di Tokyo (come La Sposa affronta in un locale giapponese gli 88 folli della Yakuza). Uno degli eventi che fa della vita di Psylocke qualcosa di spettacolare e terribile è l’essersi ritrovata «in un altro corpo. Con un’altra faccia»: cercando di salvare gli X-Men dai cyborg Reavers – che, come forse nessun altro mai, si sono avvicinati allo sterminio del gruppo mutante, tra l'altro crocifiggendo Wolverine – Psylocke ha attraversato quel Seggio Periglioso (di ispirazione arturiana) oltre il quale, finita su una spiaggia giapponese e lì trovata dall’organizzazione criminale – e secolare setta ninja legata al mondo dell’occulto – della Mano e prelevata da Matsu’o Tsurayaba, è stata trasformata da quest’ultimo – grazie all’unione di chirurgia, tecnologia e magia e nel tentativo di riportare in vita la donna che amava (Kwannon) – in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era. Per un po’ Psylocke è stata Kwannon – o meglio Lady Mandarin, assassina del Mandarino –, poi Wolverine l’ha riportata “indietro”: «Ho visto me stessa nella sua mente… e i suoi ricordi mi dissero chi ero».

La vicenda della miniserie dedicata a Psylocke prende avvio dalla decisione della mutante su «come disporre del proprio cadavere», ma non in vista di una futura morte, bensì nell’attualità inquietante di un cadavere su un tavolo di obitorio: «su quel tavolo c’è il mio vecchio corpo». Psylocke deve decidere cosa fare del suo corpo originale, quello che ha attraversato il Seggio Periglioso, quello che ora non è più il suo corpo, quello che ora non è più lei. Partita per il Giappone per inumarlo, la telepate viene però attaccata dai ninja della Mano che, su mandato di Matsu’o, inceneriscono il corpo, il suo cadavere, davanti a lei. Ciò che era, l’ultimo legame con la sua vita precedente, incenerito, andato, dissolto. Psylocke aveva fatto pace e perdonato Matsu’o per ciò che le aveva fatto, nonostante ciò che le aveva fatto, prenderle il corpo e l’anima era stato un gesto empio ma compiuto per amore, ma adesso? Adesso sembra non esserci possibilità di perdono, ma solo per lo scatenarsi di una furiosa vendetta: Matsu’o deve morire. Fra Psylocke e Matsu’o, però, si frappone un inaspettato ostacolo: Wolverine. Anch’egli ha ottimi motivi per odiare e vendicarsi di Matsu’o, essendo il responsabile della morte di Mariko Yashida, donna che è stata uno dei più profondi amori del mutante, ma la sua maniera di fare i conti con il capo della Mano non ne prevede la morte, bensì la lenta, continua, cerimoniale mutilazione: «Matsu’o non ha finito di pagare e quindi non deve morire. Mai»; «ogni goccia di sangue ripaga ciò che mi ha portato via. E non sarà mai abbastanza». Questo calcolo della vendetta e dell’imperdonabile è ben raffigurata da un poster che Wolverine tiene nella sua stanza, manifesto che riporta una citazione da Archiloco sull’arte di ricambiare il male a chi ci ha ferito: «Una sola cosa so, importante: ricambiare con mali terribili chi mi fa del male [I have a high art. I hurt with cruelty those who would damage me]».

Psylocke più di chiunque altro, probabilmente, può comprendere la decisione di Wolverine, la volontà di ricambiare con mali terribili chi ci ha fatto del male, di ferire crudelmente chi ci ha danneggiato, ma gli si oppone, lo affronta: «Matsu’o si è portato via la vita di Logan. Capisco la sua rabbia. Perché fermarlo? Cosa mi importa di Matsu’o Tsurayaba? Cosa sto facendo?». Non c’è anche in Psylocke la stessa volontà di vendetta e la stessa impossibilità di perdono presenti in Wolverine? «Ho distrutto la tua vita. E ora anche le tue ultime vestigia. C’è perdono nel tuo cuore? O solo vendetta?», domanda lo stesso Matsu’o. Uccidere i propri avversari è un comportamento che non ha mai fatto parte dell’etica degli X-Men. Non lo fa Tempesta, leader degli X-Men, con Magneto, eppure quello di Tempesta è un eroismo certo degno del nuovo eroe, dell'eroe non classico ma contemporaneo, dell'eroe postmoderno comico, gaudente, nichilista, singolare, criminale – insomma, sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller – di cui Simone Regazzoni traccia i caratteri nel suo saggio Sfortunato il paese che non ha eroi: Tempesta, eroe dalle infinite sfumature, è quello che è perché ha abbracciato il suo lato oscuro, la sua natura più cupa. Eppure c’è perdono nel suo cuore e non solo vendetta. Così è per Psylocke davanti a Matsu’o, sembra. Le due mutanti riconoscono – come Jacques Derrida – che quella del perdono è «un’esperienza estranea al regno del diritto, del castigo o della pena, dell’istituzione pubblica, del calcolo giudiziario ecc.», insomma, rappresenta «una sfida alla logica penale» che richiede una rottura di ogni possibile reciprocità o simmetria – quelle che, invece, inutilmente cerca Wolverine – e che «esige che il perdono sia accordato, se può esserlo, perfino a qualcuno che non lo domanda, che non si pente né si confessa, né rende migliore se stesso o si riscatta: al di là, pertanto, di ogni economia, al di là perfino di ogni espiazione» (Perdonare).


Il perdono, se ce n’è, ha senso e possibilità solo laddove esso è chiamato a fare l’im-possibile, cioè a perdonare l’imperdonabile, l’inespiabile, secondo Derrida, per non correre il rischio di essere contaminato da un calcolo che lo corrompe, prima colpa di ogni perdono che voglia essere veramente tale. Il perdono, come il dono, non vuole gratitudine: «Non devi ringraziarmi», dice infatti Psylocke a Matsu’o, perché il (per)dono non deve apparire come tale, né al donatario né al donatore. Sempre secondo Derrida «Nemmeno colui che dona deve vederlo o saperlo, altrimenti comincia, fin dall’inizio, fin dal momento in cui ha l’intenzione di donare, a ripagarsi di un riconoscimento simbolico, a felicitarsi, ad approvarsi, a gratificarsi, a congratularsi, a restituirsi simbolicamente il valore di ciò che ha appena donato, di ciò che crede di aver donato, di ciò che si appresta a donare» (Donare il tempo).

martedì 24 dicembre 2013

farò la mia felicità

I'll make my own happyness.

(Psylocke, da Uncanny X-Force #15 del dicembre 2013).

Qui disegnata da due autori che hanno segnato i due volumi di Uncanny X-Force di cui è stata protagonista negli ultimi anni: Phil Noto e Adrian Alphona.

 



lunedì 4 novembre 2013

nel riflesso della mia lama

Nelle tavole del fumetto Uncanny X-Force, nelle storie pubblicate in questi ultimi mesi, ancora una conferma dell'eroismo sporco e oscuro dell'eroe moderno che ha imparato ad abbracciare e a giocare con la propria Cosa oscura e disumana, con il proprio lato oscuro, la propria natura più cupa
In questa occasione ce ne danno prova Psylocke e Spirale poste faccia a faccia con lo spettro del loro lato oscuro: Psylocke è in pieno possesso della propria oscurità, e il suo spettro è dunque debole. Spirale non può temere la vista del proprio lato oscuro, poiché ce l'ha costantemente davanti nel riflesso della propria lama.

- La tua lama è sottile perché sei debole. E sei debole perché sei forte solo quanto io ti ho lasciato esserlo. Ho pieno possesso del mio posto nel mondo. Ho pieno possesso della mia oscurità. Ho pieno possesso di te. E non sono spaventata da te.

(da Uncanny X-Force #11, del settembre 2013).




- Unisciti a noi. Lascia che convochi il tuo spettro. Non sei neanche un po' curiosa di vedere che aspetto ha il tuo lato oscuro?
- Fronteggio il mio lato oscuro ogni giorno. Nel riflesso della mia lama. Sentirai quanto è oscuro.

(da Uncanny X-Force #12, dell'ottobre 2013).



sabato 15 giugno 2013

né gregge né pastore

Io non sono né il gregge né il pastore. Sono qualcosa d'altro. Interamente.

(Psylocke in Uncanny X-Force 6, storia di Sam Humphries del 2013)


lunedì 30 aprile 2012

la katana e la farfalla

Se c'è un personaggio tra gli X-Men che ben rappresenta il concetto di mutazione è senza dubbio Psylocke. Non solo, nel corso della sua vita, è stata tantissime "cose" (pilota, modella, spia, giustiziere mascherato), ma è proprio nel cuore del suo essere che risiede un'inquietante e perturbante instabilità, come se il suo naturale stato di riposo consistesse proprio nel mutare. Mutando riposa, per usare un'oscura espressione di Eraclito. I suoi poteri telepatici e telecinetici, infatti, si manifestano in due forme espressive apparentemente alternative e contraddittorie: una farfalla e una katana. Come due espressioni di due opposti estremi: il potere e il controllo.
Ma la contraddizione è, appunto, soltanto apparente e superficiale. La farfalla, infatti, è sì simbolo di finezza, tocco delicato, controllo, ma – come del resto spiega anche Peter Milligan nella serie 5 Ronin, in cui alcuni personaggi della Marvel, tra cui Psylocke appunto, vengono trasportati nel Giappone medievale e impegnati ognuno a percorrere il proprio sentiero verso la vendetta – «in Giappone le farfalle sono venerate perché combinano vigore e grazia. Il vigore del volo e la grazia e la leggerezza per posarsi su questi delicati fiori», abilità di cui avrà bisogno anche la giovane O-Chiyo/Psylocke se dovrà farsi strada in questo mondo violento.
D'altra parte, come invece in un'occasione spiega la stessa Psylocke (su testo di Mike Carey), «per maneggiare una katana, la forza, il potere grezzo, non è neanche la metà di ciò di cui si ha bisogno. La spada deve divenire un'estensione del braccio, della volontà. Bisogna lasciarla volare, e dopo richiamarla a casa. Come se fosse un essere vivente sensibile ad ogni pensiero». Lasciare volare la spada, come un essere vivente, come una farfalla, leggera e vigorosa.
La farfalla e la katana, allora, non sono semplicemente due differenti espressioni del potere tra cui scegliere: «la spada può essere la farfalla. La delicatezza può vivere dentro il potere. Dirigendolo. Focalizzandolo. È come certe ambigue immagini di un vecchio libro: due volti o un vaso; una vecchia donna o una giovane ragazza. Non sono due cose. È la stessa cosa vista sotto prospettive diverse».
Come nelle classiche figure ambigue ed enigmatiche della psicologia, come in alcune litografie di Escher, come nell'eraclitea strada all'in su e all'in giù che è in realtà la stessa, il divenire, l'instabilità o la non fissità dell'identità, la fluidità dell'essere al di là delle superficiali e sbrigative apparenze, sembra essere la regola di ogni realtà.


domenica 4 marzo 2012

prima che il diavolo sappia che siamo morti

Un ultimo – anche per data di pubblicazione – esempio di una visione delle “meraviglie” (marvels) come fonte di insicurezza, paura, terrore; un esempio che, in più, ha per protagonista proprio la serie a fumetti che attualmente prediligo, cioè Uncanny X-Force
Uno degli eventi che ha caratterizzato praticamente tutte le testate fumettistiche della Marvel nel 2011 è stato Fear Itself – la paura stessa, titolo reso in italiano anche con Il potere della paura – e a tale evento è stata legata anche una miniserie in tre numeri dal titolo Before the Devil Knows We’re Dead (tra le altre cose, e non di poco conto, disegnata dall'ottimo Simone Bianchi). Il titolo è la citazione di un proverbio irlandese (may you be in heaven half an hour before the devil knows you’re dead, cioè “possa tu finire in paradiso mezz’ora prima che il diavolo venga a sapere che sei morto”) che allude a quelle persone apparentemente destinate al regno dei cieli ma che, in realtà, non sono proprio degli stinchi di santi. Le questioni etiche e morali, lo ho già segnalato, sono uno dei caratteri fondamentali di questa serie a fumetti. Il nemico di turno si chiama Jonathan Standish, affiliato dei purificatori, nobile organizzazione che si prefigge di proteggere l’umanità e salvare la sua anima dalla demoniaca progenie dei mutanti, colpevole di aver portato l’apocalisse sulla terra. La paura dei mutanti terrorizza a tal punto Standish e la scheggia impazzita di purificatori che lo segue, da portarli a progettare il piano di incitare la gente al suicidio quale unica via di salvezza e poi, una volta che la maggioranza dell’umanità ha rifiutato l’invito – qualche migliaio di persone su miliardi di esseri umani è, per il messaggio di salvezza di Standish, un fallimento –, agire direttamente per «portarla in cielo prima che il diavolo sappia che è morta», cioè compiere una strage che coinvolga quante più persone possibili, per il loro stesso bene. La prospettiva dei purificatori sembra essere quella per cui i mutanti avrebbero condotto il demonio sulla terra e, quindi, l’umanità alla fine del mondo: il pianeta sarebbe stato migliore, un luogo più pacifico, senza di loro e i loro superpoteri. Ecco il pensiero di Standish, lucidamente e follemente espresso poco prima di tentare di realizzare il suo piano di salvezza.
«Tutto ciò che volevo era una vita normale. Sono diventato un chirurgo perché volevo aiutare le persone normali. Ho studiato anni per raggiungere l’abilità necessaria a salvarle. Ma avete idea di quante di esse sono arrivate nel mio ospedale in seguito ad azioni di superumani? Sapete con quanto sangue umano mi sono macchiato, per effetto di queste “meraviglie”? Più eroi emergevano, maggiore era la sofferenza umana. Più potenti gli eroi diventavano e più potenti erano i mostri che minacciavano il nostro mondo. Noi siamo persone comuni, e vogliamo solo vivere in pace. I superumani ce l’hanno portata via. E alla fine, ci hanno portato via il nostro mondo. Io voglio solo salvare la gente». 
Le “meraviglie” che emergono nel mondo non sono altro che mostri che minacciano l’uomo normale, comune, di cui mettono a rischio la vita pacifica con la loro semplice presenza e a cui non fanno che infliggere sofferenze con le loro azioni.
«Voi non siete eroi! Voi siete orrori! La brava gente di questo mondo sarebbe molto più al sicuro se quelli della vostra razza non fossero mai spuntati fuori. Battaglie senza fine. Per ognuno di voi “eroi” che arriva, spunta anche un criminale più potente che lo affronta. Originate solo dolore e sofferenza».
Questo il violento atto d’accusa finale che Standish muove ai mutanti, orrori capaci solo di portare dolore e sofferenza alla brava gente di questo mondo. Per quanto le parole di Standish siano le folli recriminazioni dettate a una mente instabile dalla paura, gli stessi membri di X-Force sono consapevoli che questo non è un punto di vista isolato, la prospettiva di una sparuta minoranza di individui: i mutanti sanno che molti uomini, quando li guardano, non vedono in loro eroi ma soltanto assassini e che la paura negli occhi degli uomini marchia i mutanti come mostri.


sabato 24 dicembre 2011

merry x-mas

lunedì 5 dicembre 2011

universi paralleli, sogni, fantasie surrealiste

In seguito alla rivoluzione della meccanica quantistica, alla teoria per cui a livello sub-atomico la realtà non è solida e fissa, ma ha una struttura di tipo probabilistica, così che ogni volta che una determinata particella si trova a dover "prendere una decisione" l'universo intero finisce per ramificarsi in più linee spazio-temporali distinte, la letteratura fantascientifica ha finito per produrre e sviluppare il concetto di universo parallelo. 
Così – ci ricorda Roberto Manzocco nel suo saggio – ne La svastica sul sole di Philip K. Dick abbiamo un mondo in cui il Terzo Reich nazista ha vinto la guerra, ne I mondi dell'Impero di Keith Laumer un mondo in cui i neanderthaliani hanno sterminato l'homo sapiens, nel Ciclo degli Ylanè di Harry Harrison una Terra in cui i dinosauri hanno sviluppato l'intelligenza e sono la specie dominante. Anche il mondo dei comics – aggiungo io – non è rimasto insensibile al fascino degli universi paralleli e alternativi: ne sono esempi il crossover Marvel L'Era di Apocalisse, in cui si narra ciò che sarebbe successo se il prof. Xavier fosse morto prima di creare gli X-Men – sostituendo la linea temporale di Terra 616 con quella alternativa di Terra 295, di recente ripresa dalla serie Uncanny X-Force – e la serie Exiles, in cui supereroi Marvel di varie dimensioni – tra cui, per un certo periodo, anche Psylocke –  vigilano sui rapporti tra linee spazio-temporali parallele – un po' come in Lord Kalvan d'Altroquando di H. Beam Piper, ricordato da Manzocco.
Anche nella serie di Dylan Dog non mancano gli albi in cui sono presentate realtà di questo tipo: in Storia di Nessuno e Gente che scompare entrano in azione delle versioni alternative dell'Indagatore dell'Incubo, in L'ultimo uomo sulla Terra e I killer venuti dal buio compare, invece, un Dylan Dog del futuro, o di un possibile futuro.
Oltre alla presenza di universi paralleli, a rendere meno solida la realtà dell'universo dylaniato è l'idea, messa in pratica nella serie a fumetti, che il sogno non costituisca un fenomeno esclusivamente interiore, ma sia alla radice stessa della realtà. Dylan Dog presenta una visione onirica dell'essere che Manzocco accosta a quella del drammaturgo spagnolo Pedro Calderòn de la Barca, autore di La vita è sogno, di Jorge Luis Borges, di Macedonio Fernàndez, autore di No toda es vigilia la de los ojos abiertos, dello psicanalista Ignacio Matte Blanco, che ne L'inconscio come insiemi infiniti distingue tra la logica asimmetrica e aristotelica della coscienza e quella simmetrica peculiare dell'inconscio e dei sogni. Si può continuare l'elenco, ad esempio, ricordando l'idea del filosofo tedesco Schopenhauer, che argomenta «non è forse tutta la vita un sogno? – o piú precisamente: esiste un criterio sicuro per distinguere sogno e realtà, fantasmi ed oggetti reali? L’unico criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà è in effetti quello affatto empirico del risveglio, col quale in verità il nesso causale fra le circostanze sognate e quelle della vita cosciente viene espressamente e sensibilmente rotto», e poeticamente esprime la similitudine secondo cui «la vita e il sogno sono le pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama la vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è terminata e giunge il tempo del riposo, allora noi spesso seguitiamo ancora pigramente, senza ordine e connessione, a sfogliare ora qua ora là una pagina: ora è una pagina già letta, ora una ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro. Una pagina letta cosí isolatamente è invero senza connessione con la lettura ordinata: tuttavia non rimane molto indietro a questa, se si pensa che anche il complesso della lettura ordinata comincia e finisce parimenti all’improvviso, e si deve quindi considerare solo come un’unica pagina più lunga. Siamo cosí costretti a concedere ai poeti che la vita è un lungo sogno» (Il mondo come volontà e rappresentazione).
Nella serie a fumetti si realizza, secondo l'autore, una «sovrapposizione tra concezione dei sogni e teoria degli universi paralleli» e la produzione di un infinito novero di mondi possibili, il cui scopo viene riconosciuto nella rappresentazione della fantasia come strategia esistenziale per sfuggire agli orrori della vita reale: «Ho bisogno di un mistero!» – sostiene Dylan Dog ne La bellezza del demonio – «Che cos'è la vita, la mia vita, senza la speranza che un incubo diventi realtà?». La fantasia è la sensibilità superiore e aliena – attrattiva e repulsiva insieme – tipicamente infantile, un pensare il mondo in termini di categorie essenzialmente diverse da quelle adulte che rappresenta uno status gnoseologica privilegiato, un «momento di unità stuporosa più profonda con il reale» perché – secondo le parole di Elémire Zolla – «è nell'esperienza dell'infanzia che nasce la conoscenza senza dualità, la filosofia spinta al di là delle parole» (Lo stupore infantile). Il riferimento più diretto presente in Dylan Dog ad un metodo d'indagine alternativo a quello razionale e ad una apertura verso il mondo onirico e fantastico è probabilmente quello al movimento artistico del surrealismo, citato in più di un'occasione in tavole e copertine della serie, come quella dell'albo Golconda!, in cui il rimando piuttosto esplicito è a Magritte, o come nelle tavole de La clessidra di pietra in cui un personaggio entra nel quadro di Dalì La persistenza della memoria.

sabato 22 ottobre 2011

sognando la vendetta

«Poiché la vita è quel che è, sogniamo la vendetta». Con questa citazione dell'artista Paul Gauguin inizia la storia di Uncanny X-Force numero 5.1 (numero speciale pensato per presentare il fumetto anche a chi non ne ha mai sentito parlare). E quello della vendetta è probabilmente uno dei temi di fondo più caratteristici di questa testata della Marvel.
Uccidere i Reavers cyborg che in passato si sono, come forse nessun altro mai, avvicinati allo sterminio degli X-Men, tra l'altro crocifiggendo Wolverine e spingendo Psylocke ad attraversare quel Seggio Periglioso, di ispirazione arturiana, oltre il quale è stata trasformata in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era, e che ora stanno progettando un attentato all'isola-Stato mutante di Utopia – è la missione del gruppo in questa occasione. È lecito, per uno degli eroi, dei "buoni", provare gioia per l'opportunità di farla pagare a quei demoni, o è giusto essere spaventati di se stessi se all'idea di uccidere si inizia a provare piacere?
È la questione morale che incarna qui Psylocke  il punto filosofico di questo numero, e uno dei punti di forza di questa serie.

martedì 20 settembre 2011

revenge comics

Il classico tema del racconto di vendetta – rappresentato in film quali Kill Bill e Old Boy e in fumetti come la miniserie di Psylocke Kill Matsu'o (che ovviamente e postmodernamente strizza l'occhio al citato film di Tarantino) – è affrontato da Mark Millar nel suo Nemesis – dopo aver avuto una certa influenza anche nella saga Vecchio Logan, con Wolverine come protagonista – in maniera tale da decostruirne la tradizionale presenza che ha nel mondo dei fumetti. 
Batman dedica tutta la sua vita a combattere il crimine dopo l'omicidio dei suoi genitori e il Punitore è animato da origini e da una sete di vendetta simili  – seppur con meno scrupoli e paletti morali: in entrambi i casi l'idea è quella per cui la vittima di una violenza è dalla parte del giusto. Con Nemesis la prospettiva appare capovolta, rovesciata: il protagonista della storia di vendetta è un supercriminale internazionale, intento a sfidare i più abili poliziotti del mondo. 
Violenza, humor, sequenze cinematografiche e, appunto, filosofico lavoro di decostruzione. Sempre ottimo Millar.

lunedì 25 luglio 2011

88 crazy vs 77 club

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