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martedì 8 maggio 2012

e se nietzsche ti vedesse adesso?

Pensavo che siccome mia sorella era così carina e autoritaria avrebbe fatto una vita favolosa. Ma era troppo fredda e troppo religiosa. Diceva che il Cristo sarebbe stato il suo unico sposo. Roba da suore, sicuro. Non avrebbe potuto pensare cose simili senza un'influenza esterna. Venne fuori dalla camera da letto.
Dissi: - Come sta Geova stasera? Che cosa ne pensa, Lui, della teoria dei quanti? La prossima volta che ti vedi con Jahvè digli che avrei qualche domandina da fargli. Oh Signore Santissimo Geova, guarda la tua timoratissima adorante ai tuoi piedi, sta blaterando il suo stupido vaniloquio. Oh Gesù, ella è santa. Cristolino zomparello, ella ti è consacrata. Oh Spirito Santo, oh Triplice Ego santamente infuso, facci uscire dalla Depressione. Conserva le nostre riserve auree. Colpisci la Francia ma, per l'amor di Dio, fa' prosperare noialtri! Oh Geova, nella tua infinita mutevolezza vedi un po' di cacciare qualche soldino per la famiglia Bandini.
Mia madre disse: - Vergognati, Arturo. Vergogna.
Salii sul divano e urlai: - Io rigetto l'ipotesi Dio! Basta con la decadenza di questo cristianesimo fraudolento! La religione è l'oppio dei popoli! Tutto ciò che siamo o che speriamo di essere lo dobbiamo al demonio e ai suoi pomi proibiti!
Mia madre cominciò a seguirmi con la scopa, minacciandomi con la saggina sulla faccia. Spinsi la scopa da parte e saltai sul pavimento. Quindi mi tolsi la camicia e rimasi nudo dalla cintola in su. Piegai il collo verso di lei.
- Sfogate la vostra intolleranza, - dissi. - Perseguitatemi! Mettetemi su un letto di tortura! Esprimete il vostro cristianesimo! Fate che la Chiesa Militante mostri la sua anima sanguinaria! Mandatemi sulla forca! Infilate ferri incandescenti nei miei occhi. Bruciatemi sul rogo, cani cristiani!
Girai la schiena e andai alla finestra.
- Cani cristiani, - dissi. - Sciacalli, donnole, puzzole, asini.
- Sei pazzo, - disse.
- Non chiamatemi pazzo, - dissi. - Mezzesuore nevrotiche, frustrate, inibite, sciocche, bavose!
Andarono a letto. A me il divano-letto. Quando la porta fu chiusa dietro di loro tirai fuori le riviste e le ammucchiai sul letto. Ero contento di poter ammirare le ragazze alla luce in una stanza grande. Era molto meglio di quello stanzino puzzolente. Parlai con loro per circa un'ora, con Elaine, con Rosa, e alla fine un incontro di gruppo, con tutte loro radunate intorno a me. Ma dopo un po' ne fui tremendamente stanco, perché cominciai a sentirmi sempre più idiota. Tutto era diventato assai odioso e pensai: "Ma guardati! Eccoti qui seduto a parlare con un branco di prostitute. Un bel superuomo sei diventato! E se Nietzsche ti vedesse adesso? E Schopenhauer, che ne direbbe? E Spengler! Oh, Spengler ruggirebbe! Pazzo, idiota; porco, bestia, lurido sorcio spregevole, piccolo porco disgustoso!" D'un tratto feci un fascio di quelle figure e le stracciai, le feci a pezzi e le gettai nella tazza del cesso. Poi strisciai di nuovo a letto e scalciai via le coperte. Mi odiavo talmente che mi sedetti sul letto pensando alle cose peggiori che potessi pensare sul mio conto. Alla fine ero talmente esecrabile che non si poteva far altro che dormire.

sabato 7 aprile 2012

divertenti e graziosi giocattoli

More about La caduta di Hyperion«Possono non esistere esseri superiori divertiti da qualcuna delle graziose, per quanto istintive, attitudini in cui cade la mia mente, mentre considero la prontezza d'un ermellino o il timore d'un cervo? Per quanto una zuffa per strada sia cosa da odiare, le energie che mostra sono belle. Per un essere superiore, i nostri ragionamenti forse assumono lo stesso tono... per quanto errati, forse sono belli. Ed è questa, la vera essenza della poesia».
Questo passaggio tratto da una lettera del poeta inglese John Keats, uno dei miei preferiti dagli adolescenziali tempi del liceo, al fratello, già citato all'interno del primo volume del ciclo I canti di Hyperion di Dan Simmons, funge da esergo del secondo, che ho giusto finito l'altro ieri.
E a me fa risuonare in mente alcuni frammenti di Eraclito, in cui l'oscuro filosofo spegne urgentemente come fosse un incendio ogni vana presunzione umana di lucida e definitiva conoscenza e comprensione della ragione e delle leggi della realtà, poiché «la qualità interiore umana, invero, non possiede gli strumenti del conoscere», non avendo natura divina, cosicché «di fronte alla divinità l’uomo risulta infantile, proprio come il fanciullo di fronte all’uomo» e le idee degli uomini non sono altro che divertenti e graziosi «giocattoli di fanciulli».
Inoltre «dell’arco, invero, il nome è vita, ma l’opera è morte», scrive Eraclito. Il frammento allude al gioco di parole tra biòs, arco (che, adoperato come arma, può portare la morte, uccidere), e bìos, vita; allo stesso tempo, è presente un richiamo al dio Apollo, di cui sono strumenti caratteristici sia l’arco sia la lira. Così, il senso del frammento sarebbe, secondo Giorgio Colli, che «le opere dell’arco e della lira, la morte e la bellezza, provengono da uno stesso dio, esprimono un’identica natura divina, e soltanto nella prospettiva deformata, illusoria del nostro mondo dell’apparenza si presentano come frammentazioni contraddittorie» (La nascita della filosofia).
Allo stesso tema rimanda il frammento «belle, di fronte al dio, sono tutte le cose; ma gli uomini hanno giudicato alcune cose come ingiuste, altre invece come giuste». Tutte le cose sono forme differenti in cui l’unico dio compare, dio che «si altera nel modo in cui il fuoco – ogni volta che divampi mescolato a spezie – riceve nomi secondo il piacere di ciascuno»: come il fuoco resta lo stesso e contemporaneamente diventa diverso, diversamente profumato e colorato, a seconda del particolare aroma che gli si getta dentro, così il dio, che è unità dei contrari, si realizza per l’uomo in un contrario o nell’altro nelle varie contingenze della vita. L’ingiustizia, la bruttezza, la negatività delle cose (le odiose zuffe di strada di cui scrive Keats) esistono solo per l’uomo, il dio non può essere assoggettato dalle categorie della predicazione umana. Viene, così, evidenziata la frattura metafisica fra il mondo e la prospettiva degli uomini e quelli degli dei. «Il mondo» – secondo Oswald Spengler – «è un enorme ed eterno àgón che si svolge secondo rigide regole di combattimento», ha il ritmo e la misura, la forza terribile, di una lotta che però, paradossalmente, «si scioglie in armonia» perché è «qualcosa che non è nulla di umano» e di cui il filosofo può godere, «gioire della leggerezza, dell’innocenza, dell’assoluta mancanza di sofferenza nello spettacolo del suo divenire e operare» (Eraclito).

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