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lunedì 27 febbraio 2012

barthes guarda bart

Barthes ha affrontato il tema della decifrazione del modo in cui le immagini si “codificano”, come si caricano di significato in un saggio del 1964 intitolato Retorica dell’immagine, in cui esamina i modi in cui un’immagine funziona sia a livello di “connotazione” sia a livello di “denotazione”. Le immagini sembrano significati iconici o motivati (significato denotativo), tuttavia «non si incontra mai un’immagine letterale allo stato puro», nessun disegno o nessuna fotografia ci giunge se non come parte di un messaggio, come parte del tentativo di qualcuno di comunicare qualcosa (significato connotativo), come messaggio culturale specifico sovrimposto al significato denotativo dell’immagine. La fotografia sembra «un messaggio senza codice», un tipo di significante naturale, non mediato ma «gli interventi dell’uomo sulla fotografia (inquadratura, distanza, luce, flou, ecc.) appartengono effettivamente tutti al piano della connotazione», questi tratti sono parte della costruziosità della fotografia. La qualità del messaggio fotografico è la sua capacità di azzittire la sua stessa codifica, di farci dimenticare che è stata costruita (mito del “naturale” fotografico). Queste idee si applicano analogamente alle immagini che vediamo in televisione, immagini che sono sostanzialmente manipolate, costruite, fabbricate, ma che tendiamo a ricevere molto passivamente come indici affidabili della natura e della realtà.
La grande energia dei Simpson è prodotta proprio dal conflitto tra il riconoscimento della qualità molto mediata e non realistica dei significanti e la comprensione che, ciò nonostante, essi assomigliano a una realtà conoscibile. Un disegno come un personaggio dei Simpson  mette in mostra una grande misura di convenzionalizzazione: sono disegni altamente stilizzati, nondimeno li riconosciamo come rappresentazioni di certi aspetti della società. Il fatto che i personaggi con tutta evidenza non sono proprio umani aumenta la loro capacità di funzionare come significanti satirici, permettendo di avventurarsi nel regno del ridicolo molto più profondamente di quanto potrebbero fare attori umani o disegni realistici, guadagnando una libertà d’azione illimitata in ciò che possono descrivere o suggerire conservando tuttavia la capacità di esprimere riferimenti sempre in primissimo piano. Ricordando costantemente che i personaggi non sono reali, aumenta il grado in cui noi li recepiamo come significanti con la capacità di rappresentare le cose. Volando per così dire sotto il radar delle nostre menti razionali, lo show ci spinge con calma, come un virus, ad abbassare le nostre difese intellettuali, e poi ci infetta con idee satiriche e sovversive.
Barthes in S/Z, pubblicato nel 1970, definisce come “classico” un testo chiuso alle possibilità della connotazione. Un testo di tal genere funziona su un livello puramente denotativo, e il lettore non viene mai incoraggiato a speculare oltre ciò che il narratore o un’altra voce autorale affermano. Ciò implica una specie di legge o religione della lettura “corretta”: il lettore non può “scrivere” il testo né può aggiungervi cose sostanziali. Barthes definisce questi testi “leggibili”. All’opposto troviamo il testo “scrivibile” o “plurale”, un testo che incoraggia la libera interrelazione sia da parte dello scrittore sia da parte del lettore, che è ricco di connotazioni, che è di fatto aperto in relazione al suo significato ultimo: «I nomi si chiamano, si raccolgono e il loro raggrupparsi vuole a sua volta un nuovo nome: nomino, denomino, rinomino: così passa il testo: è un nominare in atto, un’approssimazione instancabile, un lavoro metonimico. La lettura non consiste nel fermare il succedersi dei sistemi, nel fondare una verità, una legalità nel testo e nel provocare, di conseguenza, gli “errori” del lettore: passo, attraverso, articolo, scateno, non conto. L’omissione dei sensi non è una materia di scuse, infelice difetto di esecuzione; è un valore affermativo, un modo di affermare l’irresponsabilità del testo, il pluralismo dei sistemi: proprio perché ometto posso dire che leggo». Propongo di considerare I Simpson esattamente un testo “irresponsabile”, ricco in associazioni e connotazioni e perversamente avverso a veder precisate tali connotazioni. La ricchezza di un testo dei Simpson è l’apertura alla connotazione, all’andamento di significanti galleggianti che si raggruppano e si disperdono apparentemente a caso: «Questa citazione fuggevole, questo modo surrettizio e discontinuo di porre un tema, quest’alternanza del flusso e dell’esplosione, definiscono l’andamento della connotazione; i semi sembrano vagare liberamente, formare una galassia di minute informazioni in cui non si può leggere nessun ordine privilegiato». In un testo “classico” i significati alla fine si raggruppano in “senso”, nei Simpson questo raggruppamento viene deferito indefinitamente. L’occhio del leggibile pretende un’uniformità finale, ci porta in una direzione molto prevedibile e culmina con un senso soddisfacente di risoluzione. Ma I Simpson, spostando in prima fila i suoi significanti e dislocandoli allegramente da significati stabili e prevedibili, permette un tipo di lettura più libero, più ricco.

(da David L.G. Arnold, “E il resto si scrive da solo”: Roland Barthes guarda I Simpson, in I Simpson e la filosofia)


mercoledì 22 febbraio 2012

un marxista (karl, non groucho) a springfield

Ci si potrebbe chiedere se la serie dei Simpson sia uno show sovversivo, se sia una forma d'arte che scuote il potere sociale, che critica quelle che Marx chiamava le ideologie dominanti – cioè le credenze, i giudizi e i modi di sentire che una società inculca con il preciso scopo di generare una riproduzione automatica delle sue premesse strutturali, di preservare il potere sociale in assenza di una coercizione diretta.
Effettivamente la comicità dei Simpson si fonda sull'incongruenza, che fa riflettere su idee e convinzioni che diamo per scontate mettendone invece in luce l'aspetto solo abituale e non naturale: riconoscendo e divenendo consapevoli di come normalmente vediamo il mondo, ci allontaneremmo dalla tendenza a pensare per stereotipi, ci vengono dubbi sulle nostre convenzioni, domande sulle nostre regole, abitudini, prospettive consuete. – Homer: Oh mio Dio. Alieni dallo spazio! Non mangiatemi! Ho moglie e figli. Mangiate loro!
E però a Springfield i marxisti non è che siano tanto i benvenuti: il cartone dell'Europa dell'est Lavoratore e Parassita che sostituisce Grattachecca e Fichetto è di una noia mortale, sul propagandista del partito comunista che si presenta allo stadio vengono scagliati pomodori, nonno Simpson si ritrova nel portafogli – oltre a tessere della massoneria e dell'alleanza gay e lesbiche – una tessera del partito comunista a dimostrazione che i comunisti convincono con l'inganno i vecchi rincoglioniti.
Nell'episodio Scene di lotta di classe a Springfield si vede bene come la serie contraddica sempre ciò che sembra pericolosamente avvicinarsi a una visione del mondo di sinistra o ad una qualsiasi presa di posizione politica: Lisa si lascia distrarre da un pony e smette di "lamentarsi", cioè di criticare i ricchi membri del country club, e tutta la famiglia finisce per riconoscere di stare meglio in un "buco" di Krusty Burger, che è il loro posto. Tutto finisce, insomma, nell'accettazione dello status quo, nella restaurazione dell'ordine sociale.
Del resto, non c'è mai simpatia o solidarietà per i lavoratori.
E va bene, forse i Simpson sono "solo" una divertente serie televisiva, però certo i rossi sono talmente cupi, delle persone così serie.

(da James M. Wallace, Un marxista (Karl non Groucho) a Springfield, in I Simpson e la filosofia)

sabato 18 febbraio 2012

così parlò bart

L'oltreuomo: lo spirito libero teorizzato da Nietzsche, che rifiuta la moralità e le virtù tradizionali, che abbraccia il caos del mondo e conferisce stile al suo carattere, poiché l'esistenza trova una propria giustificazione e redenzione solo come impresa artistica, solo realizzando la vita come un'opera d'arte. Darsi uno stile: «Una sola cosa è necessaria. “Dare uno stile” al proprio carattere: è un’arte grande e rara. L’esercita colui che abbraccia con lo sguardo tutto quanto offre la sua natura in fatto d’energie e debolezze, e che inserisce quindi tutto questo in un piano artistico, finché ogni cosa non appare come arte e ragione, e persino la debolezza incanta l’occhio. La costruzione imposta da uno stesso gusto» (Gaia scienza). La creazione di se stessi, l’essere autocreato.
Se Lisa Simpson può rappresentare l'ottimismo etico socratico, la fiducia che la ragione possa aiutare ad agire meglio, il fratello Bart può essere un modello dell'ideale nietzschiano?
La risposta, purtroppo, è no.
Benché l'oltreuomo sfidi l'autorità e la tradizione e ingiuri molte delle cose che normalmente vengono ritenute fondamentali (e possa perciò essere definito un immoralista), tuttavia non è la cattiveria di Nelson e dei suoi compagni – bruti, violenti, irriflessivi – l'ideale nietzschiano, ma neanche Bart, poiché il modo in cui egli si autodefinisce è in larga parte reattivo: non è una qualche trionfante affermazione dei suoi talenti e delle sue abilità, non è un grandioso e creativo ordito dei disparati elementi del suo sé il modo in cui egli crea se stesso, ma lo fa in opposizione all'autorità, così che quando questa scompare Bart perde la sua identità.

BART - Lisa, tutti in città si comportano come me. Perché mi fa tanto schifo allora?
LISA - Semplice. Ti sei definito un ribelle. In assenza di una sovrastruttura repressiva la tua nicchia nella società è stata incorporata.
BART - Capisco.
LISA - Da quando è arrivato quel tizio dell'autoaiuto tu hai perso la tua identità tra le crepe della nostra società pizza pronta, cotto in un'ora, latte liofilizzato.
BART - Qual è la risposta?
LISA - Questa è la tua occasione per sviluppare una nuova e migliore identità. Posso suggerire di far da ciabattina allegra?
BART - Buona idea. Dimmi cosa devo fare.
(Il fanciullo interiore di Bart)

Questo è il pericolo di scivolare nel nichilismo passivo.

(da Mark T. Conard, Così parlò Bart: Nietzsche e la virtù della cattiveria, in I Simpson e la filosofia)

giovedì 16 febbraio 2012

la spinta morale di marge

Marge risulta la più stabile pietra di paragone della moralità. Per risolvere i suoi dilemmi morali, Marge lascia semplicemente che la ragione guidi la sua condotta verso un calibrato e ammirevole bilanciamento tra gli estremi. Aristotele descrive le virtù come giusto mezzo tra due estremi viziosi, uno per eccesso e uno per difetto, e Marge è una persona genuinamente coraggiosa, non una temeraria; per quanto riguarda la temperanza tende a essere più spartana che indulgente eppure non è spilorcia ma generosa tanto quanto la condizione finanziaria instabile della sua famiglia glielo permette; non è opprimente ma non è neanche permissiva. Marge è moderata in tutto ciò che fa: proprio come Aristotele comprende l’importanza del giusto mezzo per una vita virtuosa e agisce scegliendo un bilanciamento tra gli estremi viziosi.
Nonostante la virtù sia sfuggente, Aristotele crede che per chi la trova la ricompensa sia molto alta. Come afferma all’inizio dell’Etica Nicomachea, il fine ultimo della vita umana è la felicità (eudaimonia, distinta dal piacere) e Aristotele afferma che le virtù sono desiderabili perché promuovono la felicità a lungo termine di coloro che le possiedono. Non va frainteso come un mero appello ai propri bisogni egoistici, perché l’uomo è un animale sociale e la sua felicità a lungo termine dipende in gran parte dalla famiglia e dagli amici. Non possiamo raggiungere l’eudaimonia senza l’aiuto degli altri e quindi molte virtù hanno valore proprio perché ci aiutano a coltivare legami profondi con parenti e amici, legami che sono indispensabili per vivere bene. La felicità di Marge ne è un esempio. Ciò che conta di più per lei è il benessere di suo marito e dei suoi figli. È quindi attraverso la felicità della sua famiglia che Marge raggiunge la propria eudaimonia. Vivendo la sua vita secondo le virtù aristoteliche, Marge crea relazioni sociali forti che la rendono profondamente felice.
Secondo Aristotele «è evidente che nessuna delle virtù etiche sorge in noi per natura». Tuttavia abbiamo un’abilità naturale nell’acquisire la virtù attraverso l’abitudine: «Compiendo cose giuste diventiamo giusti, compiendo cose moderate, diventiamo moderati, facendo cose coraggiose, coraggiosi». Le persone virtuose possono quindi rappresentare importanti modelli per il nostro sviluppo morale. Anche Marge sa quanto è importante il suo modello per lo sviluppo morale di Lisa e quello più lento e più disordinato di Bart.
Marge segue la ricetta aristotelica della felicità e della vita morale, e con grande successo. Il bene che cerca di fare quando prende le decisioni è il bene della sua famiglia e quindi il suo. Non si può negare che Marge sia dotata di virtù e neanche che da queste le derivi la felicità. A Marge piace essere coraggiosa, onesta e temperante perché queste qualità l’aiutano ad aiutare la sua famiglia. La sua felicità giustifica la sua vita di virtù aristotelica.

(da Gerald J. Erion e Joseph A. Zeccardi, La spinta morale di Marge, in I Simpson e la filosofia)


mercoledì 15 febbraio 2012

homer e aristotele

Aristotele ci ha fornito una categorizzazione logica di quattro tipi di carattere. Abbiamo il virtuoso, il continente, l’incontinente e il vizioso.
Se Lisa è virtuosa, i suoi desideri andranno di pari passo con la sua giusta decisione e la sua giusta azione. Lenny, che è continente, è capace di dare seguito con l’azione alla sua decisione, ma lo fa andando contro i suoi desideri. L’incontinente è capace di formulare la decisione corretta su cosa fare, ma la sua volontà è debole: Bart soccombe al proprio desiderio e non agisce in modo adeguato. Per quanto riguarda il vizioso, non abbiamo invece né lotta contro i propri desideri né debolezza di volontà, perché la decisione del vizioso è moralmente sbagliata e i suoi desideri l’assecondano pienamente: Nelson è vizioso.
La ragione gioca un ruolo cruciale. Il virtuoso non può essere stupido o ingenuo. Deve possedere capacità di ragionare criticamente che gli permettano di distinguere le differenze nelle situazioni e quindi di essere capace di reagire di conseguenza. Sul ruolo della ragione pratica (phronesis) Aristotele insiste molto: se uno fosse virtuoso per istinto, non possiederebbe la virtù “propriamente detta” ma al massimo la virtù “naturale”. Secondo Aristotele «occorre che chi compie [le azioni] lo faccia in una determinata disposizione d’animo, cioè innanzitutto che siano compiute consapevolmente, quindi di proposito, e di proposito a causa di esse stesse, in terzo luogo con volontà ferma e immutabile» (Etica Nicomachea, 1105a30-1105b). L’agente deve sapere che la sua azione è virtuosa, deve agire volontariamente e deve farlo perché l’azione è virtuosa.
Homer rispetto ai suoi appetiti corporei non solo non è virtuoso, ma è decisamente vizioso. È anche un bugiardo patentato. È inoltre insensibile ai bisogni e alle pretese degli altri. Anche le sue abilità di padre e marito lasciano molto a desiderare. Inoltre gli manca la sola virtù intellettuale necessaria a un carattere etico, ovvero la phronesis, la saggezza pratica, la facoltà di muoversi nel mondo con intelligenza, con moralità e con una meta in vista. A Homer sembrano mancare persino le più minime capacità di inferenza, ha capacità di ragionamento minime. Non dobbiamo tuttavia essere troppo duri con Homer, perché qualche volta agisce in modo ammirevole: si dimostra affettuoso e amorevole, in certe occasioni mostra anche del coraggio e dà prova di gentilezza. In alcuni momenti sembra persino rendersi conto dei propri limiti.
Cosa dobbiamo pensare di tutto questo? Non è un modello di virtù, ma certamente non è malevolo. La reazione più dura che abbiamo nei suoi confronti è di pietà. L’educazione, la famiglia, il gene dei Simpson, c’è ben poco che Homer possa fare per migliorarsi. Non ha la stabilità di carattere che contraddistingue il virtuoso: infatti, anche se a volte Homer agisce in modo corretto, le ragioni per cui lo fa in genere sono sballate, o quanto meno ambigue (dobbiamo anche ricordare che in molti casi in cui Homer fa la cosa giusta, deve combattere contro i suoi desideri di fare altrimenti, e che a volte, nonostante sappia cosa dovrebbe essere fatto, sceglie di fare la cosa sbagliata, esibendo debolezza di volontà).
Homer non è virtuoso. Quando si va sul cibo e le bevande cade apertamente nel vizio e nelle altre sfere dell’azione umana ondeggia sempre tra continenza e incontinenza.
La qualità di Homer è la sua “umanità a tutto tondo”, che comprende l’amore per la vita e per il godimento della stessa, nei suoi elementi di base, senza dare troppo peso, se non nessuno, a ciò che pensa la gente, la mancanza di malvagità nel suo comportamento da bambino, l’essere aperto, onesto, persino brutale su chi lui è, cosa vuole e cosa pensa degli altri. Homer ha un tratto degno di ammirazione perché nonostante i suoi mezzi finanziari ed economici modesti, nonostante viva in una città come Springfield, riesce a conservare il suo amore per la vita.

(da Raja Halwani, Homer e Aristotele, in I Simpson e la filosofia)



martedì 7 febbraio 2012

contingenza, ironia, solidarietà: la filosofia dei simpson

Oltre a tentare – e in maniera originale e pertinente – l'accostamento dei principali personaggi della serie ad aspetti specifici delle filosofie dei più importanti pensatori della storia (Homer e Marge visti sotto la lente dell'etica aristotelica, Bart paragonato all'oltreuomo nietzschiano, Lisa presentata da una prospettiva kantiana) e l'analisi filosofica di alcuni classici e ricorrenti temi simpsoniani (il male e la felicità, l'antintellettualismo) – dimostrando di essere un testo divertente per chi ama la serie tv de I Simpson, profondo per chi si interessa di filosofia, profondamente divertente per chi frequenta entrambi gli ambienti –, I Simpson e la filosofia propone anche una spiegazione possibile sul successo de I Simpson, che sono una serie che ti premia se le presti attenzione: i riferimenti sia alla cultura alta sia a quella popolare tessono un’intricata trama che necessita più visioni e la massima attenzione. Guardando I Simpson, e più volte, proviamo quindi piacere estetico e soddisfazione perché in qualità di spettatori ci piace riconoscere, capire e apprezzare le allusioni. Il pubblico si diverte a partecipare al processo creativo per la sua qualità ludica che invita a giocare. Uno dei più importanti effetti estetici che l’allusione può creare è “coltivare l’intimità” e forgiare la comunità, rafforzare il rapporto tra autore e pubblico che diventano membri di un club con parole d’ordine segrete.
Inoltre, altra caratteristica vincente de I Simpson, è l'iper-ironia.  La serie usa lo humour non per impartire lezioni morali, anzi I Simpson probabilmente non impartiscono un bel niente, dato che il meccanismo dello humour della serie propone posizioni morali solo per poterle indebolire in un secondo momento. Ma questo processo di indebolimento opera a un livello così profondo da impedirci di considerare la serie semplicemente cinica, poiché riesce a indebolire anche il proprio cinismo. E questo processo costante di indebolimento è ciò che si può intendere per “iper-ironismo”, che filosoficamente si può far risalire alla versione rortiana di Derrida, al consiglio ai filosofi di considerare se stessi partecipanti storicamente consapevoli e contingenti di una conversazione, invece che ricercatori quasi scientifici. Rorty, una volta convinto della tesi di Derrida sulla non-esistenza della verità filosofica trascendente, ha ristrutturato la filosofia come conversazione storicamente consapevole che in gran parte consiste nella decostruzione delle opere del passato. E partecipare a questa conversazione consapevolmente contingente e auto/iper-ironica è quello che sembrano fare I Simpson. I membri della cui famiglia, alla fine di ogni episodio, si vogliono bene e riescono sempre a trasmetterci la forza pura dell’amore irrazionale (o non razionale) di esseri umani per altri esseri umani, partecipando e dando prova di quella solidarietà che – per lo stesso Rorty – è, forse, l'unico valore non ironicamente decostruibile, non meramente contingente ma umanamente universale.

venerdì 13 gennaio 2012

ecologia

Madre Natura ha bisogno di un favore?
Beh, poteva pensarci quando ci affliggeva con siccità, carestie e scimmie infette.
(Mr. Burns)

venerdì 11 novembre 2011

l'apprendista stregone

«La moderna società borghese, che ha evocato come per incanto così colossali mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che si trovi impotente a dominare le potenze sotterranee che lui stesso abbia evocate», scriveva Marx nel Manifesto del Partito Comunista, utilizzando, per spiegare come l'avvento del socialismo sarebbe stata una necessità storica prodotta dallo stesso sviluppo dialettico del capitalismo – che aveva generato gli stessi uomini e armi che lo avrebbero abbattuto – una metafora tratta dalla ballata di Goethe L'apprendista stregone.
Composta nel 1797 e ispirata a un episodio de L'amante del falso di Luciano di Samosata, la ballata di Goethe racconta di un giovane apprendista che, ricevuto dal maestro l'ordine di pulire le stanze durante la sua assenza, si serve di un incantesimo  per dare vita a una scopa che compia il lavoro al posto suo. La scopa agisce come le è stato ordinato, ma finisce per allagare le stanze, senza che l'apprendista sappia come fermarla se non provando a spezzarla in due con l'accetta, ma ottenendo il solo risultato di raddoppiarla. Solo il ritorno del maestro stregone rimedierà al disastro.
Dall'opera letteraria, il compositore francese Paul Dukas ricavò l'impianto di un poema sinfonico, e alla storia si è ispirato anche un episodio del film d'animazione Disney Fantasia  con protagonista Topolino , a sua volta parodiato da Grattachecca e Fichetto in un episodio de I Simpson.

venerdì 30 settembre 2011

tom sawyer e bart simpson

Una piacevolissima lettura è il Tom Sawyer di Mark Twain: spassosissimo, divertente, ironico, e si apprezza ancor di più se lo si legge ad alta voce in compagnia e, secondo me, se si è un fan dei Simpson serie che, del resto, contiene spesso citazioni da questo pilastro della cultura popolare americana –, perché si proietta retrospettivamente tutto lo humor della famiglia gialla e cattiva su questo romanzo dell'Ottocento.


lunedì 1 agosto 2011

simpson + saint seiya

venerdì 29 luglio 2011

d'oh!

venerdì 22 luglio 2011

homer vitruviano

lunedì 28 febbraio 2011

i simpson: una prospettiva kantiana


Secondo Immanuel Kant una caratteristica basilare del punto di vista morale è l’impegno dimostrato nel fare il proprio “dovere”. Il termine “dovere” implica la presenza di due forze opposte: da un lato vi sono i desideri, i sentimenti e gli interessi, dall’altro vi è ciò che si ritiene si debba fare, il tipo di persona che si vorrebbe essere. Queste due forze entrano spesso in conflitto. Il modello morale ideale è colui che decide di mettere in secondo piano e di sacrificare, se necessario, i desideri, i sentimenti e gli interessi personali a favore del dovere di fare la cosa giusta o di diventare il tipo di persona giusta.
Boe pensa solo e unicamente ai propri desideri e al proprio interesse e sembra essere poco, se non per niente, preoccupato del dovere morale. I dilemmi morali di Homer si esprimono in modo molto concreto: egli vuole sinceramente essere un buon padre e un buon marito, ma i piaceri personali lo attraggono a tal punto da fargli scordare i suoi doveri.
Flanders rappresenta l’estremizzazione della morale, una morale che non implica più alcun conflitto con i desideri e gli interessi personali. Perché vi sia un vero senso del dovere morale, vi devono essere due forze, non una. Illustra quanto una moralità che si identifica con il rispetto di un codice di comportamento esterno sfoci in ipocrisia.
I rari momenti in cui Bart prende coscienza del dovere sottolineano con maggiore forza alcune questioni morali.
Marge è pronta a sacrificare i suoi interessi in nome del dovere. Perché fare la cosa giusta deve essere un sacrificio? Kant sostiene che la tensione tra il dovere e il desiderio è temporanea, alla lunga il dovere morale e la felicità personale devono conciliarsi.
La coscienza morale del dovere è ben descritta nel personaggio di Lisa, che ha un acuto senso del dovere ma la sua moralità, tuttavia, non è quella boriosa e istituzionale di Flanders che nasce dal rispetto per l’autorità della Bibbia e della Chiesa. La moralità di Lisa nasce da una riflessione personale e ci mostra quanto sia difficile a volte vivere nel rispetto dei principi invece che lasciarsi andare a sconsiderati compromessi con lo status quo. Questo, secondo Kant, porta a un’altra caratteristica della moralità: la moralità è essenzialmente determinata dalla persona, nasce dalla riflessione personale e non da convenzioni sociali esterne o da insegnamenti religiosi dettati dall’alto. Lisa difende il principio e ne paga le conseguenze. La cosa più semplice sarebbe seguire la corrente, non fare onde e chiudere gli occhi. Ciò che rende Lisa più di una santarellina è la sua acuta sensibilità e la sua voglia di felicità. La natura conflittuale del dovere morale, con la sua tendenza a richiedere sacrifici personali, è rappresentata qui in tutta la sua intensità e si manifesta nella frustrazione e nel dolore che esprime attraverso le melodie tristi e struggenti del suo sassofono. Kant sostiene che la bellezza e l’arte offrano la possibilità di una vita morale più alta.

(da James Lawler, Il mondo morale della famiglia Simpson: una prospettiva kantiana, in I Simpson e la filosofia)

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