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domenica 26 gennaio 2025

la macchina volante di leonardo da vinci

Altro set Lego acquistato a inizio anno, la Macchina volante di Leonardo da Vinci permette di esplorare la storia dell’ingegno artistico, di costruire un modello dettagliato del visionario ornitottero. Si tratta di una replica autentica del design di Leonardo, dotato di ali azionabili tramite un visibile gioco di corde, cerniere e pulegge, e che include un espositore e la minifigure di Leonardo da Vinci.










Questo set, che permette di spiegare le ali della creatività, trova facilmente posto nello scaffale con i testi di e su Leonardo, in cui già un amigurumi realizzato da Simona era il benvenuto. Facilmente, in realtà, solo perché scontata la collocazione, ma certo non perché lo spazio disponibile renda la renda agevole.

Di Leonardo da Vinci alle classi quarte leggo sempre un passo - citato anche da Eugenio Garin nel suo capitolo sul filosofo presente in L'uomo del Rinascimento - del Codice Arundel.
Secondo Garin un documento singolare della mutata immagine del "filosofo" nel Rinascimento in qualche modo è offerto da una grande opera d'arte: i Tre Filosofi del Giorgione, con le tre enigmatiche figure assorte - un giovane scienziato curioso della natura, un vecchio venerando e un orientale -, con il più giovane, seduto, tra stupore e attesa, che guarda quella che - appunto - Leonardo da Vinci chiamò «la minacciante e scura spilonca», magari la caverna di Platone. Una radiografia dei Tre filosofi rivelò che in origine i filosofi erano i Re Magi, che con i loro calcoli stanno osservando la Stella che annuncia la venuta del Cristo e indica la strada, se esattamente interpretata. I Magi infatti non sono che degli astrologi, oltre che dei saggi. Orbene, nella redazione definitiva dei Tre Filosofi gli astrologi si trasformano in filosofi, che indagano i misteri della natura usando, almeno il più giovane, calcoli e misure. Il che traduce fedelmente la posizione più volte espressa dal Ficino circa il succedersi nel tempo di vari tipi di ricerca. In altri termini il filosofo non fa che portare a livello di ricerca razionale le istanze a cui intendevano rispondere e magi e astrologi. D'altra parte il nuovo filosofo continua a chinarsi sulla caverna, che per un verso rimanda a Platone, ma per l'altro non può non rievocare con forza proprio Leonardo, e il testo famoso del Codice Arundel: «vago di vedere la gran copia delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, pervenni all'entrata duna gran caverna; dinanzi alla quale, piegato le mie reni in arco e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e colla destra mi feci tenebre alle abbassate e chiuse ciglia; e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa; e questo vietatomi per la grande oscurità che là entro era. E stato alquanto, subito salse in me due cose, paura e desiderio: paura per la minacciante e scura spilonca, desiderio per vedere se là dentro fusse alcuna miracolosa cosa». 

Anche Massimo Cacciari, nel suo saggio sull'Umanesimo La mente inquieta, ricorda l'occhio leonardesco, la sua «bramosa voglia» di ficcarsi nell’ignoto, di penetrare nella “mirabil necessità” che tutto anima e tutto collega, nella caverna del mondo, della “artifiziosa natura”. Potrebbe essere, concorda anche il filosofo, l’occhio del piú giovane dei tre filosofi del Giorgione, fiducioso della propria forza, fisso di fronte alla caverna - ingens sylva, pronto a esplorarla e rappresentarla; abissi di ignoto, sí, gli si presentano dinanzi – ma nulla di inconoscibile. 

martedì 21 giugno 2011

occhi di gatto

«Agli occhi del gatto tutto è del gatto» è un proverbio inglese che mi ha inconsapevolmente citato una studentessa l'anno scorso mentre la interrogavo sull'immagine dell'uomo nel periodo umanistico/rinascimentale. 
Discutendo della critica mossa da Montaigne nei suoi Saggi alla visione presuntuosa e arrogante di un uomo che è «la piú disgraziata e la piú fragile di tutte le creature e tuttavia la piú orgogliosa», che «s'immagina di porsi al di sopra della sfera lunare e di poter mettere il cielo sotto i suoi piedi»  e che «per la vanità di questa stessa immaginazione  si eguaglia a Dio, si attribuisce le possibilità divine, attribuisce a se stesso ogni privilegio e si separa dalla massa delle creature», ricordavo di come il filosofo francese avesse fatto proprio l'esempio della sua gatta per spiegare tutto ciò: «quando gioco con la mia gatta chissà se essa mi prende come suo passatempo cosí come faccio io per essa?».
 

Leggendo Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, mi imbatto in un «gatto dell'isola di Man, fermo al centro del prato come se anche lui interrogasse l'universo».
 

Solo piccole risonanze.

domenica 19 giugno 2011

icone rinascimentali

Che cos'è, esattamente, un emblema? La definizione che si legge sui dizionari pare largamente insufficiente: un'immagine enigmatica o simbolica, accompagnata da un motto che aiuta a decifrarne il significato, a sua volta chiarito più in basso da un breve testo, in versi o in prosa. Per fortuna viene in soccorso la pubblicità. Avete presenti le scarpe Nike? Nike in greco vuol dire vittoria; il logo stilizzato allude appunto alle ali di una Vittoria alata (come la statua del Louvre); e il motto "Just do it!" occupa lo spazio che spettava alla riflessione sentenziosa.
Potere dell'immagine, concisione, memorabilità: un emblema e un brand di successo hanno parecchie cose in comune.
Ci si può immergere in questo mondo di simboli e cifre grazie all'edizione del capostipite di questo fortunato genere letterario: Il libro degli emblemi di Andrea Alciato, la cui prima edizione apparve in Germania nel 1531 (una seconda edizione fu approntata nel 1534 e in successive ristampe, fino al 1621, il numero degli emblemi lievita da 113 a 212, corpus che lunga tutta la sua vita Alciato non aveva mai smesso di incrementare e correggere, riorganizzando testi e immagini).
Pervasa da una crescente curiosità per i geroglifici, che erano ritenuti celare il sapere originario dell'Egitto, la cultura rinascimentale era ormai pronta a entusiasmarsi per un'opera del genere. Proprio questo legame degli emblemi con gli interessi "ermetici" degli umanisti è importante: oltre alla memorabilità del nesso parola/immagine, con le sue evidenti implicazioni pedagogiche, la forma dell'emblema implica infatti anche una comunicazione cifrata, per iniziati, capaci di decifrare i significati reconditi racchiusi in una figura mitologica o in un simbolo. Di lì a pochi anni, la secolare passione delle aristocrazie europee per i motti figurati che ogni gentiluomo era tenuto a scegliere come autodescrizione del proprio carattere e delle proprie aspirazioni, sarebbe nata anche su queste basi e avrebbe trasformato la cultura dell'emblema in un raffinato gioco di società.
Oltre la vicenda delle interpretazioni ermetiche di questi emblemi e le loro influenze sulla storia dell'arte, c'è un altro filone di indagine che non può essere trascurato. In quanto massimo giurista del Cinquecento, Alciato è stato percepito dai suoi contemporanei come un pensatore politico e appunto di riflessioni sulla vita associata degli uomini sono pieni gli Emblemata, che nelle ristampe degli anni Quaranta giungono ad accogliere più di uno spunto dalle opere di Machiavelli, a cominciare dalla figura, ambigua, del centauro come incarnazione del perfetto politico, che dovrà, alla bisogna, recuperare la propria metà ferina per prevalere nella contesa. Esattamente come per le numerose reinterpretazioni alchemiche, in questa chiave nei decenni successivi non mancarono riscritture e chiose del libretto di Alciato ripensato come "manuale di prudenza" per i sovrani.

(da Gabriele Pedullà, L'apparenza non inganna, in Il Sole 24 Ore - Domenica, 6 dicembre 2009)

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