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mercoledì 25 dicembre 2013

il perturbante

Quello di perturbante è un concetto al quale Sigmund Freud ha dedicato nel 1919 un breve saggio – Das Unheimliche, appunto –, in cui si inizia da un’indagine etimologica della parola. Il significato di perturbante «si riallaccia indubbiamente a ciò che è spaventoso, che suscita terrore e orrore» e, più in generale, «tende a coincidere con ciò che suscita paura», con lo strano, il fantastico, l’ignoto. Più nello specifico, continua Freud, è «un genere di spavento che si riferisce a cose da lungo tempo conosciute e familiari», ma che, in determinate occasioni, diventano inquietanti e spaventose. Nonostante la parola tedesca unheimlich sia l’opposto di heimlich e di heimisch, che hanno il senso di casalingo, familiare, nativo, abituale, è lo stesso termine heimlich a possedere una certa ambiguità di significato, riferendosi a due ordini di idee assai diversi se non proprio opposti: «da una parte ciò che è familiare e piacevole e, dall’altra, ciò che è nascosto e tenuto celato».
A questo punto Freud dapprima chiama in causa Schelling, nel tentativo di sciogliere l’enigma: secondo il filosofo tedesco, il senso di perturbante è riferibile a «tutto ciò che doveva rimanere segreto ma è venuto alla luce», come se dall’idea di casalingo, appartenente alla casa, nascesse l’idea di qualcosa sottratto alla vista degli estranei, nascosto e segreto. Successivamente, comincia la sua analisi più propriamente psicoanalitica, collegando quest’idea del “segreto venuto alla luce”, inaspettatamente, involontariamente, con la possibilità che qualcosa di analogo avvenga anche nell’attività della psiche umana: «l’elemento spaventoso», allora, sarebbe «costituito da qualcosa di rimosso che si ripresenta», non, in realtà, da qualcosa di nuovo o estraneo, ma da «un elemento ben noto e impiantato da lungo tempo nella psiche, che solo il processo di rimozione poteva rendere estraneo». Così, secondo Freud, il perturbante sarebbe un fatto intimamente familiare che riemergerebbe dopo essere stato sottoposto a un processo di rimozione, un residuo di attività psichica riportato alla luce.
Per illustrare questa sua analisi con un esempio, Freud affronta, tra gli altri, il tema del “doppio”:

«Il “doppio” era, all’origine, un’assicurazione contro la distruzione dell’Io, “un’energica negazione del potere della morte”, come dice Rank, e, probabilmente, l’anima “immortale” fu il primo “doppio” del corpo. Tali idee sono nate dal terreno di un illimitato egoismo, dal narcisismo primario che domina la mente del fanciullo e del primitivo. Ma quando questo stadio sia superato, il “doppio” inverte il suo aspetto. Da assicurazione contro la morte diventa il perturbante annunciatore di morte».

Il “doppio”, da assicurazione contro la morte e garanzia di immortalità concepite e prodotte da un pensiero ancora infantile e primitivo, oltre che primariamente egoistico e narcisistico, capovolge il suo senso in quello di perturbante messaggero di morte. Questo prodotto psichico, però, può successivamente, con nuovi stadi di sviluppo dell’Io, ricevere ancora ulteriori e nuovi significati, quali quello di funzione di auto-osservazione e autocritica:

«Può ricevere nuovi significati dai successivi stadi di sviluppo dell’Io. In esso si viene lentamente formando uno speciale ente, atto a sovrastare al resto dell’Io, la cui funzione consiste nell’osservare e criticare la personalità, esercitando una censura nell’ambito della mente, censura della quale noi siamo consapevoli e che chiamiamo “coscienza”».

Oltre che come “coscienza” osservatrice, critica e censoria, il “doppio” può anche assumere l’aspetto di immagine di un Io ideale, possibile, alternativo, sostenuto dall’idea della nostra sostanziale libertà di scelta:

«I futuri non adempiuti, ma possibili, cui ci piace ancora attaccarci nella nostra fantasia, tutti gli sforzi dell’Io che circostanze esteriori avverse hanno reso vani, tutte le azioni volitive soppresse».

Un Io incompiuto ma, forse, ancora possibile, rimasto pura fantasia solo per contingenti e contrarie situazioni. Ma, continua Freud, un impulso difensivo sembra aver «obbligato l’Io a proiettare all’esterno detto materiale, quasi si trattasse di qualcosa di estraneo. A conti fatti, l’aspetto perturbante del “doppio” non può derivare da altro se non dal fatto che esso è una creazione che risale a uno stadio mentale molto primitivo, da lungo tempo superato, durante il quale, sia detto tra parentesi, il “doppio” appariva sotto un aspetto più amichevole».
Proiettato all’esterno perché ormai prodotto psichico superato, che, in un certo senso, ha fatto il suo tempo, questo “doppio” inizialmente familiare, intimo e amichevole può ripresentarsi, improvvisamente, come qualcosa di ormai apparentemente estraneo, insolito, inquietante. Una regressione, quindi, il ritorno di complessi infantili o primitivi rimossi, sono la fonte da cui scaturirebbe il senso del perturbante: «Si ha una sensazione perturbante quando una data impressione riporta a nuova vita complessi infantili rimossi, oppure quando credenze primitive e superate sembrano trovare una conferma», conclude esplicitamente Freud.

«Prendiamo il perturbante legato all’onnipotenza del pensiero, all’esaudimento istantaneo dei desideri, ai poteri malefici occulti e al ritorno dei morti. Un tempo noi, o i nostri progenitori, credevamo che queste possibilità fossero realtà ed eravamo convinti che si realizzassero effettivamente. Oggi non ci crediamo più, avendo superato questo modo di pensare, ma non ci sentiamo assolutamente certi delle nostre nuove credenze e quelle vecchie esistono tuttora in noi, pronte ad approfittare di tutto ciò che possa dare loro conferma. Non appena nella vita ci succede effettivamente un fatto, che sembra confermare le vecchie, rigettate credenze, siamo presi da un senso di perturbamento».

Credenze infantili, primitive, superate e rimosse – nostre o dei nostri progenitori – possono tornare, approfittando prontamente di situazioni esterne che sembrano riconfermarle, e mettere quindi in crisi e in discussione le nuove credenze, che sembravano ormai acquisite, salde e sicure, ma di cui invece, evidentemente, non si è affatto assolutamente certi. Il sentimento che si prova in queste incredibili (uncanny) circostanze è il perturbante.



sabato 17 dicembre 2011

il piacere di avere paura

Ampliando l'idea di Bruno Bettelheim secondo cui le fiabe per bambini rappresenterebbero un rito di passaggio adolescenziale «Una particolare storia può rendere ansiosi certi bambini, ma una volta che essi hanno ottenuto una maggiore dimestichezza con le fiabe gli aspetti paurosi sembrano scomparire, mentre gli elementi rassicuranti diventano ancora più dominanti. Lo scontento originario dell'ansia si trasforma allora nel grande piacere dell'ansia dominata e affrontata con successo. I genitori che vogliono negare che il loro figlioletto ha desideri omicidi e vuole fare a pezzi cose e addirittura persone credono che al loro bambino debba essere impedito di covare pensieri del genere (come se fosse possibile)» (Le fiabe e le paure dei bambini, in Il piacere di avere paura – e adattandola ai racconti dell'orrore della serie a fumetti Dylan Dog, Roberto Manzocco sostiene nel suo saggio che il loro fascino «potrebbe ruotare attorno ad una forma di rito di passaggio post-moderno: in sostanza i mostri e lo splatter ci fanno sentire vulnerabili, ci tolgono il terreno da sotto i piedi, portano l'orrore fin dentro di noi, in modo da farcelo assaporare e casomai vincere – senza alcun pericolo. Le storie di paura e di orrore sono quindi esperimenti mentali che ci consentono di rafforzare le nostre difese psicologiche e dunque di crescere».
Oltre che a questa ipotesi, l'autore si richiama anche ad altri studi e analisi, filosofici e psicologici, sui temi dell'orrore, della violenza e della crudeltà. La psicologa inglese Kathleen Taylor autrice di Cruelty. Human evil and the human brain sottolinea come il piacere e la soddisfazione procurati dal sadismo vicario della crudeltà fruita e mediata derivino dal potere emotivo e dal senso di vertigine che essa induce, similmente a ciò che succede sulle montagne russe o sulle giostre; mentre lo psicologo americano David Buss sostiene in The murderer next door. Why the mind is designed to kill – che a livello inconscio è presente dentro di noi un'aggressività smisurata che riceve una soddisfazione di tipo vicario da certi generi di rappresentazione. Secondo il filosofo americano Noël Carroll autore di The Philosophy of Horror, saggio in cui presenta il "mostro" come quell'essere interstiziale e contaminato, inclassificabile e indefinibile una volta per tutte perché capace di infrangere le categorie con cui normalmente separiamo, ad esempio, l'interno e l'esterno, l'io e il tu, il vivo e il morto –, invece, «non il sangue e la violenza in sé, ma la propria capacità di assorbire l'orrore e dominare l'ansia e il disgusto» è ciò che si trova di piacevole nel genere horror.
Un altro elemento che Manzocco presenta nella sua analisi è il rapporto tra horror ed erotismo, l'erotizzazione dello splatter. E il filosofo di riferimento è, in questo caso, Georges Bataille, che ne L'erotismo scrive: «Se la bellezza, il cui compimento rifiuta l'animalità, è appassionatamente desiderata, ciò accade perché il possesso introduce in essa l'impurità animale. La si desidera per poterla corrompere. Non in sé e per sé, bensì per la gioia gustata nella certezza di profanarla. Nel sacrificio, la vittima veniva scelta in modo che la sua perfezione rendesse sensibile la brutalità della morte. La bellezza umana, nell'unione dei corpi, introduce la contrapposizione tra l'umanità più pura e l'animalità vergognosa degli organi. Del paradosso del laido che si contrappone nell'erotismo alla bellezza, i Quaderni di Leonardo da Vinci forniscono questa incisiva espressione: "L'atto dell'accoppiamento e le membra di cui esso si serve sono d'una tale laidezza che se non vi fosse la bellezza dei volti, gli ornamenti dei partecipanti e lo slancio sfrenato, la natura perderebbe la specie umana". Leonardo non s'avvede che le attrattive di un bel viso o di un bell'abito giocano nella misura in cui questo bel viso preannuncia ciò che l'abito dissimula. L'importante è di profanare quel volto, la sua bellezza. Di profanarlo in primo luogo mettendo a nudo le parti segrete di una donna, poi introducendovi l'organo virile. Esattamente come la morte nel sacrificio, la laidezza dell'accoppiamento comunica angoscia. Ma maggiore è l'angoscia e più forte è la coscienza di superare i limiti, che dà origine a un trasporto gioioso. Il fatto che le situazioni mutino a seconda dei gusti e delle abitudini, non può evitare che generalmente la bellezza (l'umanità) di una donna concorra a rendere sensibile l'animalità dell'atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna, sulla quale la laidezza degli organi o dell'atto non risalti. La bellezza ha soprattutto valore perché la bruttezza non può essere profanata, laddove l'essenza dell'erotismo risiede appunto nella profanazione. L'umanità, significativa del divieto, è trasgredita nell'erotismo: è trasgredita, profanata, guastata. Maggiore è la bellezza, più profonda è la profanazione». L'idea del filosofo francese – espressa anche nella raccolta di saggi Il labirinto è che nell'uomo esista un eccesso irresistibile alla distruzione che opera in perfetto accordo e sincronia con l'incessante e inevitabile rovina e dissoluzione del divenire della realtà universale: «è il desiderio in noi di consumare, di rovinare, di dare alle fiamme tutte le nostre risorse; è la felicità che ci procurano la consumazione, il falò, la rovina che ci appaiono divini, sacri e che soli decidono in noi atteggiamenti sovrani, vale a dire gratuiti, superflui, non servendo che a se stessi, non essendo mai subordinati a risultati ulteriori». Bataille spiega dunque la fascinazione dell'orrore in termini di potenza e accordo gioioso con l'inarrestabile divenire.
In continuità con la gratuità e la sovranità di cui parla Bataille quali elementi di piacere presenti nell'orrore, l'autore richiama, in seguito, l'analisi che Roger Caillois presenta ne I giochi e gli uomini delle quattro categorie da lui riconosciute di giochi: agon (competizione), alea (casualità), mimicry (immedesimazione), ilinx (gorgo). Questi ultimi sono quelli che consistono in una sorta di smarrimento, di spasmo che annulla la realtà circostante, «distrugg[e] per un attimo la stabilità della percezione e f[a] subire alla coscienza, lucida, una sorta di voluttuoso panico». È il caso di certe attrazioni da luna park, che – nonostante provochino spavento, nausea, urla di terrore, fiato mozzato, sensazione di torsione degli organi interni – sono anche fonte di una paradossale forma di godimento. A guidare questo piacere prodotto da una situazione brutta o, meglio, inquietante è lo stesso «principio che governa ogni vicenda di fantasmi e di altri eventi soprannaturali, in cui ci spaventa o ci fa orrore qualcosa che non va per il suo verso giusto» (Umberto Eco, Storia della bruttezza). È il perturbante – analizzato da Freud sulla base, tra l'altro, di Schelling –, l'incerto, l'inconsueto, a indurre una leggera e piacevole forma di gorgo, vertigine.

 

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